Annalisa Bucchieri
Lavorare sott’acqua
Prevenzione, sicurezza e prossimità non si fermano in superficie. Qualcuno le pratica nel mondo sottomarino: i sommozzatori della polizia
Il nostro cielo inizia dove il vostro finisce, recita il motto dei sommozzatori della Polizia di Stato. Non è solo un modo di dire. Una media di seimila ore di immersione l’anno significa per i poliziotti subacquei vivere quasi ogni giornata di servizio con lo sguardo rivolto in profondità: il loro mondo è quello sotto la superficie.Chi sceglie questo lavoro “sommerso”, impegnativo ma poco visibile, lo fa prima di tutto per amore del mare. Un amore che non sopravvive senza essere accompagnato da tenacia e grande spirito di sacrificio, come spiega Alessandro Kurescka da anni al comando del Centro nautico e sommozzatori (Cnes) di La Spezia. “Prove durissime per accedere alla specialità, allenamento continuo per mantenere l’acquaticità, una certosina e paziente manutenzione di tutte le apparecchiature tecniche, ogni bimestre visita medica per accertare la forma fisica. Tutto questo per essere in grado di fare prevenzione in mare, pronti a intervenire in qualsiasi momento sott’acqua. E le acque che aspettano i sommozzatori non sono quasi mai quelle cristalline delle cartoline caraibiche, bensì i freddi marosi d’inverno, le torbide baie portuali, i fiumi, gli sbocchi fognari altamente inquinati dove si riesce a vedere a malapena a un centimetro dal naso e bisogna orientarsi mettendo avanti le mani”. Lo sanno bene gli operatori che controllano i canali veneziani quando arrivano grandi personalità politiche in visita alla città o quelli che hanno dovuto recuperare un corpo del reato nei canali scolmatori nella zona industriale di Rosignano Solvay saturi di bianco ipoclorito di sodio, in poche parole varechina, o chi ha dovuto bloccare la perdita di benzene dalla sottocarena di una nave ferma in porto.
“Per preparare gli uomini a questo tipo di servizio – spiega Kurescka – li addestriamo a scendere con un mascherino annerito in vasche sporchissime. In questi frangenti utilizzano l’equipaggiamento speciale da palombaro leggero, una specie di scafandro collegato con dei cavi a una centralina che fornisce luce e aria, e permette all’operatore di agire senza rischiare il contatto con sostanze tossiche”. Quando si tratta di ricercare e recuperare armi e munizioni sui fondali un aiuto ulteriore è lo speciale metal detector subacqueo che evita di effettuare esplorazioni tattili lunghe e pericolose. Così sensibile da individuare un oggetto metallico anche se sepolto sotto un paio di metri di detriti o, peggio, dei fanghi tipici delle zone portuali, insidiosi come le sabbie mobili.
“Il fondo del mare è cosparso di miriadi di oggetti metallici: forchette, ami, lattine. E noi grazie al metal detector troviamo di tutto. Le nostre operazioni hanno sempre un risvolto ambientalista – continua Kurescka – Impossibile, del resto, per chi lavora nel mare non preoccuparsi della sua salute. Uno dei compiti che ci siamo assunti spontaneamente oltre a quelli istituzionali è partecipare alle campagne ecologiche per sensibilizzare la gente al rispetto dell’ambiente marittimo, e non solo fluviale e lacustre”. Sì perché facilmente si dimentica che il territorio di competenza dei sommozzatori sono tutti gli specchi d’acqua, compresi quelli interni, quelli artificiali e gli ambienti allagati. Non meno insidiosi del mare aperto. Basti pensare a quando hanno dovuto immergersi nelle abitazioni dove erano rimaste intrappolate le persone durante le tragiche alluvioni di Firenze nel 1966 e della Lunigiana del 2000. O quando succede loro di affrontare la corrente di un fiume o il mulinello in un lago per recuperare un cadavere, di infilarsi in pozzi angusti, cisterne industriali e persino immergersi sotto i ghiacci. Ai poliziotti con il respiratore è richiesto anche questo: saper affrontare l’altitudine e le temperature polari. “La gente si stupisce quando gli dico che sono sommozzatore con specializzazione di alpinista e manovratore di corda – racconta l’ispettore Ernesto Marchiori – quando un operatore si trova a calarsi in un orrido, o nel crepaccio di un ghiacciaio per raggiungere il posto dell’immersione deve saper usare delle corde e fare i nodi, insomma utilizzare l’attrezzatura da montagna. Un’attività che per esempio svolgiamo costantemente è l’assistenza alla competizione sportiva invernale di Lavarone nel Trentino dove circa un centinaio di subacquei si tuffa sotto la superficie ghiacciata del lago. La temperatura è intorno ai sei gradi e la visibilità scarsissima. Noi prepariamo il cosiddetto filo d’Arianna per guidare i partecipanti in un percorso studiato e ci accertiamo dello svolgimento della gara entro parametri di sicurezza, pronti a intervenire di fronte a qualsiasi imprevisto, dall’attacco di panico claustrofobico a un principio di ipotermia”.
