Giulia Bertagnolio

Omicidi a rapporto

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Calano nell’ultimo triennio i delitti nel nostro Paese. Ad eccezione di quelli in famiglia

Omicidi a rapporto

Ad assassinare la sua vittima non ci è riuscita la bimba di 12 anni che il primo settembre, a Vicenza, ha tentato di accoltellare la mamma dopo averla bendata con la scusa di fare un gioco. La donna è riuscita a fermare la figlia in tempo. Ad ammazzare il proprio bersaglio ce l'ha fatta invece la convivente del nomade trentenne che non molto tempo fa ha scagliato pietre sul compagno fino a togliergli la vita, il padre killer-suicida che quest'estate ha sterminato la famiglia nell'ormai noto campeggio nei pressi di Udine, i sicari che hanno sparato una raffica di pallottole sul corpo del guardiano di un villaggio turistico vicino Crotone.
Il fenomeno degli omicidi “non riconducibili alla criminalità organizzata”, specie se avvenuti tra le quattro mura domestiche, sconvolge ogni volta ne parlino quotidiani o telegiornali. Ed è un fatto tristemente ordinario. Non importa se le statistiche testimoniano che nell'insieme dal 2001 al 2004 i delitti di questo tipo sono calati del nove per cento rispetto al triennio precedente, e non incide più di tanto il fatto che in estate sia considerato pressoché fisiologico un aumento della criminalità ordinaria. La ragione per cui nessun dato riesce a far impallidire certi delitti è evidente: rispetto agli omicidi a opera della malavita organizzata, i cui moventi sono ormai noti, quelli legati a motivi passionali o a situazioni apparentemente controllabili che poi finiscono in tragedia appaiono sempre avviluppati da un alone di ignoto. Qualcosa che ha a che fare con la nostra sfera irrazionale.

A evidenziarlo è anche il rapporto sullo “Stato della sicurezza in Italia”, recentemente pubblicato dal ministero dell'Interno e disponibile sul sito www.interno.it. Un documento che mette nero su bianco le dimensioni e le diverse facce dei fenomeni che oggi impegnano le forze dell'ordine. “Questi delitti rappresentano l'aggressività umana nella sua forma più violenta – c'è scritto all'interno della relazione – per questo sono percepiti come la maggiore fonte di allarme sociale”. Considerazioni che fanno riflettere sull'impatto che continuano ad avere sulla società certe tipologie di crimini nonostante la loro oggettiva diminuzione, e che spingono anche a soffermarsi in maniera globale su tutto l'ambito sfaccettato e complesso degli omicidi volontari.
Il presupposto di partenza è positivo: le statistiche relative ai delitti intenzionali sono lo specchio esatto della realtà (cosa non scontata) perché in questo campo non esiste “sommerso”. Difficile da interpretare con oggettività e complesso da affrontare dal punto di vista psicologico, infatti, il campo degli omicidi volontari è paradossalmente il più semplice in assoluto da delineare dal punto di vista numerico proprio per via del suo bassissimo “numero oscuro”. La ragione è ovvia: a differenza di altri illeciti, sia i delitti commessi da comuni cittadini e sia quelli a opera della malavita organizzata vengono quasi sempre denunciati alla polizia. Ecco perché le statistiche, che dal 1995 a oggi testimoniano una diminuzione nell'andamento di questa tipologia di crimine, non solo vanno considerate realisticamente confortanti ma rappresentano anche l'oggettiva efficacia delle strategie di prevenzione che negli ultimi anni sono state messe in campo dalle forze dell'ordine. Lo sottolineano gli autori del rapporto: “Il trend è palesemente decrescente; oggi si è attestato a un livello che potremmo definire fisiologico. È il risultato di una minore conflittualità tra le organizzazioni criminali, ma anche di una strategia di basso profilo adottata in particolare dalla mafia e determinata da un'incessante attività di polizia”. Ma scaviamo più a fondo: dall'analisi della ripartizione regionale risulta ancora la Campania la zona che conta il maggior numero di delitti in Italia mentre il Trentino-Alto Adige, il Molise e la Valle d'Aosta sono le ultime della lista. Segno che, per quanto le cose siano nettamente migliorate rispetto agli anni '80 e '90, i territori che da sempre ospitano la malavita faticano a riscattarsi da un passato burrascoso e a uscire da una dinamica perversa fatta d'interessi e cosche. Lo confermano le alte cifre relative agli omicidi a opera della criminalità organizzata (calati dal 2000 al 2002 ma risaliti nello scorso anno) registrati complessivamente nelle altre “regioni a rischio”: quasi 140 in Calabria, più di cento in Puglia, qualcuno in meno in Sicilia. Delitti che, com'è scritto nel Rapporto, “confermano come i gruppi criminali ricorrano a questa prassi prevalentemente nelle regioni d'origine e ciascuno nel suo territorio. I pochi omicidi avvenuti in regioni non a rischio non sono comunque da considerare eccezioni: vanno infatti riferiti a manifestazioni di controllo del territorio poste in essere su zone extra-regionali già colonizzate”.

