Franco Cosentino

Eroi con la divisa

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Militi a cavallo, guardie di pubblica sicurezza, brigadieri della Pai: storie di uomini che hanno servito il Paese

Luigi Orecchioni

Jeri sera cessò di vivere, a cagione della ferita riportata nell’arresto dei malandrini della masnada del famigerato Mones, il milite Conti, della Guardia di pubblica sicurezza”. Così il quotidiano La Lombardia, il 19 luglio 1860, dava la notizia della morte di Felice Conti classe 1813, il primo dei 2.388 caduti della polizia italiana ricordati nel Sacrario di Roma. La guardia fu uccisa a Milano mentre cercava di portare in questura alcuni criminali che stavano per essere liberati da un gruppo di complici. Non sappiamo e non sapremo mai se il milite Conti sia stato realmente il primo. L’Archivio della prefettura di Milano è uno dei pochi che si è salvato dai bombardamenti degli alleati effettuati nella Seconda Guerra mondiale, è possibile che in altre province sia stata distrutta la documentazione.
Per altri, soprattutto per quelli caduti nell’800, esistono solo notizie frammentarie. Una foto, una lapide in un vecchio stabile o una litografia del tempo, come è accaduto per Nicolò Strazzeri (forse Strazzieri) brigadiere di pubblica sicurezza ucciso con un colpo di pugnale alla trachea. I fatti: erano le nove di sera del 24 novembre 1898 nell’elegante via Vittorio Emanuele a Livorno e il brigadiere si trovava lì da solo. All’improvviso uno sconosciuto, forse lo stesso che un mese prima, nella medesima via aveva aggredito un delegato di pubblica sicurezza con identico modo, lo ferì gravemente. Strazzeri morirà poche ore dopo in ospedale e non sappiamo se l’omicida fu mai arrestato.
Sappiamo invece che furono arrestati gli assassini del maggiore dei Militi a cavallo Pietro Ilardi, ucciso a Palermo nel 1882 in uno scontro a fuoco tra il suo reparto e tre briganti che avevano sequestrato un notabile palermitano nascondendolo in contrada Ciaculli. Pietro Ilardi al comando di guardie a piedi, militi a cavallo e carabinieri, fece irruzione nel casolare dove però i banditi si erano ben barricati e dove furono stanati molte ore più tardi grazie anche all’arrivo di un reparto di bersaglieri. I sequestratori si arresero, al maggiore furono concessi la medaglia al valore e funerali pubblici; la persona sequestrata, addolorata dall’accaduto, aprì una sottoscrizione per la vedova e i due piccoli figli. Una storia ordinaria, che si ripeterà molte volte.
Straordinario fu invece il coraggio con cui molti funzionari di pubblica sicurezza allo scoppio della Prima Guerra mondiale, pur essendo esentati dalla chiamata alle armi, lasciarono le scrivanie di molte questure per arruolarsi nell’esercito, combattere e morire. Anche loro hanno meritato un posto nel Sacrario della polizia.
Il maggior numero di morti si ebbe con la Seconda Guerra mondiale: uomini della polizia morirono su tutti i fronti e con tutte le divise. In Africa, combattendo contro gli inglesi, morì Luigi Orecchioni di Antonio nato ad Arzachena (Sassari) nel 1911. Una vita per quattro uniformi: nel 1931, il servizio di leva a Sassari, congedato, nemmeno un anno dopo, si arruola nei Carabinieri a piedi dove rimane sino al 1935 quando lo troviamo a Massaua (Eritrea) con l’88^ sezione da montagna del regio esercito. Nel 1937 ritorna in patria. Il 17 agosto del ’40 muore a Lafaruk, in Somalia, con il grado di vicebrigadiere della Polizia Africa italiana (Pai) durante uno scontro con reparti inglesi. “Esempio mirabile di virtù militari” riporta la motivazione della concessione alla medaglia d’oro al valore. Solo tre anni dopo, il 9 settembre 1943, un “collega di giubba” di Orecchioni, la guardia Pai Amerigo Sterpetti muore con identico coraggio nella difesa di Roma dai reparti della Wermacht. Sebbene ferito gravemente continuava a far fuoco con la sua mitragliatrice sui soldati tedeschi. Lo finiranno a colpi di baionetta.
Non meno tremenda deve essere stata la morte di Santo Caminiti nato a Villa S. Giovanni (Reggio Calabria), guardia ausiliaria di pubblica sicurezza, scomparso il 1° maggio 1945 a Trieste dopo l’ingresso delle truppe iugoslave di Tito e ritrovato due anni dopo dentro l’Abisso Plutone, una foiba (voragine rocciosa a forma di imbuto rovesciato, creata dall’erosione dei corsi d’acqua) profonda 115 metri sull’altopiano carsico. Sono quindici i poliziotti ritrovati nelle foibe friulane e istriane. Sono più di trecento invece quelli scomparsi nello stesso periodo in Friuli e di cui non si è più saputo nulla. Tra questi la guardia Aurelio Fabaz in servizio dal 1938 a Trieste. Consegnò le armi ai propri superiori il 1° maggio 1945 e tre giorni dopo fu prelevato a casa da un gruppo di partigiani. Non tornò mai più. La moglie non si arrese all’evidenza e solo nel 1976 decise di chiedere la dichiarazione di morte presunta.
 Finita la guerra, cambiate le divise, le mostrine e lo “status” del Corpo, i poliziotti italiani continuano la “loro” guerra con i criminali. Esemplare il caso del commissario Aurelio Spampinato e del vice commissario aggiunto Armando Rinaldi, caduti il 3 settembre 1947, alla periferia di Palermo per i colpi d’arma da fuoco esplosi da un mafioso latitante che stava per essere arrestato. Non sono state purtroppo le ultime vittime della guerra alla mafia. Li hanno seguiti nomi a noi più noti: Antonio Cassarà, Roberto Antiochia, Giuseppe Montana, Lenin Mancuso, Boris Giuliano, Domenico Russo… Per chi volesse ricordarli tutti, li troverà al Sacrario, 2.388 poliziotti uno a fianco all’altro, pronti a raccontare le loro storie e a ricordare il loro esempio.         
01/08/2004