Le prove d’ardimento non sono, quindi, un problema per i sommozzatori della polizia, abituati a scendere in acqua in qualsiasi condizione. Ma un limite esiste? Senz’altro, matematico e ufficiale: 60 metri, oltre i quali si fa scendere il Rov Hyball, un robot subacqueo teleguidato capace di scandagliare il fondale attraverso un sofisticato sistema elettronico. Il vero limite però sta nella coscienziosità con cui gli operatori assolvono il servizio. È una questione di rispetto per il mare, spiegano al Cnes, che non va mai sottovalutato e soprattutto mai sfidato. La nostra missione è la sicurezza non l’estremismo, ripetono. E c’è da credergli, visto che molti dei loro interventi, come racconta il sovrintendente Pietro Mistretta della sezione distaccata di Palermo, sono disperati soccorsi in mezzo a mari tempestosi. “Lo scorso anno abbiamo passato una settimana intera lanciandoci dall’elicottero nelle baie sarde in tempesta, nel tentativo di recuperare pescatori e diportisti dispersi. Dormivamo pochissimo e stavamo in mare fino al tramonto senza soste”. In questi casi l’elicottero è determinante, permette di arrivare sul luogo dell’intervento in tre minuti, una tempestività salvifica. In mare non c’è taverna, non c’è rifugio, dicono i subacquei. Qualsiasi ritardo è fatale. Sarà anche per questo motivo che tra tutti coloro che vivono e lavorano sul mare, Squadre nautiche della Polizia di Stato, Guardia costiera e di Finanza, Carabinieri e Marina militare, non si parla solo di collaborazione ma di vera e propria solidarietà. Sempre in nome di una passione “abissale”.
La storia delle divise “sommerse”
Sott’acqua la polizia è presente dal 1959 quando, per volontà del tenente generale Sabatino Cesare Galli, fu costituita la Compagnia dei sommozzatori dell’allora Corpo delle guardie di pubblica sicurezza. Per il primo anno fu di stanza alla caserma Saletti di La Spezia, poi trasferita a Livorno, nella caserma Lamarmora. Il Centro di addestramento nautico e sommozzatori, il Cans, come allora si chiamava, nacque invece nel 1963 con il compito di sovrintendere all’attività addestrativa e operativa del personale. Ben presto, però, ci si rese conto che la sua dipendenza amministrativa dal VII reparto mobile di Firenze complicava burocraticamente gli interventi in acqua. Perciò si pensò di raggruppare tutte le attività sotto un unico comando e il reparto tornò a occupare la caserma Saletti di La Spezia, della quale oggi ha la gestione quasi completa (circa 35 mila mq). In quell’occasione acquisì anche la base navale di Punta del Pezzino. Nel 1976 il Cans si è trasformato in Cnes, Centro nautico e sommozzatori, rafforzando le sue funzioni gestionali e operative oltre che addestrative. Nel 1996 il Cnes è stato ufficialmente riqualificato come nucleo navale e sommozzatori, nonché scuola nautica e gestore del parco imbarcazioni della Polizia di Stato. Attualmente il Centro, situato a La Spezia, conta circa 35 sommozzatori. In più vi sono cinque sezioni distaccate a Venezia, Bari, Palermo, Napoli e Oristano.
Cristina Tisei
I compiti dei sommozzatori
- La ricerca e il recupero di corpi del reato, armi, stupefacenti, cadaveri.
- Ricognizione e ispezione dei relitti sommersi, soccorso e primo intervento in caso di alluvioni o allagamenti; lavori subacquei su strutture sommerse e sottocarena delle navi; sicurezza e prevenzione attività subacquea.
- Collaborazione alla ricerca archeologica, localizzazione e recupero, campionatura biologica, rilevamenti topografici e cinematografici per la ricerca scientifica e geologica, assistenza a manifestazioni sportive in acqua.
- L’individuazione di esplosivi da residuato bellico, che vengono poi disinnescati dai sabotatori dell’Esercito, come recentemente avvenuto nelle acque di Reggio Calabria dove sono state rinvenute delle mine antinave della seconda Guerra mondiale che stavano per finire nelle mani dei pescatori di frodo. Un altro ritrovamento eccellente è stato fatto nel lago artificiale di Migliorate nella Sila crotonese: 25 chilogrammi di esplosivo, più munizioni per kalashnikov, una probabile riserva delle cosche calabresi.
Come mettere il distintivo sulla muta
Gli stage per ottenere la specializzazione di sommozzatore della Polizia di Stato sono molto selettivi e impegnativi. Vi possono partecipare solo coloro che hanno almeno due anni di servizio effettivo e un’età massima di 35 anni. Durante le quattro settimane del corso il sub dovrà superare alcune prove, tra le quali: 150 metri di nuoto stile libero e 50 metri stile rana nel tempo limite complessivo di 4 minuti; nuoto subacqueo orizzontale a corpo libero stile rana per una distanza minima di 50 metri; nuoto subacqueo orizzontale con maschera e pinne per una distanza minima di 50 metri; nuoto subacqueo con pinne con recupero e trasporto di una zavorra di 5 Kg per una distanza minima di 50 metri; immersione in apnea statica per un minimo di 90 secondi; capovolta e recupero su un fondo di 5 metri di una zavorra di 6 Kg, con emersione e sostegno della zavorra per un tempo minimo di 60 secondi; vestizione su fondo di 5 metri di cintura e zavorra, pinne, snorkel e maschera, svuotamento della maschera; 5 Km di corsa con un tempo limite di 25 minuti.
Al termine, se ritenuto idoneo, il sub della polizia frequenta un corso presso il Com.Sub.In (Comando subacquei incursori) della Marina militare dove viene abilitato all’utilizzo di autorespiratori a ossigeno, ad aria, rebreather e al riconoscimento di ordigni esplosivi. La specializzazione continua poi con ulteriore formazione su: fotografia subacquea, attività antisabotaggio e come tecnico iperbarico.
Marina Graziani
01/07/2004