Mauro Valeri

Strategie condivise

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I 20 anni del Comitato di analisi strategica antiterrorismo rappresentano un’importante occasione per fare il punto sul fenomeno nel nostro Paese

pp 6-24

È il 12 novembre del 2003, siamo in Iraq, nella base militare “Maestrale” a Nassirya, sede del contingente italiano impegnato nella missione di pace “Antica Babilonia”. I militari italiani sono tra i più apprezzati, poiché riescono ad entrare in contatto con le popolazioni locali comprendendone realmente le necessità. Quel giorno però nella base irrompe un camion cisterna blu carico di tritolo. L’esplosione è terribile e stronca la vita di 28 persone: 12 carabinieri, 5 soldati dell’Esercito, 1 cooperatore internazionale, 1 regista e 9 cittadini iracheni. È il più grave attacco subito dall’Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale e a compierlo sono stati gruppi terroristici vicini ad Al-Qaida. Quell’orrore non doveva più ripetersi ed era necessaria una risposta forte nell’organizzazione del contrasto al terrorismo. Per questo l’allora ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, firma, pochi mesi dopo, il decreto di approvazione del Piano Nazionale per la gestione di eventi di natura terroristica, nel cui ambito erano definite le modalità di composizione e funzionamento del neonato Comitato di analisi strategica antiterrorismo, il Casa. Modalità poi riviste, anche alla luce dell’evoluzione della minaccia e di alcune disposizioni normative, in un decreto ad hoc, del 20 aprile 2023, del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Quello a cui si è dato vita è un Comitato dalla composizione inedita, poiché vede sedere insieme, allo stesso tavolo, polizia giudiziaria e servizi di intelligence rappresentando così un importante strumento di condivisione e valutazione delle informazioni relative alla minaccia terroristica interna ed internazionale. Presieduto dal direttore centrale della polizia di prevenzione, è composto da rappresentanti delle forze di polizia a competenza generale (Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri), dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (Dis, Aise e Aisi) e, per i contributi specialistici, dalla Guardia di Finanza e dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E proprio il mese scorso il Casa ha compiuto i  primi venti anni di attività, ricorrenza celebrata presso la Scuola superiore di polizia a Roma. Ad aprire il primo dei due panel dell’evento, dedicato alla condivisione di informazioni nell’attività antiterrorismo e moderato da Flavia Giacobbe, direttore della rivista “Formiche”, Diego Parente, direttore centrale della polizia di prevenzione: « … l’intuizione di creare i presupposti per un rapporto sinergico virtuoso fra Enti/organismi caratterizzati da differenze in termini di conoscenze, competenze ed abilità, ma accumunati dall’essere istituzionalmente deputati a declinare le politiche di sicurezza ha fatto si che il Casa diventasse, nel corso degli anni, non solo uno dei principali asset di condivisione delle informazioni afferenti ad eversione e terrorismo ma anche un vero e proprio laboratorio di best practice nel contrasto alla minaccia terroristica, con indiscutibili riflessi positivi di natura tattica e strategica». Best practice scambiate anche con strutture omologhe realizzate in altri Paesi, come il Centro de inteligencia contra el terrorismo y el crimen organizado spagnolo. Ed è il suo direttore, Manuel Navarrete Paniagua, a sottolineare come il Centro rappresenti il momento di passaggio dalla competizione alla cooperazione tra numerosi attori, dalle forze dell’ordine ai servizi segreti militari e civili, dalle organizzazioni internazionali alle forze di polizia estere, così da offrire ai vertici politici un quadro situazionale preciso che gli permetta di assumere le decisioni necessarie per il contrasto del terrorismo.

