Fabiola Martini

Terapisti al trotto

CONDIVIDI

L’utilizzo del cavallo a scopi terapeutici ha origini antichissime. Oggi questa funzione è stata riscoperta a vantaggio dei disabili e nelle riabilitazioni ortopediche

Terapisti al trotto

Superare se stessi, dominare il cavallo, spezzare l’isolamento comunicativo e liberare con naturalezza le proprie emozioni. Assecondare con il corpo l’andatura del più elegante dei quadrupedi, simbolo di potenza e gloria, stabilire con lui quasi senza accorgersene una simbiosi armoniosa e avvertire subito un diffuso senso di benessere. Queste sensazioni si riassumono in una parola: ippoterapia. Una tecnica curativa rivolta principalmente ai disabili e basata sui benefici che derivano dal solo fatto di trovarsi in sella a un cavallo a seguire facili istruzioni date dall’operatore. Il principio è semplice: il contatto fisico e il feeling che s’instaura con l’animale sono canali emozionali attraverso i quali il paziente acquista fiducia in se stesso. Il movimento muscolare indotto dalla marcia d’altra parte fa lavorare meglio l’apparato respiratorio e cardiovascolare, e le ondulazioni stimolano la coordinazione e impongono di mantenere l’equilibrio. La ragione che spinge la maggior parte dei genitori di ragazzi disabili o autistici a far praticare ai loro figli l’ippoterapia è però la possibilità di farli sentire, almeno per un’ora al giorno, uguali a tutti i loro coetanei. Un animale è infatti in grado di amare senza condizioni. Non si cura del grado intellettivo del padrone, della sua prestanza fisica, delle sue modalità di comunicazione. Non fa caso a quanto sia simile o dissimile da tutto il resto del mondo. Un atteggiamento che i portatori di h ...


Consultazione dell'intero articolo riservata agli abbonati

01/02/2004