Ma quali sono le caratteristiche di vittime e carnefici della malavita? I killer sono soprattutto maschi tra i 18 e i 30 anni; i loro obiettivi sono in genere loro connazionali tra i 31 e i 40. Le poche donne rimaste uccise sono state colpite quasi sempre in seguito a regolamenti di conti tra clan rivali, per via di legami con parenti o conviventi pregiudicati. Oppure sono incappate per errore in una pallottola destinata a un marito o a un padre esponente di un clan “scomodo”. Tra le armi utilizzate dal crimine organizzato, infatti, quelle da fuoco sono in prima linea. Una scelta dovuta senz'altro alla velocità con cui chi spara raggiunge il bersaglio, alla maneggevolezza della pistola, e sopratutto alla garanzia del risultato certo. Ma anche al fatto che l'uso di questi mezzi elimina del tutto il contatto fisico con la vittima.
È innegabile: malgrado le rilevazioni mostrino dati confortanti, i meccanismi che stanno alla base delle mafie storiche della nostra Penisola fanno ancora preoccupare. Ma il fenomeno è oramai noto, le sue dinamiche sono chiare, i moventi più che evidenti, le strategie di contrasto sperimentate. Ciò che invece sfugge alle statistiche, che appare contorto e frastagliato all'analisi riducendo la possibilità di strutturare una prevenzione ad hoc, sono le motivazioni che stanno alla base dei delitti commessi dalla criminalità comune. Fenomeni dal retroscena quasi mai nitido che dal 2001 al 2004 appaiono calati del nove per cento rispetto al triennio precedente. Ma anche qui, scendiamo nel dettaglio: se gli omicidi avvenuti nel corso di rapine sono diminuiti nettamente (perché la polizia riesce a mettere in campo nel settore le sue strategie preventive), quelli di natura passionale sono rimasti costanti e quelli dovuti a “futili motivi” hanno mostrato un andamento altalenante. In frangenti simili, infatti, la poca prevedibilità dei fatti e lo scarsissimo margine d'intervento per le forze dell'ordine riducono le possibilità di giocare d'anticipo.

Ecco perché tra gli omicidi “non riconducibili alla criminalità organizzata” emergono quelli commessi in famiglia: stabili sul 31 per cento nel 2001, i delitti tra le quattro mura salgono al 36,8 per cento nel 2002 e riscendono a quasi il 33 per cento nel 2003. Realizzati con pistole, coltelli ma anche corpi contundenti d'ogni genere, hanno alla base interessi economici, debiti, insicurezze affettive, o semplicemente un ménage difficile da gestire e incomprensioni portate all'estremo. Il tutto, sullo sfondo di una società che corre all'impazzata travolgendo valori solidi e credenze, che fa brillare solo ciò che sta in superficie, che impone standard di vita cui non tutti riescono ad accedere e che crea frustrazione, senso d'inadeguatezza, solitudine. Situazioni di disagio dalle mille facce che il più delle volte stanno alla base di un circolo vizioso fatto d'incomunicabilità e violenza, spesso coperta da un'ovattata omertà, da un impenetrabile strato di perbenismo, da un ricatto, da un gioco di potere oleato a perfezione e chiuso tra le silenziose mura di casa. Oppure da disturbi mentali.

L'instabilità e gli stati di grave depressione sono infatti sempre più spesso causa di omicidi familiari, nei quali tra l'altro a differenza dei delitti a opera del crimine organizzato le vittime sono in buona parte donne. Non solo. La statistica riportata nel rapporto dimostra come dal 2001 al 2003 il numero di reati dovuti a momenti di follia o scarsa razionalità è salito in modo costante. Il che rende ancora più evidente la necessità imminente: una prevenzione tutta incentrata sul piano sociale, sanitario, psicologico. Servono strutture che funzionano, personale formato ad hoc, tanta solidarietà. Soprattutto perché dalla triste statistica non sono esclusi i minori: il numero di bambini uccisi tra le mura di casa è costante dal 2001. E nella maggior parte degli infanticidi ad aiutare la madre è quasi sempre una persona di famiglia.
Difficile afferrare l'origine esatta di gesti così crudeli, tortuosa e piena di ostacoli la via da percorrere per andare a fondo alla dinamica. Un meccanismo trasversale che, a differenza di quanto molti pensano, non è affatto legato agli ambienti socialmente degradati o a condizioni d'instabilità economica ma tocca senza distinzione tutte le fasce sociali.  

01/10/2004