Maurizio Fiasco

Reati, vittime e denunce

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Una crescente partecipazione dei cittadini unita ad un maggior controllo del territorio da parte delle istituzioni. Anche questo nel rapporto Istat sulla sicurezza nel nostro Paese.

Reati, vittime e denunce

Con un cospicuo investimento – scientifico, organizzativo ed economico – l’Istituto centrale di statistica ha recentemente messo a disposizione la seconda indagine triennale sulla sicurezza dei cittadini. Si tratta di una ricerca campionaria di “vittimizzazione”, basata sulla raccolta dei dati dalla voce diretta delle persone intervistate. Le conoscenze che si ricavano sono ad ampio raggio: in primo luogo consentono d’individuare com’è composta la popolazione che è stata vittima, in un periodo prefissato, di alcuni reati; in secondo luogo permettono di sapere se le parti offese hanno sporto denuncia all’autorità o no, per quindi rilevare le motivazioni, gli atteggiamenti, le valutazioni soggettive, i fattori oggettivi sia di una decisione e sia di quell’opposta.
Oltre al vissuto di un’esperienza negativa, e alle conseguenze che ha l’impatto con il crimine per i singoli e per i nuclei familiari, viene in risalto, infine, anche la percezione di sicurezza e la cognizione del rapporto tra cittadino e organizzazioni istituzionali del controllo sociale.
La rilevazione è stata fondata su sessantamila interviste a persone e a famiglie delle 103 province della penisola. È stato chiesto loro di rispondere alle domande disposte in un questionario di 55 pagine (molto fitte). I reati presi in considerazione si dividono in due grandi partizioni: contro la proprietà e contro la persona. Per gli argomenti del questionario ne sono stati selezionati 32 tipi, dei quali dieci reati tentati ed i restanti consumati (ad esempio, scippi, borseggi, furti di oggetti personali o familiari, rapine, aggressioni, molestie e violenze sessuali). La delicatezza degli argomenti ha imposto all’Istat di organizzare un vero e proprio servizio, con una specifica formazione professionale delle rilevatrici (è stato impiegato solo personale femminile).

Il “sommerso”
La media dei casi denunciati risulta del 34 per cento dell’universo reale ed è in parte influenzata dalla maggior trascuratezza verso i reati tentati (solo uno su quattro è seguito da una segnalazione alle autorità). Se può sembrar scontato che i cittadini denuncino la quasi totalità dei furti di autoveicoli (94 per cento), induce invece a riflettere quell’elevata percentuale di rapine che restano senza denuncia: il 50,4 per cento di quelle consumate e il 68,9 di quelle tentate. Perché una così bassa propensione? Le ipotesi dell’Istat sono fondate sul bilanciamento tra costi e benefici del rivolgersi alle forze di polizia e sulla gravità delle conseguenze del crimine subito. Influisce, inoltre, se il contatto tra l’autore del reato e la vittima si sia verificato o no. Un furto subìto mentre si è assenti dall’abitazione ha riflessi emotivi diversi da una rapina, nel corso della quale la parte offesa avverte anche fisicamente la figura dell’aggressore. In altri termini, nel caso di eventi che hanno colpito una persona singola, come aggressioni e rapine, la motivazione più frequente della regolare denuncia è il dovere di informare le forze dell’ordine (rispettivamente con il 43,2 e con il 35 per cento delle risposte) o l’impedire all’autore del fatto delittuoso di ripetere il reato (50,3 per cento e 17,3). All’opposto, queste motivazioni risultano scarsamente segnalate nei borseggi e nei furti di oggetti personali (vedi tabella).
Nell’edizione del 2002 della ricerca, confrontata con l’edizione del 1997-98, la rilevazione dell’Istituto centrale di statistica indica una certa contrazione del “sommerso” dei reati. È interessante notare come essa riguarda, quasi esclusivamente, quelle tipologie di delitti denunciati che hanno segnato una complessiva recessione nel periodo intercorrente tra i due check. Perché il particolare va sottolineato? Proprio perché alla minor massa di reati constatati fa da pendant una diminuzione della percentuale di quelli non resi noti dalle vittime. Insomma, come se la maggiore efficacia del contrasto e della prevenzione incoraggiasse i comportamenti di fiducia, riducendo il sommerso. Azzardiamo un’ipotesi: forse il trend reale di riduzione dei casi è stato anche più netto di quello registrato nelle statistiche ufficiali. Detto in altri termini, come l’inflazione della criminalità, generando sfiducia, innesca il circolo vizioso della non denuncia dei fatti subìti, così l’attenuazione della frequenza dei delitti induce un comportamento virtuoso, cioè il reclamo alle autorità.

Le vittime
Ogni cento persone, 4,4 sono state bersagliate in strada da furti, scippi e rapine. Non vi è particolare differenza tra le varie aree del Paese, mentre la probabilità di riuscita della consumazione del reato diminuisce con l’aumentare della gravità dell’atto: più i borseggi e gli scippi delle rapine. È un dettaglio da tener presente, perché aiuta a rivalutare un aspetto della prevenzione, detta situazionale: prendere accorgimenti per rendere difficile l’azione, aiuta a disincentivare il crimine. Se l’esperienza della vittima si traduce in una maggiore cautela, il fatto non si ripete.

Il luogo e la dinamica dei fatti
Del tutto inedite, almeno nella letteratura che riguarda le vittime, le informazioni statistiche sui particolari dello svolgimento del reato, sul tipo di luogo in cui è avvenuto e sull’orario. Perché sono elementi utili? Per varie ragioni. Si possono distinguere le persone che risiedono nella stessa città dove hanno subìto il fatto da quelle che vi si trovano in transito (per lavoro, per turismo, per shopping). Apprendiamo così che particolarmente a rischio sono i momenti di relax (il 36 per cento degli episodi avvengono durante il passeggio o lo svago) e quando ci si trova su mezzi di trasporto (34,2). Una vittima individuale su tre è colpita mentre si trova in una città diversa da quella dove vive abitualmente. Ovvio che chi risieda in piccoli comuni, o chi si sposti molto spesso per lavoro, subisca un reato mentre si reca in centri urbani di maggiore ampiezza o di particolare attrattiva turistica (le città d’arte, le località di villeggiatura). La distrazione (33,1) e l’abilità del delinquente che non permette alla vittima di accorgersi della consumazione del fatto (32,6), connotano la riuscita del reato, più ancora del mescolarsi dell’autore tra la folla e dell’avvicinarsi con scuse o inganni (23 e 11,3 per cento).

La percezione della sicurezza
L’indagine Istat fornisce sull’argomento alcune indicazioni piuttosto solide. Alcune risultanze sono intuitive e in un certo senso scontate: la percentuale di donne che hanno paura supera di gran lunga quella degli uomini (il 36,1 per cento contro il 18,5) quando ci si trova a percorrere le strade del proprio quartiere nelle ore notturne. Con il crescere dell’età aumentano ovviamente i timori. Analoghi dati si leggono circa l’influenza della criminalità nelle abitudini di vita delle persone, in rapporto all’età, mentre il livello d’istruzione induce a una differenziazione nelle valutazioni più pronunciata. I laureati e coloro che sono in possesso di diploma superiore vivono meno un senso di insicurezza. A parità di altre condizioni (sesso, età, comune di residenza) quanto più il titolo di studio è basso, tanto più aumenta il numero di coloro che si sentono poco o per niente sicuri sia quando camminano di sera nella loro zona sia quando sono a casa da soli. Lo stesso vale se si analizzano i dati concernenti la condizione professionale: imprenditori e dirigenti hanno sicuramente meno paura di quanta possono averne coloro che sono in cerca di occupazione.
Si può commentare tale informazione in senso dinamico-relazionale: isolamento sociale e disagio, minor disponibilità di “risorse” (istruzione, impiego, eccetera) inducono la popolazione più debole a inflazionare la percezione del “rischio criminalità”. Ne deriva, per contro, l’efficacia di un’interazione “proattiva” del tutore dell’ordine, e dunque di una metodologia di prossimità con una filiera di azioni: gli Uffici relazioni con il pubblico (per facilitare l’accesso ai servizi della sicurezza pubblica), la raccolta della denuncia di reato, da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria che si reca nell’abitazione delle vittime più deboli e, in posizione centrale, il servizio del poliziotto di quartiere.
La propensione dei cittadini a dichiarare (sia come vittime e sia come testimoni) un reato, è  infatti direttamente proporzionale all’affidabilità da essi percepita riguardo alle forze di polizia e, per analogia, alla magistratura.

Ecco perché, accanto alla crescente efficienza dei dispositivi di prevenzione dei reati e di controllo dei territorio, è utile continuare a incentivare la collaborazione attiva e la fiducia dei cittadini. La conseguenza di tale circolo virtuoso? Con il moltiplicarsi dei comportamenti “attivi” dei cittadini, si riduce il crimine sommerso e si creano ulteriori presupposti per il successo nella prevenzione e nella repressione dei vari tipi di delitti. E se in una prima fase il numero dei reati “censiti” risulterà più alto, a medio termine si riscontrerà una riduzione della criminalità reale, sfruttando l’incremento di risultati operativi che potranno derivare.
In altri termini le due “immagini” della sicurezza, quella costruita sul sapere tecnico delle professionalità di polizia e quella ricavata con le risposte all’indagine Istat  possono concorrere a corroborare quella strategia, tipica delle istituzioni della sicurezza dell’Unione Europea, orientata ai cittadini e alla partecipazione attiva della società civile.

01/02/2004