a cura di Mauro Valeri
In nome della legge
CASSAZIONE PENALE
Pene sostitutive della pena detentiva – Valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cp anche ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva da applicare – Necessità – Ragioni
Il giudice di primo grado in sede di condanna dell’imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 dlgs 10 ottobre 2022, n. 150, è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cp, sia i fini della determinazione della pena da infliggere, sia, in esito a tale operazione, ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva ex art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, dovendo esservi continuità e non contraddittorietà tra i due giudizi, così da favorire tanto più l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20 bis cp quanto minore risulti, rispetto ai limiti edittali, la pena in concreto inflitta.
(Sez. II – 28 febbraio 2024 n. 8794)
Recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale – Contestazione suppletiva avvenuta dopo la decorrenza del termine di prescrizione del reato originariamente contestato – Valutazione ai fini del tempo necessario a prescrivere – Esclusione
Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.
(Sez. Unite – 14 dicembre 2023 n. 49935)
Detenzione di materiale pedopornografico – Nozione – Partecipazione a una “chat” collettiva di Telegram – Archiviazione di “file” di contenuto pedopornografico nel “cloud storage” della “chat” – Configurabilità del delitto di cui all’art. 600 quater, comma primo, cp – Sussistenza
La Terza Sezione penale, in tema di delitti contro la persona, ha affermato che integra la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600 quater, comma primo, cp la disponibilità di “file” di contenuto pedopornografico archiviati sul “cloud storage” di una “chat” di gruppo nello spazio Telegram e accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia consapevolmente preso parte ad esso.
(Sez. II – 4 settembre 2023 n. 36572)
IL COMMENTO
Aggressione sessuale: la mancata reazione della vittima non esclude il reato*
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, in riforma di quella di primo grado, aveva assolto dalla contestazione di violenza sessuale un uomo, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 2 aprile 2024, n. 13222 – nell’accogliere la tesi della difesa di parte civile, secondo cui la Corte d’appello erroneamente aveva evidenziato l’assenza di una reazione fisica della persona offesa nonché l’assenza di segni esteriori indicativi di una violenza, facendo richiamo alla anacronistica massima della “vis grata puellae” – ha annullato la sentenza assolutoria, osservando come la circostanza per cui la vittima avesse riferito di essere rimasta sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali, consumati all’interno di un furgone in zona isolata e in piena notte, ove non vi era nessuno a cui chiedere aiuto, ma anche quando, rimasta a pochi minuti da sola all’interno della macchina dell’aggressore con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga, non è sufficiente ad escludere la configurabilità dell’illecito penale.
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 609 bis, cp sotto la rubrica “Violenza sessuale”, punisce con la reclusione da sei a dodici anni la condotta di chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Secondo la Cassazione, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, sono prive di rilevanza le circostanze relative all’assenza di lesioni personali sul corpo della vittima, il comportamento remissivo della stessa, anche successivo ai fatti, e le esitazioni nello sporgere denuncia, in quanto tali circostanze sarebbero facilmente spiegabili con lo stato di terrore nel quale versa la vittima (Cass. pen., Sez. III, 21/2/2000, n. 1911).
Inoltre, si è affermato che il delitto di violenza sessuale si configura anche laddove la violenza non sia stata tale da annullare la volontà del soggetto passivo: è sufficiente, infatti, che la volontà risulti coartata (Cass. pen., Sez. III, 31/1/2024, n. 4199; Cass. pen., Sez. III, 18/5/2021, n. 19611). Ancora, si è precisato che integra l’elemento oggettivo del delitto in esame non solo la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione del dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso della persona offesa, non espresso neppure tacitamente, ove la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona (nella specie, gli atti sessuali erano stati realizzati su una persona dormiente: Cass. pen., Sez. III, 8/5/2017, n. 22127).
Ancora, integra la violenza sessuale il fatto di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, inizialmente prestato, venga meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, poiché il consenso della vittima al compimento degli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto (Cass. pen., Sez. III, 27/1/2020, n. 3158; Cass. pen., Sez. III, 5/4/2019, n. 15010; Cass. pen., Sez. III, 7/3/2016, n. 9221. Nel medesimo senso: Cass. pen., Sez. III, 6/2/2014, n. 5768). E ciò vale anche nel caso di pratica erotica “straordinaria”, del tutto equiparabile alla pratica erotica “ordinaria”, poiché entrambe devono considerarsi lecite ove coinvolgano persone consenzienti (Cass. pen., Sez. III, 26/11/2021, n. 43611). Peraltro, poiché il consenso all’atto sessuale deve essere verificato nel momento nel quale si consuma il rapporto, prescindendo dal comportamento provocatorio in precedenza assunto, e deve, appunto, permanere per l’intera durata del rapporto, l’eventuale sopravvenuto dissenso integra il reato, precludendo anche il riconoscimento dell’attenuante della minore gravità al cospetto delle altre condizioni previste dalla legge (Cass. pen., Sez. III, 26/7/2023, n. 32447).