Per facilitare, nel nostro Continente, lo scambio di informazioni in questo delicato settore è nato l’ European counter terrorism centre, Centro europeo per il contrasto del terrorismo (Ectc), diretto da Anna Sjöberg che evidenzia come il Casa sia stato di vera e propria ispirazione per la nascita del Centro europeo e che, analogamente a questo, si occupi di “ costruire ponti e connettere punti”, incrociando, in tempo reale, i dati operativi provenienti dalle forze di polizia con quelli custoditi nelle banche dati dell’Europol e portando così alla luce indizi e collegamenti tra diverse indagini. «Molto è stato fatto -  conclude il direttore dell’Ectc - ma molto deve essere ancora fatto, anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale». A testimoniare lo stretto legame tra l’Europol e il Casa è stata firmata, nel novembre 2022, una lettera di intenti fra il presidente del Comitato e il direttore esecutivo  dell’Agenzia europea, Catherine De Bolle, che prevede forme di cooperazione strategica fra i due organismi.

Il secondo panel, dedicato all’analisi dello scenario e all’evoluzione della minaccia e moderato da Maurizio Molinari, direttore de “la Repubblica”, è introdotto dal capo della Polizia, Vittorio Pisani, che sottolinea l’importanza del “fattore umano” nel Casa, le donne e gli uomini che ne fanno parte: «Voglio ringraziare tutti i colleghi che hanno fatto parte del Comitato. Al di là delle organizzazioni, sappiamo tutti che sono gli uomini a far funzionare le strutture. Quindi, se in questi anni il Casa ha raggiunto dei risultati eccezionali, è grazie all’impegno di tutti i colleghi che, con grande maturità professionale, hanno sempre posto al centro della loro attività la circolarità informativa, la condivisione delle informazioni. Un ringraziamento va anche al comparto “intelligence” che ha fatto lo stesso».

«Quando nacque il Casa – evidenzia il ministro Piantedosi – lo scenario mondiale era completamente differente: basti pensare al ruolo della Russia, al Nord Africa, che presentava una maggiore solidità nel contrastare i fenomeni criminali e di immigrazione irregolare, e alle organizzazioni terroristiche internazionali, la più importante delle quali era Al-Qaida. Negli anni successivi sono scoppiate crisi regionali in Iraq e in Siria e sono nate nuove organizzazioni terroristiche che utilizzano nuovi modi di comunicare. A questi cambiamenti sono però corrisposte innovative metodologie di analisi. L’efficacia del Casa negli anni non è quindi diminuita, ma aumentata, fornendo decisivi contributi al decisore politico per offrire sicurezza allo Stato».

Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, evidenzia come la nuova frontiera della sicurezza globale sia senza dubbio quella cyber. Gli attacchi informatici, dopo l’invasione dell’Ucraina e le tensioni in Medio Oriente, sono cambiati, nei numeri e nelle modalità. «Nel 2023 - evidenzia il sottosegretario – gli attacchi a sfondo criminale sono cresciuti di circa il 27% rispetto all’anno precedente, ma quelli di matrice “politica” sono cresciuti del 625%, l’ottanta per cento dei quali rivendicato da gruppi attivisti filo russi o pro Palestina. Il cyberspazio è diventato il principale luogo di reclutamento jihadista e ciò rende più complesse le attività di contrasto e prevenzione. Il Consiglio dei ministri, per fronteggiare questo fenomeno, ha presentato un disegno di legge sulla cybersecurity (già approvato dalla Camera ed ora al vaglio del Senato, ndr) che mira a estendere il “perimetro” della sicurezza informatica interessando non solo le strutture “di sicurezza” in senso stretto, ma anche Comuni, Asl e aziende di trasporto locale, i cui sistemi informatici sono spesso oggetto di attacco». Rafforzate poi le funzioni dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) e il relativo coordinamento con l’autorità giudiziaria nelle ipotesi di cyberattacchi.

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Parola al direttore

Metodologie di contrasto, attività operativa e minacce attuali, di questo abbiamo parlato con Diego Parente, a capo della Direzione centrale della polizia di prevenzione e presidente del Comitato di analisi strategica antiterrorismo.

