Valentina Pistillo

Racconti di poliziotte speciali

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Le testimonianze delle pioniere del Corpo femminile che furono operative ed ebbero compiti particolari

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A 62 anni dalla creazione del Corpo di polizia femminile, Poliziamoderna è riuscita a rintracciare e intervistare alcune rappresentanti, donne speciali e specializzate, coraggiose e tenaci, che hanno seguito un percorso diverso dalle altre. Caduti gli ostacoli di ordine giuridico, fatto il successivo ingresso nella Polizia di Stato a
tutti gli effetti, con la loro professionalità e inserendosi nella vita operativa, hanno segnato il passo verso la Riforma.  Ecco le loro storie.

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Annunziata e la rivoluzione nelle scuole di polizia
Si chiama Annunziata Morra, ma la chiamano tutti “Nuccia”. Sorridente e solare, racconta: «Provengo da una famiglia di commercianti e dopo il liceo classico, nel 1968, sono diventata assistente del Corpo». Si laurea in Storia e Filosofia ma la passione per la divisa è forte e Nuccia vuole fare carriera: «Nel 1972 uscirono solo 5 posti per le ispettrici ma fui tra le vincitrici. Prima destinazione Nuoro e poi Matera». Nel 1989 va a dirigere la Mobile di Potenza, poi da primo dirigente, nel 1992, è capo di Gabinetto e nel 1996 vicario. All’epoca del governo D’Alema, approda a Roma, a Palazzo Chigi, accanto al direttore dell’Ispettorato Eugenio De Feo, di cui è la vice. Ma l’impegno che la gratifica ancora di più è la direzione della Scuola di polizia di Foggia nel 2000. Nuccia rivoluziona positivamente l’istituto di formazione: «Ho reclutato nuovi insegnanti e ho agevolato gli allievi fuori sede, mantenendo l’orario obbligatorio delle lezioni». Un anno dopo si traferisce a Trieste, dove va a dirigere la Scuola. Anche qui ribalta un po’ le convenzioni: il regolamento interno è austero, lei lo rende meno severo. Infine, va a dirigere il Servizio corsi presso gli Istituti di istruzione e diviene presidente del Comitato di pari opportunità.  Nel 2010 si congeda da dirigente generale. «In pensione leggo molto – conclude –mi piace farlo all’alba, perché si vive il mondo nella sua forma migliore», conclude.

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Maria Gabriella, un’icona dei suoi tempi
È del XII corso assistenti Maria Gabriella Pompò, bandito nel 1980. «Dopo 4 mesi di servizio ho avuto un conflitto a fuoco a Milano con tre terroristi. Un proiettile mi colpì il giubbotto, sfioradomi il fianco». A soli 22 anni è all’Ucigos a Roma, con Umberto Improta: «In quegli anni mi  fermavano spesso perchè assomigliavo a una delle Br, Marina Sarnelli e, dato che giravo in borghese e con la pistola, venivo scambiata per lei».Trasferita alla Criminalpol e, in seguito, al Servizio centrale operativo, ha lavorato con De Gennaro, Manganelli e Pansa e ha partecipato alla liberazione di Augusto De Megni, rapito a soli 10 anni. Maria Gabriella ha un primato: è stata la prima donna pilota di elicottero: «Nel 1991 presi il brevetto di volo e vinsi anche il concorso da commissario». Dal Reparto volo di Napoli a quello di Firenze e poi a quello di Bologna che ha diretto per 9 anni: «Anche qui sono stata la prima comandante donna: il personale mi ha accettato serenamente come capo e, dal 2012, sono stata anche la prima donna a dirigere la Divisione aerea. Qui, si è conclusa anche la mia vita operativa – confessa con un velo di malinconia – volavo solo la domenica».

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Margherita e la lotta alla Mafia
Originaria di Modica (RG), entrata come assistente del Corpo di polizia femminile nel 1966, Margherita Pluchino ricorda con orgoglio il suo lavoro di poliziotta e in seguito di dirigente donna, ma senza mai sentirsi inferiore ai colleghi uomini, con i quali ha sempre avuto un rapporto alla pari. Un lavoro che negli Anni ’80 l’ha portata, come ispettore della Squadra mobile di Palermo, a diventare una stretta collaboratrice del commissario Antonino Cassarà, (detto Ninni), trucidato nel 1985, a soli 38 anni, da un commando mafioso. 

«Antonino sognava una Palermo libera dalla criminalità organizzata, ma ci ha lasciato la pelle – afferma Margherita Pluchino – lui non aveva il pc e la tecnologia di oggi, ma una grande capacità organizzativa: senza il suo dossier sulla struttura dei mandamenti mafiosi non ci sarebbero state le indagini successive che portarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a istruire il maxiprocesso contro Cosa Nostra». 

