Maria Grazia Giommi

Una vita a puntate

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Un giocatore sanremese racconta la propria esperienza. I rapporti con la famiglia, l’importanza del denaro e l’eterna sfida con se stessi e con la sorte

Una vita a puntate

Ogni sera Roberto R. siede al tavolo delle puntate o davanti alla slot machine. Non riesce a fare a meno del gioco. Eppure dal tunnel, dichiara, è uscito.
Come ha cominciato?
Ho cominciato a sedici anni; innocenti partite di carte con gli amici. La prima volta che sono entrato in un casinò ne avevo venti. Poi mi ha preso la mano e ci sono finito dentro fino al collo. Tutti iniziano così; le esperienze degli esordi non hanno nulla a che fare con la dipendenza. Quella subentra dopo, e non è legata solo dalla passione per il rischio ma anche da una serie di situazioni collaterali che ti spingono a buttarti a capofitto in quel mondo. È come fumare una sigaretta: lo fai per sentirti parte di un gruppo, perché sul momento ti sembra un modo per scaricare le tensioni. Pensi di poter smettere quando vuoi, ma non è così.
Nel suo percorso di vita, quali episodi o situazioni hanno accelerato il passaggio?
Qualche anno fa vivevo un periodo di difficoltà nella mia vita privata e familiare, e anche sul lavoro avevo dei problemi. Mi sentivo solo e arrabbiato col mondo. Vivendo a Sanremo è stato immediato avvicinarmi all’azzardo, vederlo come la via più semplice per sfuggire alle preoccupazioni e alle frustrazioni quotidiane. È innegabile, infatti chi abita nei pressi di queste strutture è più facilitato di altri a cadere nel circuito delle scommesse, anche perché spesso i casinò sono costruiti in ...


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01/11/2004