Annapaola Palagi
E la polizia prese l’onda
Ottant’anni di radio che nonostante Internet, telefonini e televisione non sembra segnare il passo.
Notizie di borsa e un bollettino meteorologico intervallati da pezzi di musica classica e da camera. Nasceva così, 80 anni fa, la prima trasmissione radiofonica italiana aprendo la strada a quello che sarebbe diventato, nel giro di pochissimo tempo, uno dei più importanti mezzi di comunicazione di massa: la radioricevente, inventata nel 1922 da Guglielmo Marconi.
Era il 6 ottobre del 1924 quando la voce di Maria Luisa Boncompagni lesse il primo annuncio trasmesso dall’Unione radiofonica italiana (Uri che nel ‘28 si trasformerà in Eiar, Ente italiano per le audizioni radiofoniche). “Il miracolo italiano”, come fu definito all’epoca, entusiasma e stupisce, indipendentemente dai contenuti trasmessi. In pochi anni diventa punto di riferimento informativo e culturale per tutta la popolazione. Lo stesso Mussolini la userà come principale strumento per la propaganda di regime trasmettendo in diretta molti dei suoi discorsi alla folla.
Nuova stagione di successo
Nonostante 50 anni di televisione, la radio ha mantenuto costante negli anni il suo ruolo e il suo pubblico: pensiamo a tutti quei tifosi che escono di casa la domenica con la famiglia solo a condizione di portare con sè la tanto amata radiolina da tenere attaccata all’orecchio per avere gli aggiornamenti, minuto per minuto, in diretta, dai campi di calcio. La nuova stagione di grandi successi è legata anche al varietà: un esempio la trasmissione di Fiorello e Baldini che lo scorso anno ha tenuto incollati alle frequenze di Radio due migliaia di ascoltatori.
Nonostante Internet, la tv e le nuove apparecchiature tecnologiche che caratterizzano le nostre giornate, poco tempo fa un evento imprevisto ha dimostrato quanto ancora sia fondamentale il ruolo della radio. Parliamo del black-out elettrico che, la sera del 28 settembre, ha colpito l’Italia immobilizzando l’intero Paese. In quella occasione l’unico modo per ricevere informazioni e avere un contatto col “mondo esterno” è stata ancora una volta la radio con le sue batterie.
E questo ci riporta, con la mente, ai tempi della seconda guerra mondiale quando migliaia di persone si radunavano attorno a un apparecchio radiofonico per avere aggiornamenti dal fronte, per capire cosa stava succedendo, magari sintonizzandosi sulla proibitissima Radio Londra. Era lei, la radio, a informare, compreso l’annuncio della fine del conflitto. Da allora questo strumento ha cominciato a evolversi aprendo nuovi orizzonti e possibilità. Proprio dai campi Arar, grandi depositi di materiali abbandonati dai soldati americani, la Polizia italiana ha avuto le sue prime apparecchiature radiofoniche.
“Doppia Vela 21” chiama “Siena Monza”
“Volante 1 a volante 2”. Ricordate lo sketch televisivo di Renzo Arbore nella trasmissione Indietro tutta? Lo spunto era nato proprio dall’ascolto di una reale conversazione via radio tra due pattuglie di polizia in servizio. Il primo collegamento nazionale del Viminale fu creato intorno al ‘45 grazie al recupero, come già detto, di alcuni apparecchi americani, ripuliti e rimessi in uso dal personale tecnico della polizia. Un poliziotto si collegava direttamente in telegrafia (con il codice morse) con gli operatori delle varie province utilizzando trasmettitori BC 610 e ricevitori BC 312 o BC 342.
Le comunicazioni radio tra le sale operative delle questure e gli autoveicoli, invece, si sono potuti mettere in pratica solo negli anni ‘50 ed è stata la Giulietta la prima macchina di servizio ad avere montata un’apparecchiatura radio a valvola: la radio Marelli CTR 43.
Allora, come oggi, ogni stazione radio e ogni pattuglia aveva un suo nome in codice. Così molti ricordano Doppia Vela 21 (nome del centro radio della questura di Roma) che chiama Siena Monza che sta ad indicare le pattuglie della squadra mobile (il nome usa infatti le stesse iniziali).