Quali sono i principali scenari di crisi internazionali e quale la loro “ricaduta” sulla sicurezza interna?
L’analisi di scenario ha una notevole valenza sotto il profilo strategico in quanto consente di cogliere i possibili riflessi negativi sulla cornice di sicurezza e quindi predisporre tempestivamente le azioni di contrasto più idonee. Penso, ad esempio, ai riflessi del teatro di crisi siro-iracheno nel periodo di espansione territoriale dell’Islamic State sia in termini di combattenti affluiti in gran numero dall’Europa come da ogni altra regione del mondo che, soprattutto, con riferimento ai numerosi e sanguinosi attentati commessi in Europa a partire dal 2015 e rivendicati da quell’organizzazione terroristica. Altri scenari che, per gli stessi motivi, sono stati negli ultimi anni oggetto di approfondimento sono quello afgano all’indomani del ritorno al potere dei Talebani, quello russo/ucraino a seguito dell’invasione operata dall’esercito di Mosca, quello africano divenuto ormai la terra di elezione, anche in chiave competitiva, delle organizzazioni che si rifanno ai principali brand del terrorismo jihadista e, infine, lo scenario mediorientale soprattutto a seguito dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e della reazione militare di Israele. Queste ultime vicende hanno senz’altro determinato un ulteriore innalzamento del livello della minaccia anche nel nostro Paese che viene espressamente citato dalla propaganda jihadista quale possibile target da colpire. In questo contesto appaiono significative, oltre alle numerose manifestazioni che si stanno succedendo senza soluzione di continuità nelle piazze e nelle università italiane soprattutto in chiave filo palestinese, due operazioni di polizia portate a termine negli ultimi mesi: l’arresto di un cittadino italo-giordano autore, lo scorso primo febbraio, del lancio di due ordigni incendiari in un’area prospicente al Consolato Americano di Firenze e gli arresti operati nel mese di marzo, a L’Aquila, di tre palestinesi che finanziavano e pianificavano le attività di una organizzazione terroristica attiva in Cisgiordania per la realizzazione di attentati contro obiettivi israeliani. 

Le espulsioni di cittadini stranieri e il respingimento in ingresso nell’area Schengen per motivi di sicurezza nazionale che ruolo giocano nel contrasto al terrorismo?
Si tratta di due importanti azioni preventive che stanno offrendo un importante contributo alla cornice di sicurezza non solo italiana. I dati numerici sono molto significativi e riferibili a soggetti che, sulla base di elementi investigativi o di intelligence, evidenziano un  profilo di pericolosità in ordine al possibile coinvolgimento in azioni violente. In particolare, dal 2015, sono state eseguite circa 770 espulsioni, mentre dal 2017 – anno in cui il legislatore ha individuato nel direttore centrale della polizia di prevenzione l’autorità che adotta, su parere del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, la decisione dell’inserimento nel sistema di informazione Schengen di una segnalazione ai fini del rifiuto di ingresso – sono stati adottati provvedimenti di entry ban nei confronti di quasi 8mila cittadini di paesi terzi. Appare anche significativo il dato che quasi la metà degli espulsi provengono dal circuito carcerario ove sono oggetto di monitoraggio da parte di una articolazione specializzata della Polizia Penitenziaria che fa confluire gli esiti dell’attività al “tavolo permanente sui detenuti a rischio di radicalizzazione violenta”, uno dei tanti gruppi di lavoro creati nell’ambito del Casa per monitorare con continuità alcune minacce ritenute, nel tempo, maggiormente insidiose.  

