Bruno Vespa*
Come eravamo
Come per ogni anniversario illustre, per queste nozze di brillanti tra l’Istituzione e Polizia Moderna, 75 anni di pubblicazioni e di narrazioni ininterrotte, abbiamo pensato di ridare luce e leggibilità ad alcune pagine “datate”. Di volta in volta saranno commentate da giornalisti e storici che ci restituiranno il loro punto di vista
“Spesso, la notte, in macchina vado per la città e dove vado a sbattere solo Dio lo sa…”. Il verso iniziale della lunga poesia recitata da Michele Galdieri al teatro Valle di Roma per la celebrazione dell’Anniversario della Fondazione del Corpo nel 1955 mi riporta ai miei ricordi di cronista. Sono di qualche anno più vecchio di Polizia Moderna, ma ne ho sentito parlare all’inizio degli anni Sessanta quando la rivista era già un punto di riferimento per noi giovani giornalisti che avevamo nella Polizia il nostro interlocutore quotidiano. Mi colpì proprio la vita delle Volanti: questo uscire a inizio turno senza avere la più pallida idea di che cosa quel turno avesse in serbo per un equipaggio fatto di fidanzati, di mariti, di padri. Turni dai quali non sempre si tornava.
I primi numeri della rivista ci ricordano che la Polizia era uscita da poco dalla fine di una lunga dittatura. Le dittature lasciano il segno. Per cui parlare di “nuova” Polizia era un modo di dire, essendosi ovviamente quasi tutti i quadri formatisi nella “vecchia”. Non fu un momento facile. Eppure la Polizia seppe reagire e diventò presto davvero “nuova”, difendendo quei valori democratici che devono essere necessariamente solidissimi per gli uomini in armi, e naturalmente per la Polizia, sia quand’era “militare” sia quando dal 1981 è diventata “civile”.
Il titolo della poesia di Galdieri era Libertà, una parola meravigliosa che troppo spesso diamo per scontata e che troppo a lungo era stata vietata agli italiani. Ancora oggi essa non è affatto scontata. Ho raccontato la storia italiana dagli anni Sessanta ad oggi. Ho vissuto in prima persona gli anni (troppi anni) del terrorismo. Ho parlato con le vedove e gli orfani di poliziotti morti per la nostra libertà. E tuttora, quando vedo i dirigenti, gli ispettori, gli agenti insultati perché difendono la libertà delle istituzioni, anche nelle manifestazioni pubbliche, mi vengono i brividi non solo ripensando al ’68 di Pasolini (“Ieri quando avete fatto a botte con i poliziotti, io simpatizzavo con i poliziotti!”) e nemmeno al mio ’77 della Bologna occupata da giovani contestatori i cui genitori alloggiavano nei grandi alberghi. Ma guardando l’università di oggi dove la libertà di espressione e di manifestazione viene scambiata con la libertà di violenza. E voi là, a subire e a essere massacrati se vi scappa una manganellata di troppo (che non deve scapparvi…).
Grazie, amici miei, per tutto quello che avete fatto in questi 75 anni. E grazie ai colleghi di Polizia Moderna bravissimi a raccontarlo.
*giornalista e scrittore