Diventata vice questore aggiunto, nel 1991 Margherita va a dirigere il Gabinetto regionale della Scientifica di Palermo: «Dapprima ho pensato a riorganizzare gli uffici: nel corso degli anni, ho affiancato agli operatori per l’esame della scena del crimine, e agli specialisti della dattiloscopia e della balistica, un laboratorio di chimica per le analisi delle sostanze stupefacenti. Alla fine l’organico era diventato di un centinaio di dipendenti. Ho organizzato anche molti convegni a Palermo con le autorità giudiziarie. Prima di andare in pensione, nel 2003, sono riuscita a inaugurare anche il primo laboratorio biologico del Sud. Era solamente un anno che comandavo il Gabinetto regionale e purtroppo ho dovuto coordinare i sopralluoghi per le indagini delle stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui hanno perso la vita Falcone e Borsellino, conosciuti ai tempi di Cassarà. È stato un decennio indimenticabile – conclude – ho messo anima e cuore in questo incarico e una delle soddisfazioni più grandi era quella di sapere che il personale, entusiasta del mio modo di lavorare, mi seguiva volentieri». 

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Paola, sbirra in incognito
Un amico d’infanzia la spronò a fare il concorso in polizia e così Paola (che non vuole rivelare il cognome) partecipò al V corso assistenti, nel 1966, a 25 anni. «Parlavo inglese e francese. In più avevo un attestato di stenodattilografia e la patente di guida. La prima destinazione è stata Grosseto, alla polizia amministrativa», racconta dei suoi primi mesi in polizia. Come tutte le altre del Corpo venne impiegata per il terremoto della Valle del Belice, nel ’68, e per quello di Tuscania (VT), nel 1971. Poi il suo percorso, nel 1972, ha avuto una svolta importante: viene aggregata alla questura di Milano, all’ Ufficio politico, la Digos di oggi: «Ho passato una vita a dare la caccia ai brigatisti – dichiara Paola – dal sequestro del magistrato Mario Sossi a Genova, nel 1974». Erano gli Anni di piombo, anni difficili tanto da indurre il governo ad affidare al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa l’incarico di formare a Torino un organismo di coordinamento delle varie forze di polizia per la lotta alle organizzazioni eversive, il Nucleo speciale antiterrorismo. «La Polizia di Stato mise a disposizione alcuni uomini ma anche assistenti e ispettrici del Corpo – rivela l’ex poliziotta – nel settembre del 1974 il Nucleo riuscì a catturare, a Pinerolo (TO), Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Br, grazie anche alle informazioni fornite da un certo Silvano Girotto, detto “Frate Mitra”, un ex religioso così soprannominato perché era stato un guerrigliero in Sudamerica». Paola entra a far parte del Nucleo grazie ai suoi trascorsi all’Ufficio politico: «Una domenica – prosegue – ero a pranzo con i miei genitori. Dal ministero dell’Interno, arrivò all’improvviso la telefonata del dottor Carluccio, che lavorava all’Ufficio affari riservati: mi disse che sarebbero passati a prendermi, direzione Torino. Scappai, la pasta era ancora sulla tavola. Carluccio, che dirigeva la task force in collegamento con il generale Dalla Chiesa, era un uomo di grande intuizione: insieme al generale aveva deciso di coinvolgere nel Nucleo le poliziotte del Corpo». Paola, nome in codice Maria, è nel gruppo con una collega e lavora a stretto contatto con sette giovani ufficiali e una ventina di sottoufficiali. «Da Torino, ai controlli al Catasto di Piacenza e ai vari appostamenti nei casolari – continua – poi a Milano, dove ho lavorato in coppia con il maresciallo dell’Arma Felice Maritano, che contribuì alle indagini per l’arresto dei brigatisti Carnelutti e Sabatino, un primo smantellamento delle Br di Lodi. Insieme, tra un pedinamento e un appostamento, condividevamo una frugale cena, di solito un panino sbocconcellato in auto. La notizia della sua morte, nel 1974 per mano di tre brigatisti, aprì in me una ferita profonda. Del periodo al servizio di Dalla Chiesa conservo con affetto un biglietto di ringraziamenti del generale per l’impegno e il sacrificio». Ma Paola non li mai percepiti come difficoltà: «Mi sono sentita utile allo Stato, ho potuto contribuire a indagini grandi e importanti. Per anni non ho avuto né orari né una vita privata: ho rifiutato anche delle proposte di matrimonio perché ero troppo presa dalla polizia». Le chiediamo di raccontarci qualche aneddoto simpatico della collaborazione con l’Arma: «Sempre gentili e professionali, avevano però una rigida gerarchia: ricordo i continui battibecchi tra i sottufficiali che portavano avanti il grado per firmare i verbali», sorride Paola che è un fiume in piena e continua con i ricordi: «All’inizio del 1978, l’ex comandante Emilio Santillo consigliava di fare gli appostamenti con motociclette e vespe perché più agili negli spostamenti e davano meno nell’occhio. Anche io non attiravo molto l’attenzione perché ero minuta e snella – sostiene Paola – In quel periodo, inoltre, mentre giravo l’Italia sulle tracce della brigatista Barbara Balzarani, legata a Mario Moretti, coi colleghi pedinammo dei giovani universitari, arrivando a un tale Teodoro Spadaccini, un operaio del Poligrafico, e lo “beccammo” che stampava i volantini per conto del Moretti. Un’altra osservata speciale era Annalaura Brachetti, la proprietaria di un appartamento a Villa Bonelli, uno dei covi romani dove era tenuto prigioniero Aldo Moro. Ricordo anche le perquisizioni a casa di Mario Tuti, un terrorista toscano di estrema destra che aveva ucciso due poliziotti. In gergo mi chiamavano “la contessa” – conclude sorridente Paola – perché anche nei travestimenti e nei pedinamenti ero sempre elegantissima».