Che livello di minaccia rappresentano i foreign fighters di ritorno dai teatri di guerra?
L’Islamic State ha esercitato un grande potere attrattivo su alcuni settori della popolazione di fede islamica, determinando una migrazione senza precedenti verso il teatro siro-iracheno di persone determinate ad unirsi e combattere per quell’organizzazione terroristica. Appare di tutta evidenza che la presenza in territori di guerra, oltre ad accelerare o esacerbare processi di radicalizzazione, consente di acquisire una expertise militare che non può non suscitare preoccupazione in caso di rientro nei Paesi di origine e/o partenza. Alla luce di questi profili di pericolosità da anni all’interno del Casa è attivo un gruppo di lavoro permanente con il compito di stilare una lista condivisa dei combattenti partiti dall’Italia o, comunque, con significativi legami con il nostro Paese e di monitorarli costantemente allo scopo di scongiurare un loro rientro clandestino. Allo stato attuale la lista comprende 149 foreign fighters, di cui 62 deceduti e 39 returnees, 11 dei quali in Italia. Di questi ultimi, 3 sono stati processati e condannati per reati afferenti al terrorismo e uno in particolare è risultato essere un carceriere dello stato islamico, autore di torture nei confronti dei prigionieri che si rifiutavano di convertirsi o di aderire a quell’organizzazione terroristica.  

Alcuni attentati compiuti nelle capitali europee sono stati realizzati da lupi solitari e non da articolate organizzazioni terroristiche…
La figura del cosiddetto “lupo solitario” è strettamente connessa al ruolo sempre più rilevante assunto dalla narrativa riconducibile alle organizzazioni terroristiche nell’innescare, grazie a una postura apologetica e istigatoria, processi di radicalizzazione violenta soprattutto in persone vulnerabili per fattori sociali, economici, di età e di salute mentale. In molti casi il passaggio all’azione è repentino, rendendo quindi molto difficile l’attività di individuazione soprattutto per l’assenza di segnali di rischio intercettabili in ambito relazionale. Diventa, quindi, imprescindibile una sistematica attività di monitoraggio del Web, condotta in stretta collaborazione con la polizia cibernetica e con le Agenzie di intelligence, nonché la creazione di una “rete” con tutte quelle realtà della società civile – istruzione, sanità, servizi sociali etc. – che possono svolgere un ruolo importante sia in termini di individuazione precoce dei percorsi di radicalizzazione che nella definizione ed attuazione di progetti di depotenziamento. Infine, a rendere il quadro ancora più complesso interviene l’età sempre più bassa dei soggetti che subiscono la fascinazione della propaganda violenta proveniente da ambienti jihadisti e di estrema destra: dal 2020 ad oggi oltre la metà delle persone poste sotto la lente di ingrandimento in indagini afferenti al fenomeno del “suprematismo bianco” di origine nordamericana sono minorenni e in alcuni casi addirittura infra-quattordicenni. Inoltre è sempre più frequente osservare, soprattutto da parte dei giovanissimi, un interesse focalizzato più sulla natura violenta dei contenuti e sulla volontà di replicarli che sugli aspetti ideologici, dando luogo ad un fenomeno che ritengo assumerà, nell’immediato futuro, i contorni di una importante sfida per gli apparati della prevenzione.  

Ci racconta un’indagine antiterrorismo che l’ha colpita particolarmente?
Mi piace citarne una in particolare in quanto esemplificativa dell’approccio italiano alla minaccia terroristica e del ruolo centrale rivestito dal Casa. Nell’aprile del 2018, in occasione di una riunione del Comitato, l’Intelligence riferì di una notizia acquisita in ambito di cooperazione internazionale relativa alla presenza in Italia di uno straniero che aveva postato un giuramento di fedeltà ad Al Baghdadi, autoproclamato Califfo dell’Islamic  State, condotta dai risvolti molto insidiosi per la sicurezza in quanto abitualmente prodromica ad una attivazione violenta da parte dell’autore. Gli elementi forniti dall’Intelligence sono stati immediatamente sviluppati congiuntamente da Polizia di Stato e Carabinieri e hanno consentito di rintracciare in un centro di accoglienza di Napoli un giovane gambiano nei cui device è stato effettivamente rinvenuto il predetto giuramento di fedeltà e che è stato quindi destinatario di un provvedimento restrittivo. Ulteriori approfondimenti, coordinati dalla Procura della Repubblica di Napoli all’epoca diretta dall’attuale procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo Giovanni Melillo, hanno poi consentito di accertare che l’arrestato faceva parte di un gruppo di gambiani che, in esito ad una opera di indottrinamento e radicalizzazione effettuata in alcuni luoghi di culto del Paese di origine, erano stati indirizzati verso campi di addestramento militare gestiti da appartenenti allo stato islamico nel deserto libico. Al termine dell’addestramento alcune reclute erano state inviate all’interno dei territori controllati da quell’organizzazione terroristica per essere utilizzati come soldati ed altre in Europa, sfruttando i canali dell’immigrazione clandestina, evidentemente allo scopo di essere “attivati” in un momento successivo. Fra questi ultimi è stato possibile rintracciare e, quindi, trarre in arresto un ulteriore soggetto che aveva seguito il medesimo percorso di arruolamento ed addestramento e che era ospite in un centro di accoglienza di Bari. Entrambi i gambiani sono stati condannati e, a pena espiata, espulsi. 

