di Michela Berti*
Spirito di libertà
Livorno città complessa in cui ogni giorno si rinnova il legame tra polizia e cittadini anche grazie al gioco di squadra delle istituzioni
“Le leggi di Livorno durano un giorno”. Livorno, città con vocazione anarchica, calpestata da gente di sangue misto, ha nel suo Dna la regola del non darsi regole. Una città le cui origini si basano su quelle Livornine (una serie di provvedimenti legislativi emanati dal granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici) che, nel 1600, consentirono asilo e traffici liberi a tutti le popolazioni del Mediterraneo, anche a quei reietti che non trovavano riparo altrove. Il livornese è semplice, schietto, becero, irriverente e per questo anche un po’ maledetto. Pensiamo ai suoi artisti più famosi, da Modigliani a cantautore Piero Ciampi. Pittori, poeti, musicisti uniti da un filo rosso: «Io sono un poeta sempre anche quando sbaglio lo faccio da poeta. E posso fare e dire quello che mi pare perché sono un poeta» parole di Ciampi. Il livornese ama fare quello che gli pare, ecco perché “Le leggi di Livorno durano un giorno”, concetto filosofico diventato stile di vita. Per i livornesi infatti darsi regole e soprattutto rispettarle è complicato.
Ma le regole sono alla base della convivenza, in famiglia e in una comunità quale la città nella quale viviamo. Ed è proprio all’educazione del rispetto di queste regole – che significa anche rispetto delle istituzioni e dunque del bene pubblico – che si è votato Roberto Massucci, alla guida della Questura labronica dal primo marzo 2021, con il Progetto Sicurezza. Un’operazione che ha ribattezzato di sartoria sociale partita proprio dall’analisi di quelli che sono gli strappi nella società livornese.
«Il punto di partenza è stato costruire un legame forte tra cittadini e istituzioni – dice Massucci – e affinché il legame sia forte c’è bisogno di un contatto, della presenza fisica sul territorio. È importante che il livornese, schietto e concreto nei rapporti, abbia cognizione della fisicità di chi prende decisioni sulla sicurezza». Da qui sono nate molte iniziative, a partire dall’ascolto dei residenti nei quartieri di Borgo, Shangai e Corea per capire direttamente dalle loro voci cosa si aspettano dalle istituzioni e come percepiscono la sicurezza.
Il filo del “sarto sociale” è servito a ricucire quegli strappi legati a un contesto giovanile difficoltoso che ha bisogno di essere ascoltato e indirizzato in maniera chiara. Un lavoro che dovrà proseguire in futuro, portato avanti dalla Polizia di Stato in tutta la provincia di Livorno, dal capoluogo all’isola d’Elba. Un lavoro che ha messo al centro la movida, quell’onda di giovani che a volte straborda e oltrepassa il recinto del rispetto degli orari, del decoro, del sonno altrui. Sono stati chiamati in campo anche i sindaci perché spetta al primo cittadino indicare la visione della comunità e al questore garantire il rispetto delle regole per la serenità di quella comunità. Il protocollo movida Livorno ha fatto scuola, ripreso anche da altre città perché non è facile, non solo all’ombra dei Quattro Mori, trasformare il divertimento in convivenza civile. «Ci sono state risposte importanti anche dalla componente imprenditoriale – spiega il questore Massucci – sulla quale registro miglioramenti rispetto al passato. All’inizio, infatti, la mia offerta di lavorare insieme veniva derubricata con la mancanza di soldi. Poi, invece, si è compreso che investire sulla sicurezza della propria attività aveva un effetto positivo e quindi, a fronte di provvedimenti anche pesanti come la chiusura degli esercizi commerciali, dopo le prime reazioni scomposte – tipo “farò rico