Mario Viola

Mezzo secolo di scienza in tv

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Piero Angela, il signore dei Quark, racconta a Poliziamoderna il lungo impegno sul piccolo schermo

Mezzo secolo di scienza in tv

Se le abitudini dei leoni africani e i princìpi di funzionamento del digitale non ci sono così estranei, se sappiamo qualcosa di più sulla riproduzione cellulare e sulle origini del sistema solare, insomma se la scienza e la tecnologia sono diventate qualcosa di familiare nelle nostre vite lo dobbiamo anche a Piero Angela, che da mezzo secolo porta in prima serata televisiva i misteri della fisica quantistica, le curiosità dell’etologia, le grandi domande sulle origini dell’universo, e tanto altro ancora attraverso documentari, inchieste, esperimenti.
Dopo cinquant’anni di divulgazione scientifica in televisione si sente un po’ il professore di scienze degli italiani?
Beh, diciamo che il mio mestiere consiste nel mettere milioni di bottiglie nell’oceano con dei bigliettini dentro. Per molti saranno solo occasioni per interessarsi ad alcuni argomenti, per altri significheranno l’accensione di una lampadina.
Durante incontri pubblici è capitato spesso che una persona abbia confessato di aver fatto scelte di vita e di studi influenzate dai miei programmi televisivi. Così come molte madri mi vengono a dire che hanno allevato i figli leggendo il mio libro Da 0 a 3 anni sullo sviluppo della mente del bambino. Se da una parte mi sento gratificato dall’altra mi preoccupa l’essermi accollato una responsabilità così grande.
Un’altra volta mi ha telefonato un tale ringraziandomi per una serie di interventi in cui spiegavo il ruolo innovativo della microelettronica. A quel tempo faceva l’idraulico. Smise di lavorare per studiare il computer e poco dopo divenne imprenditore, creando un’azienda con molti dipendenti. Aveva una sua genialità e non era ancora riuscito a esprimerla. La mia funzione è stata solo quella di sollecitarla.
Secondo lei l’avvento dei canali tematici può aiutare o ghettizzare la divulgazione scientifica?
È difficile da dire. Per ora gli abbonati sono ancora pochi e le loro motivazioni sono momentaneamente legate soprattutto allo sport o ai film. È vero però che c’è un’enorme quantità di documentari di qualità che vengono trasmessi, per esempio su Discovery Channel e National Geographic. Si sta facendo viva, quindi, la competizione con i canali tradizionali. Ancora non ne risentiamo.
Diciassette anni di radio. Poi corrispondente estero per la RaiTv e dal ’56 uno dei volti del primo telegiornale nazionale condotto da giornalisti e non da speaker. Come è nata la passione per la scienza e la tecnologia?
Fu proprio mentre lavoravo per il Tg2. Mi mandarono in America a seguire la preparazione del volo che avrebbe portato due uomini sulla Luna, cioè il programma Apollo. A colpirmi di più non è stata tanto l’impresa spaziale quanto l’organizzazione della tecnologia di supporto: circa 600 mila persone hanno lavorato in vari settori per portare due uomini a mettere piede sulla Luna. C’era il settore di costruzione dei razzi, gli astronomi, gli astrofisici, studi biologici, la parte medica, l’allenamento per preparare gli astronauti. Coordinare il lavoro preparatorio di 600 mila persone è uno sforzo straordinario. Fondamentale è stata anche l’esperienza presso un centro della Nasa che si chiama Ames vicino San Francisco dove si studiava la esobiologia ovvero la vita fuori dalla Terra. Gli studiosi cercavano di replicare il processo che ha portato alle prime cellule, così come alle origini del sistema solare. E in questo centro ho fatto tutta una serie di documentari centrati su questi aspetti ed è stato questo che ha fatto accendere la lampadina.
Una cosa che mi ha colpito molto è che quando andai per la prima volta a Cape Canaveral, Cape Kennedy, vidi nell’elenco del personale che il direttore del centro di lancio aveva un nome italiano Rocco Petrone allora presi appuntamento per capire se aveva origini italiane, così andai nel suo ufficio e trovai un uomo poco più che trentenne che mi disse “sugno de paese de Sasso de Castaldo in provincia di Potenza” era emigrato in America all’età di tre anni con i suoi genitori contadini. Questi, con sacrifici lo fecero studiare come ingegnere spaziale in accademia a West Point.