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Sforzini e Gentile due amiche per la pelle

Da quel lontano 1963, quando si conobbero al III corso assistenti, Rosa Maria Sforzini e Maria Luisa Gentile non si sono mai perse di vista, se non per gli impegni di lavoro. Ora che sono in pensione le incontriamo nel loro appartamento, in un quartiere residenziale di Roma: ricordano la loro carriera e mostrano con orgoglio una cornice con la foto di Ettore Scola, il famoso regista che frequentava la loro casa. «Ero una grande amica di Ettore e di sua moglie Gigliola», racconta Rosa Maria, una laurea in Giornalismo, presa all’università di Urbino, ma soprattutto la passione per la fotografia che l’ha portata a fare un’intera carriera alla Scientifica di Roma. Un vero salotto letterario quello della loro casa romana: «Negli Anni ’70 ho conosciuto e frequentato anche Dacia Maraini – continua Rosa Maria – e insieme a lei ho scritto anche degli spettacoli teatrali. È così che ho conosciuto Ettore Scola. Veniva a vedere Dacia. Non mi sono mai annoiata, tra casi alla Scientifica e passioni che mi portavano sempre in giro e organizzare spettacoli teatrali». 

«In effetti il nostro lavoro era vario e interessante», interviene orgogliosa Maria Luisa. Lei, originaria di Catania, dopo essersi iscritta all’università Orientale di Napoli, per studiare inglese e francese, ha lavorato a Reggio Emilia e a Reggio Calabria, dove si occupava di minori; poi a Roma fino agli incarichi più delicati della Commissione parlamentare antimafia presso la Camera dei deputati. In ultimo, è passata alla Criminalpol e per gli impegni di lavoro ha rifiutato la possibilità di far parte dell’Ufficio affari riservati, l’ante litteram dei Servizi di intelligence. In seguito si  è dovuta allontanare a malincuore, per otto lunghi mesi, a causa dei gravi problemi di salute. 

«Abbiamo vissuto qualche difficoltà in un mondo prettamente maschile – prosegue Maria Luisa – ho incontrato dirigenti che non ricambiavano il saluto, che mi facevano girare tutti gli uffici per prendere un fascicolo o che non volevano concedermi le ferie».

Ride divertita Rosa Maria e interrompe il discorso: «Anche a me ne hanno fatte di tutti i colori i colleghi, come quando inviavo i marescialli a fare le foto del sopralluogo e, non si sa come, i rullini prendevano luce e addio servizio fotografico. La Scientifica nasceva in quegli anni, e io sono stata un po’ la decana della Specialità. Mi occupavo della formazione degli operatori della Scientifica, ma al tempo stesso ero impegnata a risolvere casi di risonanza mediatica, come il delitto dell’Olgiata del 1991». Infine, come per magia, dal baule escono fuori una serie di fotografie, la storia della loro vita. «L’unica volta che abbiamo lavorato insieme – affermano – è stato nel 1968 per il terremoto del Belice, a Montevago. Eravamo nelle tendopoli in condizioni disagiate, senza poterci lavare e mangiando quel che capitava. L’unico rimpianto è quello di non aver potuto incontrare, dopo tanti anni, le colleghe di corso. Le nostre sono state vite vagabonde e, alla fine, ognuna è andata per la sua strada».

 

 

06/11/2023