La presidenza del G7 ha innalzato il rischio di attacchi terroristici nel nostro Paese?
Gli appuntamenti legati alla presidenza italiana del G7 si collocano in una cornice condizionata dagli scenari di crisi internazionale che, come detto in precedenza, hanno senz’altro contribuito ad innalzare il rischio di azioni contrindicate. Sono state, pertanto, messe in campo una serie di iniziative preventive, coordinate tra gli Enti del Casa, finalizzate ad avere una valutazione sempre puntuale del livello della minaccia e ad intercettare, in tempo utile, dinamiche in grado di incidere negativamente sull’ordine e la sicurezza pubblica. La Direzione centrale della polizia di prevenzione, attraverso le sue articolazioni periferiche, negli ultimi mesi ha progressivamente ampliato e intensificato il monitoraggio dei target di specifico interesse, facendo ricorso a tutti gli strumenti offerti dalla normativa e relazionandosi con i collaterali esteri nel cui territorio operano gruppi estremistici a vario titolo collegati con il nostro Paese. Consentitemi poi di fare un riferimento all’importante lavoro svolto dal nostro reparto speciale, il Nocs, che, come sempre accade in occasione della presenza di personalità internazionali potenzialmente esposte “a rischio”, sarà chiamato a fornire, con la riconosciuta competenza e professionalità, un decisivo contributo alla sicurezza dell’evento. 

Come capo dell’antiterrorismo italiano, c’è qualche consiglio che vuole dare agli operatori delle forze dell’ordine che operano su strada? 
Reputo necessario sensibilizzare gli operatori che agiscono come front office sul territorio in relazione all’importanza dello strumento della consultazione degli archivi digitali, sia internazionali che nazionali, con riferimento all’ingaggio, a vario titolo, di individui che possono avere collegamenti con il terrorismo. Tale aspetto deve essere interpretato sotto il profilo delle necessarie misure di autotutela da adottare ma anche del contributo che può essere assicurato alle attività di prevenzione. La Dcpp, infatti, investe molto nel rendere sempre attuali le numerose segnalazioni inserite nelle banche dati a disposizione proprio allo scopo di condividere, nel modo più ampio possibile, ogni utile informazione con coloro che sono chiamati ad effettuare gli interventi di “prima linea”. Tale impegno è rivolto non solo all’implementazione del Sistema informativo interforze ma anche e soprattutto degli archivi di polizia internazionali come lo Schengen information system (Sis) e la banca dati Interpol. Contemporaneamente, sono state avviate mirate iniziative di cooperazione con tutti gli attori internazionali interessati per contribuire a rafforzare il perimetro di sicurezza inserendo anche i dati di natura biometrica ovvero provenienti da scenari di conflitto (battlefield data) nei citati database in modo da metterli a disposizione tempestivamente delle componenti delle forze di polizia impegnate sul campo. 

 

11/06/2024