Luigi Lucchetti*

Senza giri di parole

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Il suicidio nelle forze di polizia è un fenomeno che non va sottovalutato né enfatizzato, ma affrontato in modo trasparente. Ecco quello che è emerso in un recente convegno

suicidio ps

Inizia dall’onestà intellettuale di chiamare le cose con il proprio nome il primo passo per affrontarle. Soprattutto quando il nome in questione è suicidio. 

Un passo importante è stato fatto  lo scorso 16 giugno organizzando presso la Scuola superiore di polizia il convegno “Suicidio e Law-Enforcement”, che ha visto la partecipazione, come relatori, di illustri accademici di Sapienza Università di Roma e degli specialisti psichiatri e psicologi della Direzione centrale di sanità. 

Il capo della Polizia Franco Gabrielli ha premesso la necessità di affrontare questa delicata problematica in maniera chiara e trasparente, in un percorso che parta dalla conoscenza dei dati dei suicidi, pur non rappresentando questo un fenomeno emergenziale. «Questo evento non è nato solo dalla mia volontà – ha affermato il prefetto Gabrielli – ma dal concorso di varie volontà, perché anche questo incontro di oggi si inserisce nella modalità di percorrere la strada che ci siamo proposti. Questa modalità è trasparenza, chiarezza, anche crudezza nel mettere sul tavolo i problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno, però avendo una stella polare che è la cura e la protezione del nostro capitale umano. Noi avremo sicuramente ausili tecnici, strumentali, normativi, ma se non sapremo proteggere, curare e indirizzare correttamente il nostro capitale umano, avremo tralasciato gran parte della nostra mission». Nel sottolineare la necessità di arrivare dritti al cuore delle cose, il capo della Polizia ha così continuato «mi piace anche che, al di là dell’anglicismo, le cose vengano chiamate con il loro nome, né con giri di parole o con quella modalità lessicale che tende più a edulcorare che non ad andare al cuore del problema: il suicidio. Io credo che anche su questo tema dobbiamo essere estremamente onesti nell’affrontare il problema, ma anche nel non enfatizzarlo. E proprio perché non vogliamo né enfatizzare, né sottacere, né sottovalutare, affrontiamo le cose in maniera chiara e trasparente; e quindi affrontiamo il problema, che esiste. Esiste in tutte le organizzazioni umane e, ovviamente, nel nostro settore, con una particolare incidenza che, a volte, la lettura critica del dato potrebbe in qualche modo far rappresentare come una situazione quasi emergenziale e che, per fortuna, non è così, ma al tempo stesso è un problema che noi non possiamo mettere da parte o nascondere sotto a un tappeto». A sottolineare che quello dei suicidi tra le forze dell’ordine non è un fenomeno emergenziale è stato il primo dirigente medico Cinzia Grassi, direttore del Centro di neurologia e psicologia medica, che ha mostrato come nel decennio 2006-2016 i casi siano in calo rispetto a quello precedente.

Ma gli interventi tecnici del convegno sono stati preceduti dalla toccante testimonianza della sorella di un dipendente che si è tolto la vita, nella quale il dolore si è mescolato alla accorata richiesta, fatta all’Amministrazione, di mettere in campo ogni possibile misura atta a intercettare chiunque si trovi a vivere momenti di grande angoscia e sconforto (vedi box). 

Roberto Tatarelli, professore ordinario di Psichiatria alla Sapienza, nonché studioso da

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04/07/2017