Irene Scordamaglia*

Uso della forza e abuso dell’autorità

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Giurisprudenza di legittimità e profili processuali

ins 11-23

1. Uso della forza e abuso di autorità
L’ordinamento penale vigente contempla diverse disposizioni che sanzionano comportamenti posti in essere in un particolare contesto relazionale di soggezione tra l’autore e la vittima del reato; contesto che, determinato dal ruolo autoritativo del primo, crea le condizioni per le quali la seconda, privata di ogni possibilità di autodeterminazione, rimanga esposta a quei comportamenti che costituiscono strumentalizzazione di una posizione di supremazia. Così, ad esempio, il diritto vivente ha affermato che, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità che costituisce, assieme alla violenza o alla minaccia, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609 bis cp, presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (Sez. U, n. 27326 del 16/07/2020, Rv. 279520). Il problema della strumentalizzazione della posizione di preminenza si è, tuttavia, storicamente affermato con riferimento all’operato dei soggetti rivestiti di funzioni pubbliche, ossia dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio, cui è, tra l’altro, consentito di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, al fine di adempiere ad un dovere del proprio ufficio: dunque, per i quali è ammesso l’uso della forza quando vi sia la necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza (art. 53 cp). Nell’architettura del codice del 1930, alla norma di cui all’art. 53 cp, espressione dell’intento del legislatore autoritario di “sottolineare la prevalenza del potere di coercizione statuale nelle situazioni che pongono in conflitto i cittadini e l’autorità”, faceva da contrappeso la norma di cui all’art. 61 n. 9 cp, che prevede un aggravio di pena sino ad un terzo per la commissione del fatto di reato con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, quando questo non ne sia elemento costitutivo o circostanza aggravante ad effetto speciale. Circostanza aggravante comune, dunque, ritenuta applicabile dalla giurisprudenza di legittimità se la commissione del fatto è stata anche soltanto agevolata dalle qualità soggettive dell’agente, non essendo necessaria l’esistenza di un nesso funzionale tra tali poteri o doveri ed il compimento del reato (Sez. 5, n. 9102 del 16/10/2019 - dep. 06/03/2020, Rv. 278662; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017 - dep. 05/06/2018, Rv. 273531).

2. Fattispecie di reato commesse con abuso di autorità
Il codice penale prevede fattispecie di reato proprio, ossia realizzabili esclusivamente dal soggetto rivestito delle qualifiche soggettive di cui agli artt. 357 e 358 cp, nonché fattispecie di reato comune, commesse, cioè, solo eventualmente da soggetti qualificati con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione pubblica o al servizio pubblico esercitati, capaci di offendere la libertà, l’integrità fisica e morale e la stessa dignità dei soggetti che siano attinti dalle condotte che le integrano.  

2.1. Sequestro di persona commesso dal PU e arresto illegale
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’esercizio di poteri da parte delle forze di polizia, qualunque ne sia la natura, invasivi della libertà personale, al di fuori dell’ambito di “eccezionali” fattispecie procedimentali – che, per essere compatibili con l’art. 13 della Costituzione, devono essere oggetto di ristretta e rigorosa applicazione – è astrattamente inquadrabile nel reato di sequestro di persona e non in diverse norme incriminatrici, quali quelle racchiuse negli artt. 606, 608 e 609 cp che postulano l’esistenza di un legittimo intervento degli organi di polizia attuato, però, con modalità abusive e non conformi alle disposizioni che li prevedono (Sez. 6, n. 3421 del 09/12/2002 – dep. 23/01/2003, Rv. 223944). La differenza tra il delitto di sequestro di persona, commesso da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, e quello di arresto illegale sta nel fatto che, mentre nella prima ipotesi, l’abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi, ad essere punito è proprio l’abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto. (Sez. 5, n. 11071 del 09/10/2014 – dep. 16/03/2015, Rv. 262874; Sez. 5, n. 6773 del 19/12/2005 – dep. 23/02/2006, Rv. 234001). In particolare, la Suprema Corte (Sez. 5, n. 30971 del 10/04/2015, Rv. 264837) ha ritenuto che l’operato di appartenenti alla polizia municipale, che avevano arrestato un cittadino extracomunitario nella “ipotizzata” flagranza di reato e che, in esecuzione della misura precautelare (adottata senza che ne sussistessero i presupposti), l’avevano ammanettato, tradotto presso la sede del loro comando, sottoposto ad ispezione corporale, indotto a confessare, e, infine, l’avevano ristretto in una cella di sicurezza, fosse da riportare alla fattispecie di cui all’art. 606 cp e non quella di cui all’art. 605, comma 2, n. 2, cp. Al riguardo, richiamato l’orientamento interpretativo tradizionale, secondo cui il delitto di sequestro di persona, consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni, e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l’elemento soggettivo – che, nella prima ipotesi, richiede la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del proprio dominio, mentre, nella seconda, è diretto a mettere la persona offesa a disposizione dell’autorità competente, sia pure privandola della libertà in maniera illegale (Sez. 6, n. 23423 del 26/03/2010, Rv. 247383) – ha osservato come l’ulteriore elemento che le accomuna è il connotato modale che caratterizza la condotta di privazione della libertà personale del soggettivo passivo: cioè l’abuso dei poteri inerenti le funzioni dell’agente, tanto consentendo di affermare che oggetto di tutela, in entrambi i casi, è, altresì, l’interesse di natura pubblicistica alla legalità dell’operato dello stesso pubblico ufficiale. Ha, quindi, concluso, che l’elemento che davvero caratterizza la fattispecie di cui all’art. 606 cp rispetto a quella di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere di cui all’art. 605, comma 2, n. 2, cp è individuabile nel fatto che l’abuso riguarda specificamente l’esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge. Ciò, però, non esclude che, anche sul versante dell’elemento soggettivo, si registri una differenza o, più correttamente, si riveli la specialità dell’art. 606 cp, dal momento che, per abusare del potere d’arresto, è, innanzi tutto, necessaria la volontà di procedere ad un arresto (pur nell’accezione lata che il termine assume per costante giurisprudenza e dottrina in seno all’incriminazione de qua). Dunque, l’elemento di connotazione specifica della fattispecie di arresto illegale sta nella volontà del pubblico ufficiale di compiere un atto che comporta ab origine l’intenzione di mettere il soggetto ristretto a disposizione dell’autorità giudiziaria, ossia l’intenzione di effettuare un intervento coercitivo tipico, come qualificato dalle norme procedurali che lo disciplinano, le quali, al temp

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06/11/2023