La tecnologia ha permesso uno sviluppo abbastanza rapido, ma più che altro nel corso degli anni sono cambiati i costi e la grandezza degli apparecchi. Intorno agli anni ‘60 sono nate le prime ricetrasmittenti a transistor più piccole e più economiche e qualche anno più tardi, grazie alle dimensioni e al basso consumo energetico, si è avuta la possibilità di montare i dispositivi radio anche sulle moto della polizia: le prime furono le Guzzi Falcone con il modello prodel MI 40.
Dal Codice monza al cripto
All’inizio però le autoradio della polizia, prima a due, poi a sei e poi ancora a dodici canali, non avevano il sistema di cripto – che trasforma la voce di chi parla in rumori di fondo – e così agli agenti non rimaneva che parlare in codice. Fu istituito pertanto il cosiddetto Codice monza: che attribuiva un numero ad ogni situazione o personaggio di rilievo. A un numero corrispondevano anche frasi intere del tipo “Dove sei?” o “Come mi senti?”. Un modo di dialogare creato ad hoc per avere riservatezza nelle informazioni e che tutt’oggi viene talvolta utilizzato per una maggiore velocità nelle comunicazioni via radio.
Intorno agli anni ‘70 invece, grazie agli sviluppi tecnologici, è stato possibile mettere in pratica il cosiddetto sistema di cripto per inviare e ricevere informazioni in modo riservato. I transistor e gli integrati hanno permesso di inserire negli apparecchi radio, già in uso, delle schede (oggi anche veri e propri software), che permettono di criptare i segnali in modo che chi ascolta, inserendosi sulle frequenze in modo abusivo con uno scanner, sente solo una serie di fastidiosi rumori.
Le evoluzioni sono state tante e tutte fondamentali per il lavoro quotidiano degli agenti in servizio. Oltre ai ricetrasmettitori presenti sul veicolo, il sistema è stato oggi modificato a tal punto da permettere al poliziotto – che per qualsiasi motivo debba scendere dall’auto – di portarsi dietro la radio mantenendo i contatti con la sala operativa e con il collega rimasto a bordo, sfruttando l’apparecchiatura dell’auto come ponte-ripetitore. Il ricetrasmettitore portatile è fondamentale per uno svolgimento sempre più sicuro ed efficiente del lavoro della polizia visto che in passato, al momento di abbandonare il veicolo, gli agenti di pattuglia rimanevano isolati.
Tra le innovazioni c’è anche il nuovo sistema di chiamata selettiva che permette al poliziotto del Centro operativo telecomunicazioni (Cot) di parlare solo con chi vuole. Basta impostare un codice e si può comunicare via radio direttamente con la pattuglia selezionata, escludendo gli altri dalla conversazione. E ancora: il Gps, uno strumento, al momento in sperimentazione su alcuni veicoli della polizia, che riceve informazioni dal satellite, le elabora e le invia, tramite la radio di bordo, in sala operativa in modo da permettere di vedere sui monitor dove si trova l’auto.
Anche il nuovo poliziotto di quartiere, che passeggia a piedi per le città, è munito di un apparecchio che gli permette di mettersi in contatto con la questura in qualsiasi momento, tramite le reti che coprono il territorio di competenza.
Il futuro è la radio!
Altra grande novità è il nuovo “lettore di targhe” in sperimentazione alla polizia stradale. Grazie a due micro telecamere a raggi infrarossi la macchina di servizio legge le targhe e le confronta con la banca dati presente a bordo del veicolo. Nel caso in cui la targa risulti sospetta viene inviata automaticamente al Cot e scatta un allarme. Tutto questo via radio e in modo automatico.
Per l’attività di polizia, dunque, quello radio è un sistema fondamentale che non può essere sostituito da nessun altro per i costi, per l’efficienza, ma soprattutto per la sicurezza. Le reti in uso alla polizia sono gestite direttamente da personale tecnico specializzato del ministero dell’Interno: non c’è il rischio che possa cadere la comunicazione o di poter essere intercettati in casi di riservatezza, tanto che per il futuro si sta pensando alla creazione di una rete a livello europeo accessibile da più punti dislocati sul territorio nazionale. Una rete unica ma con canali personalizzati che, utilizzando tecnologie avanzate di tipo Tetra (sistema cellulare di radiocomunicazione digitale ad accesso collettivo per la trasmissione vocale e di dati), dovrebbe offrire la possibilità di mantenere i contatti con le altre nazioni fornendo servizi a una serie di enti, alle forze dell’ordine e di emergenza come i vigili del fuoco e la protezione civile.