Cristiano Morabito
Rinascere dal fango
Lo scorso maggio un’impressionante alluvione in pochi giorni ha portato devastazione e morte in Emilia Romagna. Le questure di Forlì-Cesena e Ravenna in prima linea nel coordinare i soccorsi
Non è necessario scomodare scienziati, climatologi e meteorologi, basta anche solo un po’ di buonsenso per capire che qualcosa sta cambiando nel nostro mondo, sebbene ci sia qualcuno che si ostina a pensare a complotti planetari, a una élite che, non si sa per quale motivo, abbia deciso che ormai su questa Terra siamo in troppi e che sia necessaria una riduzione della popolazione… No, basta semplicemente uscire di casa e rendersi conto come quella appena passata sia stata una delle estati più calde della storia, anche solo empiricamente confrontandola con una di quelle passate usando come parametro la bolletta della luce lievitata a causa dell’uso dei condizionatori; così come un altro raffronto può essere semplicemente fatto accorgendosi che quello del 2023 è stato uno degli inverni più miti e meno piovosi del decennio.
Negli ultimi decenni abbiamo, sempre più frequentemente, assistito a fenomeni atmosferici concentrati in un breve lasso di tempo, ma altrettanto violenti da riuscire a modificare l’orografia di molte zone e altrettanto spesso a mietere vittime: trombe d’aria, maremoti, terremoti e alluvioni che eravamo abituati a vedere in altre zone del mondo, soprattutto ai tropici, ma che negli ultimi tempi si verificano anche a latitudini più vicine a noi e, sempre più spesso, nel nostro Paese.
Sono passati poco più di quattro mesi dall’ultimo di questi eventi catastrofici avvenuti in Italia: il 16 e il 17 maggio sono due giorni che ricorderemo a lungo e dei quali l’Emilia Romagna porta ancora evidenti i segni a causa della violenta alluvione che ha seminato morte e distruzione soprattutto nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna; e le foto in queste pagine ne sono l’impressionante testimonianza.
Una settimana intera di intense precipitazioni culminate proprio in quei due giorni, durante i quali caddero più di 250 mm di acqua che, sommati a quelli delle giornate precedenti, salgono a più di 500. Un volume di acqua insostenibile, di intensità tale da non poter essere prevedibile anche con i più sofisticati scenari generati dai computer dei meteorologi dell’Arpa che comunque aveva diramato un’allerta rossa per quei giorni.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare una furia tale da riuscire a far straripare ben 23 corsi d’acqua, da riuscire a inondare un’area di quasi 60 chilometri quadrati (la provincia di Cesena lo è stata per il 43%), da raggiungere i primi piani delle abitazioni, da provocare più di 300 frane che hanno spazzato via in poco tempo case, strade, ferrovie e quant’altro, e spesso modificando per sempre la geografia dei luoghi: tantissime le frazioni rimaste completamente isolate a causa del crollo di strade e ponti, decine di migliaia le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie case e che si sono viste portare via dall’impeto dell’acqua tutto quel che avevano; tantissime anche le aziende della pianura romagnola in ginocchio, soprattutto quelle dell’agroalimentare e dell’allevamento di bestiame e animali da cortile, ma anche i tanti stabilimenti balneari della costa romagnola che hanno dovuto fare i conti con la devastazione provocata dai corsi d’acqua che, sfociando a mare, hanno portato con sé tonnellate di detriti, rischiando di compromettere la stagione estiva imminente; tante, troppe, le vittime: 15.
Le immagini passate in quei giorni da tutti telegiornali ci hanno riportato quel che è accaduto, con le strade che ormai erano diventate i nuovi letti di quelli che fino a poco tempo prima erano dei semplici torrenti e con le automobili completamente sommerse riconoscibili solo dai tetti; persone che cercavano riparo ai piani alti delle case che venivano messe in salvo dai gommoni dei Vigili del fuoco rimasti ormai gli unici mezzi ad attravers