Quindi si può dire che il progetto che ha portato l’uomo sulla Luna è stato fatto da un lucano?
Già. Se lui fosse rimasto lì oggi sarebbe solo un contadino intelligente. Quindi è importante come l’istruzione abbinata naturalmente alle qualità personali possa farci evolvere. Gli uomini – come anche le società – si evolvono proprio grazie alla capacità di sviluppare la loro mente, la loro creatività e quindi la loro capacità di inventare. Noi siamo fatti di cultura.
Stando a questo ragionamento, l’Italia non si presenta come un Paese in evoluzione?
Purtroppo è così. Questo è tanto più vero nell’attuale società occidentale competitiva dove è l’innovazione che permette ai Paesi di essere vincenti sui mercati internazionali. Se il sistema industriale investe sulla ricerca, produce novità e quindi occupazione e reddito. Altrimenti i cervelli fuggono all’estero e noi importiamo novità tecnologiche pagandole a caro prezzo. Si nota dal nostro Pil (Prodotto interno lordo) che è più basso in proporzione a quello degli altri Paesi industrializzati.
Quindi, nei miei programmi da un lato cerco di stimolare la curiosità, di rispondere a quelle che erano le antiche domande dei filosofi, da dove veniamo, cos’è il cervello, come è nato l’uomo, come si è evoluta la vita, ma dall’altro cerco di spiegare come l’innovazione tecnologica consenta di modificare il mondo, quanto sia importante investire nella ricerca.
Anche per la polizia è risultato importante investire nella ricerca, visto i grandi passi in avanti fatti dalla Scientifica…
Certamente. Ho presentato con interesse il libro celebrativo dei 50 anni della Scientifica qualche settimana fa. È assolutamente straordinario l’impiego delle nuove strumentazioni per rilievi biometrici, dattiloscopici, balistici, e la profusione di competenze biologiche, chimiche, medico-legali tra questi poliziotti. Sebbene per deformazione professionale mi affascini tutto ciò che riguarda il rilievo sulla scena del delitto e il lavoro in laboratorio, sono convinto che senza una giusta elaborazione dei dati e una loro corretta interpretazione non si riesca a progredire verso la verità. Per quanto sia un sostenitore della scientificità dei metodi e dei mezzi, in definitiva è sempre l’uomo al centro del sistema, che sia l’abilità psicologica dell’investigatore o l’intuizione geniale dello scienziato.
Come si immagina Piero Angela in divisa da poliziotto?
Mi viene in mente una cosa curiosa dettami da un amico. In un paesino del Piemonte aveva conosciuto una guardia campestre: non era un poliziotto, però aveva in qualche modo la stessa funzione. Era l’amico di tutti e quindi giocava la sera a carte in trattoria, poi gli capitava di beccare uno che pescava di frodo allora tirava fuori una scatoletta, si metteva dei baffi finti e gli faceva la multa. Cioè si sdoppiava, dicendo “in questo momento sono l’autorità, non ti conosco, sono un’altra persona”. In fondo noi tutti dovremmo avere questa scatoletta, nel senso che dovremmo dimenticare le amicizie, le idee politiche, i favoritismi, nel momento in cui siamo al servizio della collettività, e questo vale anche per chi fa informazione. E anch’io nell’immaginarmi con la divisa sarei come questa guardia campestre, molto duro e obiettivo per le cose che sono inerenti ai miei compiti.
In televisione cerco di non essere mai condizionato né dalla politica, né dalla pubblicità perché so di avere una responsabilità nei confronti del pubblico. Scegliendo di dire certe cose posso aiutarlo a crescere.
Quando il dovere di denunciare o informare trova un limite?
Guardi io sono un sostenitore della trasparenza dell’informazione, eppure rimango un po’ perplesso quando certi metodi d’indagine poliziesca vengono rivelati nei dettagli, è come se un prestigiatore facesse vedere il trucco. In quei casi il giornalista brucia la possibilità per l’investigatore di riutilizzare le stesse strategie.
Ha mai avuto qualche incontro ravvicinato con la polizia, magari la Stradale?
Sono un buon automobilista, non ho avuto mai problemi. Però non guido più fuori città. Guido solo nel traffico di Roma. Uno dei rischi enormi di cui si parla poco è il colpo di sonno: abbiamo fatto numerose ricerche anche in America, è altissimo il numero di incidenti causati da narcolessia a cui si danno altre cause, imprudenza, distrazione, malesseri.
01/05/2004