Fabrizio Carbone

La luce del futuro

CONDIVIDI

L'energia solare è una semplice ed economica alternativa a quella tradizionale. Nel nord Europa l'hanno capito da tempo, ma l'Italia stenta ancora a “lanciarsi”.

La luce del futuro

Maggio 1986, arcipelago della Finlandia del sud. Il professor Bergman, già direttore del museo di zoologia di Helsinki ci invita nell’isola di sua proprietà. L’occasione è la grande migrazione primaverile. Arrivati sul posto via mare il primo atto che il professore compie è semplice. Attacca alla presa di corrente il pannello solare. Dopo una perlustrazione dell’isola, durata non più di un’ora, la sosta in casa è sorprendente. Il riscaldamento è acceso, l’acqua in cucina è bollente, il forno ha già cotto una pizza surgelata.
Quasi 3 mila chilometri a nord di Roma, capitale del Paese del sole, 17 anni fa i pannelli solari erano una realtà. E in tutta l’Europa del nord, da allora, continuano ad esserlo. Sia a Friburgo o a Francoforte, in Germania, sia a Haarhus, in Danimarca,  che a Trondheim, in Norvegia, non solo si costruiscono nuove abitazioni munite di pannelli solari dell’ultima generazione, ma esistono agevolazioni per il cittadino che vuole mettere su un impianto fotovoltaico o solare termico. Friburgo, per essere più precisi, è la capitale del solare europeo. E per non smentirsi in quella città tedesca ci sono taxi che si muovono grazie ai pannelli solari. Di esempi se ne potrebbero fare a migliaia. In Italia, di fronte al problema delle fonti alternative di energia, il cittadino è smarrito, perplesso. Crede che per far funzionare i pannelli solari ci debba essere un sole splendente, senza nuvole, perché nessuno gli dice che basta la luce. E crede, sempre il cittadino italiano, che il risparmio sia minimo, che non serva più di tanto, che sia complicato mettere in piedi l’impianto. E soprattutto il cittadino italiano (un sondaggio eseguito da specialisti del settore parla dell’87% degli interrogati) non sa cosa fare, a chi rivolgersi. Ed è convinto che il costo del kilovattore sia troppo alto, non conveniente.
Parliamo allora del nostro amico sole che, per quanto è dato sapere, durerà ancora alcuni miliardi di anni. Questo enorme e incandescente corpo celeste è la prima fonte di vita per noi sei miliardi e passa abitanti del pianeta Terra. Ci invia luce e calore, in poche parole energia, e lo fa gratuitamente: ognuno ne può fare l’uso che vuole, nessuno può accaparrarsi le royalties, tutti possono goderne a pieno. E l’energia che il sole ci invia ogni giorno basta e avanza per il fabbisogno di tutta l’umanità. A costo zero e, importantissimo, a inquinamento zero. Senza la produzione di neppure un microgrammo di anidride carbonica, quella rovinosa CO2 che è responsabile del riscaldamento in atto, dell’effetto serra che rischia di metterci nei guai in un futuro neppure tanto remoto.
Con queste premesse sarebbe stato logico impostare tutto il processo di sviluppo economico e industriale sul sole: pulito, gratuito, perenne.
Invece non è stato così: l’homo tecnologicus (sapiens) ha puntato tutto sul carbone, sul petrolio greggio, sul gas naturale e persino sul legname per produrre energia. E ancora oggi è disposto a spendere miliardi di dollari per perfezionare la ricerca e la tecnologia che permette di estrarre l’oro nero a profondità abissali.
