Marianna Procino
Più anima nell’azienda
La comunicazione interna è fondamentale per la crescita di un’impresa, sia pubblica che privata. Il parere dell’esperto
Comunicare sembra essere oggi la chiave del successo di molte aziende, grandi e piccole, private e pubbliche che siano. Da sempre molta importanza è stata rivolta alla comunicazione esterna e da qualche tempo si sta affiancando a essa anche quella interna, con la creazione di uffici particolari e figure professionali specializzate. A spiegare come mai si stia realizzando questo cambiamento nel contesto organizzativo delle imprese è Franco D’Egidio, esperto di comunicazione e amministratore delegato della Summit, società di consulenza per la gestione dei processi di cambiamento della cultura aziendale: “Oggi per rendere operative le strategie di business di un’azienda è indispensabile comunicare fuori come dentro gli uffici. Se si insegna ai lavoratori il senso di appartenenza al gruppo di lavoro di cui si fa parte si crea una cultura d’impresa, unica e distintiva di ciascuna realtà aziendale, che porta ad avere migliori risultati all’interno dell’ambiente di lavoro e di conseguenza più vantaggiosi profitti all’esterno. Per realizzare ciò occorre sviluppare una buona comunicazione interna, indispensabile per creare senso di appartenenza all’impresa, un valore che si riflette sull’immagine aziendale, cioè l’idea che il mercato, il pubblico ha di un’impresa prima di rivolgersi a essa”.È soprattutto, quindi, per assicurare una maggior coerenza fra esterno e interno che è cambiata l’organizzazione aziendale?
Sì, in pratica tutto si traduce in una migliore immagine e maggior competitività dell’impresa. Oggi l’organizzazione aziendale è molto più orientata al cliente, meno alle procedure e ai compiti. È necessario creare una cultura volta al risultato e per far ciò non bisogna concepire l’organizzazione come un meccanismo. Deve essere piuttosto un sistema aperto che “vive” e interagisce con l’ambiente esterno grazie alla comunicazione, linfa vitale che permette di cogliere le richieste che provengono da fuori, decodificarle, per poi realizzare le risposte al mercato.
Passare da un sistema meccanico a uno “vivente” presuppone una maggior centralità dell’uomo e dei suoi comportamenti organizzativi?
Proprio così. Oggi si parla di “organismo” perché la centralità dell’uomo è fondamentale, la persona è un protagonista, un operatore della conoscenza. Il capitale umano ha un’enorme importanza in un’azienda ed è per questo che l’organizzazione sta diventando sempre più un mondo regolato da rapporti di tipo professionale-relazionale, incentrati sul coinvolgimento e sull’impegno.
Come si coinvolgono i lavoratori?
Bisogna creare senso di appartenenza. Ogni organizzazione deve avere un insieme di valori condivisi che assicurino la convergenza tra il progetto aziendale e quello di vita di ciascun individuo. Quando si condivide l’idea che si contribuisce a realizzare si è più motivati a portare avanti il proprio lavoro. La comunione di un progetto lega la “coppia”: se si è demotivati si hanno delle prestazioni di bassissimo livello e viceversa.
In che modo?
Passando dalla carta all’anima. Occorre introdurre un tipo di comunicazione “calda” che vada ad affiancare quella funzionale e burocratica, anche detta “fredda”. L’ordine di servizio, ad esempio, è indispensabile, però non crea nessuna emozione, non coinvolge il lavoratore. Occorre invece toccare l’emotività delle persone, motivarle con un tipo di comunicazione più coinvolgente che riesca a modificare i loro comportamenti. Solo coinvolgendo il cuore dei lavoratori è possibile ottenere la condivisione del progetto aziendale.
Quanto conta l’ambiente di lavoro e come deve essere?
Deve puntare a creare benessere diffuso, senso di scopo: il significato dell’organizzazione per cui il lavoro deve coincidere con il significato delle cose che faccio nel quotidiano.
Ma questo fa parte del senso civico proprio di ciascuna persona o si possono “educare” i lavoratori?
Fa parte di una cultura ma anche di un processo. Occorre maggior responsabilità, bisogna farsi carico dei problemi, agire con iniziativa: autonomamente si può intervenire in una cosa che non va, dare la risposta al cittadino che la chiede, non attendere che la faccia un collega o il superiore. Se questi valori sono diffusi e condivisi determinano i comportamenti che diventano cultura.
Poi a supporto del processo comunicativo e di quello educativo deve esserci la leadership, cioè la capacità di ispirare tutti gli attori dell’organizzazione a condividere il progetto. Leadership è soprattutto guida per esempi e non per parole.
La competenza di un lavoratore può essere messa in pericolo dalla carenza di una buona comunicazione interna?
La competenza di una persona si sviluppa nel momento in cui si comunica bene, ossia si mette in comune la propria conoscenza per ampliare la competenza degli altri. Da una conoscenza e competenza individuale si arriva a una collettiva. Alla base di tutto c’è la fiducia: se questa viene a mancare le persone non sono portate a comunicare. Ogni individuo per diffondere la propria conoscenza, vuole un ritorno dell’investimento che sta facendo.
E le soddisfazioni per il lavoratore?
Non con dei premi in denaro. Bisogna puntare alla gratificazione degli individui farli sentire non dei numeri ma delle persone con un ruolo che conta, e aiutare il loro processo di realizzazione: bisogna scoprire la grandezza che c’è in ogni individuo, permettergli di esprimere il massimo del suo potenziale, quando c’è naturalmente! Un centralinista, ad esempio non è solo chi risponde al telefono, deve essere una persona che dà il suo contributo a consolidare l’immagine dell’impresa attraverso una modalità di interazione di grande qualità. Il centralino è un biglietto da visita, chi vi è addetto deve essere consapevole che è responsabile dell’immagine dell’impresa.
Comunicare è importante a tutti i livelli di un’azienda, pubblica o privata che sia?
Sì, ma è importante soprattutto per le imprese pubbliche: per soddisfare il cittadino si deve capire quali sono le sue istanze, i suoi bisogni. Il valore chiave è “assunzione di responsabilità” (che spesso manca), cioè la capacità di farsi carico dei problemi altrui, magari superando le procedure, tutti quei vincoli che tendono a imprigionare il lavoratore.
Quali studi hanno portato a queste conclusioni?
Sia l’approccio accademico che quello dei più grossi studiosi di management. La velocità del cambiamento esterno è talmente elevata (basta pensare all’innovazione tecnologica, a come la diffusione dei pc e del Web abbia stravolto il modo di lavorare) che si è capito che le organizzazioni rigide, gerarchico-funzionali non riescono a sopravvivere e che quindi bisogna orientarsi verso sistemi aperti: organismi flessibili che riescono ad adattarsi velocemente ai mutamenti.
01/12/2004