Si è poi affermato che non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutto il periodo di esecuzione del delitto, essendo sufficiente che si estrinsechi all’inizio della condotta antigiuridica (Cass. pen., Sez. III, 29/1/2008, n. 4532; Cass. pen., Sez. III, 29/2/2000, n. 2512) e che la violenza richiesta per l’integrazione del reato è anche quella che si manifesta «nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo»: si pensi, ad esempio, all’improvviso palpeggiamento del seno (Cass. pen., Sez. III, 18/10/2013, n. 42871).
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello, in riforma integrale della pronuncia di condanna emessa dal giudice di primo grado, ed in accoglimento dell’appello dell’imputato, aveva assolto un uomo, con revoca delle statuizioni civili, per quanto qui di interesse, per il reato di violenza sessuale, consistito nell’aver costretto una donna a subire plurimi rapporti sessuali, in orario notturno, prima in una zona isolata, all’interno del proprio furgone, e successivamente in un’abitazione nella sua disponibilità, approfittando del fatto di averle offerto un passaggio al rientro da una serata trascorsa in discoteca, a fronte delle rimostranze manifestate dalla persona offesa, che chiedeva di essere riaccompagnata a casa, ed avendole provocato ecchimosi, escoriazioni e lesioni personali.
Ricorrendo in Cassazione, ai soli effetti civili, la persona offesa sosteneva l’erroneità della sentenza assolutoria. In particolare, la sentenza assolutoria aveva erroneamente riconosciuto un ruolo decisivo, ai fini dell’affermazione della credibilità della persona offesa, a quanto dichiarato da un teste su circostanze marginali della vicenda, relative alla fase antecedente alla violenza subita e concernenti la circostanza in cui la persona offesa, rimasta sola, senza le amiche e il fidanzato, con il quale aveva litigato, aveva cercato un passaggio per poter rientrare a casa.
La Corte d’appello aveva quindi ribaltato l’esito del giudizio del primo grado sulla base di quanto riferito da un teste, che aveva affermato che la richiesta di essere accompagnata a casa in piena notte provenisse dalla persona offesa e non dall’imputato. Inoltre, la Corte d’appello aveva più volte evidenziato l’assenza di una reazione fisica della persona offesa nonché l’assenza di segni esteriori indicativi di una violenza, facendo richiamo alla anacronistica massima della vis grata puellae, assunto in base al quale la donna ha un onere di resistenza, forte e costante, agli approcci sessuali dell’uomo, non essendo sufficiente manifestare un mero dissenso. Inoltre, la Corte d’appello non aveva considerato che la mancata fuga da parte della persona offesa, rimasta nell’auto da sola per circa due minuti sotto la casa della nonna dell’imputato, mentre egli andava a prendere le chiavi, non era da ricondurre ad uno stato di prostrazione psichica tale da inibirle qualunque forma di reazione concreta ed attiva.
La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha annullato la sentenza assolutoria d’appello. In particolare, la S.C. ha osservato come i giudici di appello avrebbero dovuto chiarire le ragioni per le quali egli abbia ritenuto inattendibili le deposizioni della persona offesa e, in particolare, le ragioni per le quali non avevano ritenuto attendibile il pianto della ragazza nell’immediatezza dei fatti allorquando, appena scesa dalla macchina dell’imputato aveva manifestato al teste tutto il suo disagio, mettendosi a piangere e raccontando di essere stata violentata.
Non poteva poi non rilevarsi come difettasse, in particolare, una disamina della tematica relativa al rinvenimento di indumenti intimi, appartenenti alla persona offesa, che erano stati acquisiti in giudizio e che risultavano lacerati e alle ragioni per le quali la persona offesa, al termine della serata, appena incontrato l’amico, poi teste, e scesa dall’auto dell’imputato, una volta rimasta sola, si fosse messa a piangere e avesse affermato, nell’immediatezza, di essere stata violentata, confermando il giorno successivo il racconto anche alla madre, alle numerose amiche (in particolare richiamandosi una teste) e successivamente alla psicologa.
La Corte d’appello, dunque, avrebbe dovuto spiegare per la Cassazione in maniera puntuale le ragioni per le quali ha ritenuto di addivenire ad una pronuncia di segno opposto rispetto a quella di primo grado, che aveva evidenziato come l’imputato, convinto che si fosse creata una situazione favorevole e forte del pregiudizio secondo cui la stessa era una ragazza” facile”, mosso dal desiderio maturato da tempo di avere un rapporto sessuale con lei, ha disatteso i segnali di dissenso che la stessa aveva manifestato. La giovane aveva infatti riferito di essersi sempre opposta agli atti sessuali, chiedendo ripetutamente di essere riaccompagnata a casa e che per lei si trattava solo di un passaggio.
La persona offesa aveva anche riferito di essere rimasta sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali, consumati all’interno del furgone in zona isolata e in piena notte, ove non vi era nessuno a cui chiedere aiuto, ma anche quando, rimasta a pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga. Troppi, all’evidenza, gli elementi per poter ritenere esente da responsabilità l’aggressore.
Da qui, dunque, l’annullamento della sentenza, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello.
* Il Quotidiano giuridico, 11 aprile 2024.
Nota della Redazione Wolters Kluwer