Il sole è lassù, sorge e tramonta, ogni giorno seguendo il suo percorso. Tutti sappiamo per quante ore al giorno possiamo sfruttarlo, 365 giorni all’anno. Ma non lo facciamo se non in minima parte: facciamo così finta che non esista. Se non fosse stato per l’avventura dell’uomo nello spazio, che permise lo sviluppo di sistemi e di tecniche per captare l’energia del sole con i primi rudimentali pannelli al silicio, oggi saremmo ancora all’età della pietra. E gli uomini dell’Ises (l’International Solar Energy Society), di cui è presidente l’italiano Cesare Silvi, spiegano che se solo le grandi corporation mondiali avessero investito il 10 per cento dei denari spesi per ricerche sul petrolio, nel campo delle fonti rinnovabili d’energia e quindi anche del solare, a questo punto la tecnologia sarebbe così avanzata da aver risolto tutti i problemi ancora sul tappeto. Pensate solo a questi fatti: negli anni ’60 con il solare fotovoltaico si produceva un kilowattora al costo di 144 dollari. Negli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80 il costo precipitava, nonostante i pochi investimenti, a un dollaro per un kilowattora. Oggi siamo arrivati a 25 centesimi di dollaro e la Banca mondiale, l’organismo più importante per gli investimenti e lo sviluppo nei paesi del Terzo e Quarto Mondo, lo stesso che trenta anni fa escludeva “qualsiasi futuro” per il solare fotovoltaico, oggi lo accetta come la migliore fonte di energia possibile per vastissime zone del pianeta dove l’energia tradizionale non arriva.
Oggi, le celle solari sono economiche e costa molto meno impiantarle in casa, solo se si è a più di 200 metri da una linea elettrica tradizionale. Il costo di allaccio di una casa di campagna alla rete elettrica è altissimo; si risparmia invece molto con i pannelli solari.
E la tecnologia avanza in modo inesorabile, mentre nel mondo gli impianti di energia solare crescono del 24 per cento all’anno. E costituiscono una voce perennemente in attivo nel campo dell’economia mondiale globalizzata.
L’Italia stenta a muoversi sui progetti che riguardano l’uso dell’energia solare basti pensare che la regione più avanzata nel settore è, incredibilmente, il Trentino Alto Adige, dove oramai non c’è nuova abitazione che non venga dotata di impianti misti tradizionale/fotovoltaico per un deciso risparmio di fonti inquinanti. Se solo tutte le abitazioni italiane, costruite dal 1970 ad oggi, fossero state munite di pannelli per lo sfruttamento dell’energia solare (anche solo per l’acqua calda dei bagni e della cucina) il risparmio dell’uso di combustibili fossili (petrolio e i suoi derivati fino agli oli densi altamente inquinanti e in alcuni casi cancerogeni) sarebbe talmente alto da permettere la chiusura di alcune centrali e a evitare totalmente il pericolo di black out.
È invece non è così. L’Italia, paese del sole, non informa i cittadini sulle ultime tecnologie dei pannelli (che oggi si possono inserire tra i coppi dei tetti) e anzi li scoraggia. Anche perché la teorica fine del monopolio dell’Enel come produttore unico di energia, non ha trovato pronti gestori alternativi che possano proporre energie diverse, pulite, a costo zero una volta messo in piedi l’impianto. Torniamo così ai Paesi nordici, all’avanguardia nel campo, tanto per concludere con un esempio. Al momento di firmare un contratto per la luce e l’elettricità in casa, il gestore, a cui ci si rivolge, informa il cittadino della possibilità di fruire di risorse energetiche rinnovabili (oltre al solare anche l’eolico). In Finlandia, così come in Svezia, Olanda, Norvegia o Danimarca, la società a cui il cittadino si rivolge fornisce all’istante un piano di spesa per l’energia rinnovabile in cui viene evidenziato il costo iniziale, le agevolazioni, i tempo di ammortamento della spesa (dilazionata in comode rate) e il risparmio a partire dal secondo anno di propria produzione di energia solare.
Sembra fantascienza. È invece una realtà semplicemente normale, in Paesi in cui è alto il senso della responsabilità collettiva, di fronte a problemi epocali, come quello di inquinare meno e ridurre (cosa che ci chiedono da anni gli scienziati che lavorano sotto l’egida dell’Onu) le emissioni di anidride carbonica in atmosfera. 
01/01/2004