Simonetta Zanzottera
Storia di un sito archeologico
Le maestose rovine di uno dei complessi termali più celebri dell’antichità si staglia nello skyline della Capitale, contribuendo a renderlo unico
“Siamo andati a vedere stamattina le rovine delle Terme di Caracalla che si trovano in città, cioè dentro la cinta delle mura. […] Questi resti informi, notevoli soltanto per la grandiosità delle mura che restano in piedi, furono un tempo uno dei luoghi più lussuosi di Roma. Qui duemilatrecento persone potevano farsi il bagno contemporaneamente, e senza vedersi l’un l’altro; ogni cameretta era rivestita di marmi preziosi e ornata di bronzi dorati...”.
Così lo scrittore francese Stendhal, in occasione di una visita risalente al 1828, descrive il sito archeologico romano che sorge fra l’Aventino e il Celio, su un terrazzamento nei pressi di Porta Capena.
Ancora oggi le colossali rovine del complesso edilizio si stagliano maestose nello skyline di Roma, a testimonianza della grandiosità raggiunta dall’arte edilizia romana.
L’impianto delle terme si estendeva su una superficie pressoché quadrata (337x328 metri) al centro della quale si trovava l’edificio destinato alla balneazione, circondato da una vasta area destinata a giardino e chiusa interamente da un alto muro di recinzione, articolato all’interno con porticati, esedre e addirittura biblioteche. La presenza di giardini, grandi viali per il passeggio, portici, fontane, sale, biblioteche fece sì che l’edificio termale diventasse un centro di forte attrazione per i cittadini romani che, oltre al bisogno più propriamente igienico, andando alle terme vedevano soddisfatti anche le proprie esigenze di socialità, cultura e spiritualità.
Frequentate principalmente dal popolo – le classi più elevate preferivano quelle di Nerone al Campo Marzio e quelle di Traiano sul Colle Oppio, ritenute più aristocratiche – fin dai primi anni della costruzione furono considerate una delle sette meraviglie di Roma: