Cristina Di Lucente

Vero o falso?

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Una speciale sezione della Scientifica è dedicata al falso documentale e all’analisi della scrittura; entrambe si occupano di identità grafica

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Nella III divisione del Servizio polizia scientifica una speciale sezione si occupa di due aspetti differenti, il falso documentale e le indagini grafiche. Entrambi i settori, in linea con quello che è considerato il fulcro dell’attività della Scientifica, svolgono un’attività investigativa riguardante l’identità grafica. Accorpato inizialmente alle analisi merceologiche, nei primi Anni 2000 il falso documentale ha acquisito un’identità propria, convergendo insieme alle indagini grafiche in questa Sezione. Con il focus di questo mese visitiamo i laboratori dove gli operatori del settore svolgono delicate operazioni di confronto.

A prova di contraffazione
 La Sezione dedicata al falso documentale, in linea con l’attività tipica della polizia scientifica, si occupa di accertare, su richiesta dell’autorità giudiziaria, l’autenticità – o la falsità – di un documento. C’è poi un’altra parte del lavoro di questo settore concentrata sulla gestione delle banche dati, in particolare del Sidaf (Sistema informatico documenti autentici e falsi), diffusa a livello nazionale per la Polizia di Stato. È qui che vengono inseriti tutti i documenti autentici, non solo italiani, ma anche provenienti dal ministero degli Esteri. «Disponiamo di esemplari detti “specimen” – spiega Gianluca Tarei, direttore tecnico superiore fisico della Polizia di Stato, a capo di questa Sezione – quando è necessario un accertamento per un presunto falso confrontiamo il nostro specimen con il reperto». Gli strumenti utilizzati per individuare le contraffazioni vanno da quelli più sofisticati, presenti in laboratorio, ad altri più semplici che possono essere utilizzati anche per i controlli rapidi dagli uffici della polizia di frontiera. «Alla base – precisa Gianluca Tarei – ci sono un microscopio e un videocomparatore spettrale che rendono possibile l’illuminazione del reperto con una serie di luci e filtri; per garantire la genuinità di un documento sono presenti elementi come filigrana, fili di sicurezza e fibre, spesso invisibili a occhio nudo che sono inseriti al momento della creazione dell’impasto cartaceo, a garanzia che si tratti di un supporto originale». I tentativi di emulazione vengono realizzati con la stampa a getto d’inchiostro simulando la presenza della fibra, ma attraverso un esame al microscopio è possibile stabilire se ci sia o meno. Questo particolare ufficio del Servizio polizia scientifica riveste un ruolo molto delicato anche al momento del rilascio di un nuovo documento, come nel caso del passaporto di prossima emissione (ottobre 2023), in cui sarà possibile immettere i caratteri diacritici, ovvero gli accentati. Viene infatti richiesto un parere dall’Istituto poligrafico zecca dello Stato sui nuovi standard di sicurezza che dovrebbero essere introdotti. Analogamente, il ministero degli Esteri interpella gli esperti di questa Sezione della Scientifica per verificare che un nuovo documento emesso da uno Stato estero abbia i requisiti di sicurezza sufficienti per essere riconosciuto anche dall’Italia. «Il caso di un parere negativo richiede un’adeguata motivazione – specifica il direttore della Sezione – come nella vicenda di un passaporto coreano in cui era stata eliminata la voce relativa alla data di nascita: in quella  specifica circostanza, d’accordo con gli altri Paesi con i quali l’Italia si confronta, ne è stata richiesta l’aggiunta». 

Questo Ufficio rappresenta anche il punto di contatto della banca dati legata all’agenzia europea Frontex, Fado – False and authentic documents online system – tutti gli Stati comunitari (e anche gli Stati terzi che ne fanno richiesta) inseriscono qui i rispettivi documenti. «Il nostro Ufficio è l’unico esclusivamente titolato a poter compiere questa operazione per l’Italia – spiega Tarei – al momento stiamo inserendo, prima della nuova emissione, i documenti per il nuovo passaporto. Si tratta di un’operazione di rilievo, per far sì che venga riconosciuto dagli altri Stati ogniqualvolta un connazionale si rechi all’estero senza incorrere in problemi di ammissione». 

Documenti più… evoluti
Negli ultimi 50 anni si è svolta una vera a propria gara tra chi ha emetteva i documenti e chi li falsificava, in una sorta di rincorsa tra “guardie e ladri”. Attualmente i documenti di viaggio sono a prova di falsario, ma non è stato sempre così: i vecchi passaporti, ad esempio, si avvalevano di una stampa litografica molto sottile e della filigrana visibile in controluce; la fotografia veniva fissata con le spillette e la firma apposta a penna. È stato dunque necessario aumentare gli elementi di sicurezza, a cominciare dagli inchiostri reattivi agli ultravioletti. Nei vecchi documenti la foto poteva essere staccata, sostituita con un’altra e riprodotto facilmente un nuovo timbro a secco, non autentico. Oggi, per “renderla sicura”, la fotografia non viene più stampata su carta: alle immagini a colori si adattano tecniche digitali e vengono poi protette da una pellicola olografica con elementi diffrattivi che cambiano a seconda dell’inclinazione. Negli ultimi anni sono state inserite più foto in uno stesso documento, realizzate con diverse tecniche di stampa, per renderne ancora più complicata l’imitazione; nella successiva evoluzione è necessario un supporto in policarbonato su cui l’immagine non viene riprodotta con toner o a getto d’inchiostro, ma tramite laser: qui il supporto viene bruciato ed è in bianco e nero. Infine, la svolta è stata rappresentata dall’introduzione del chip che contiene i dati dei documenti, rendendoli praticamente inattaccabili. «Si sono registrati tentativi di contraffazione tentando di alterare i dati – riferisce Tarei – ma l’unica cosa che i falsari riescono concretamente a fare è rompere l’antenna rendendo il chip illegibile e inutilizzabile». Un ulteriore passaggio che rende conformi gli elementi di sicurezza in riferimento ai passaporti è la normativa Icao (vedi box): dimensioni, modalità di scrittura dei dati e relative font, una banda leggibile a macchina e il microchip sono elementi comuni ai Paesi aderenti all’organizzazione.

Imparare a osservare
Presso questa Sezione della polizia scientifica viene curata non solo la formazione dei poliziotti appartenenti al settore attraverso l’aggiornamento professionale, ma anche quella degli operatori della polizia delle frontiere. Sono tre i corsi di alto livello che si svolgono nel corso dell’anno per una durata variabile da 1 a 2 settimane ciascuno: questo equivale ad essere aggiornati su tutte le novità in materia di sicurezza e sulle ultime tipologie di documenti emessi. Dopo un corso base e un anno di pratica affiancando persone esperte in materia è possibile affrontare un corso di 2° livello, dove si apprendono le tecniche più avanzate del riconoscimento documentale; nei corsi di 3° livello vengono trattati invece i documenti elettronici, le modalità attraverso le quali si criptano i dati e la biometria. «In questi corsi vengono spiegate anche tecniche di falsificazione molto particolari come il morphing – spiega il direttore della Sezione – una tipologia particolarmente pericolosa perché non si tratta di un’alterazione, ma di un qualcosa che nasce con il documento. Da due foto somiglianti, attraverso programmi di elaborazione grafica, viene creata un’unica immagine, in grado di ingannare sia i sistemi automatici di riconoscimento del volto che gli operatori che nei posti di frontiera effettuano i controlli». Senza arrivare a un grado così elevato di sofisticazione, anche i casi di somiglianza possono creare equivoci e vulnerabilità: una situazione tipica può essere quella di un volto orientale. Nel riconoscimento dei volti siamo portati per abitudine o cultura ad osservare determinate caratteristiche morfologiche che però non sono altrettanto indicative nei visi di quelle popolazioni. Occorre pertanto addestrare gli operatori a “guardare” e rilevare differenti geometrie, allineamenti e triangoli del volto, perché il nostro occhio occidentale rischia di non rilevare le differenze, rimanendone ingannato. «Per questo i corsi di 2° livello – prosegue Tarei – prevedono anche un addestramento visivo: è necessario imparare a osservare chi si ha di fronte al momento di un controllo e soprattutto a fare un confronto tra una persona reale, in tre dimensioni e l’immagine bidimensionale». 

Dimmi come scrivi
La seconda area della Sezione si occupa di indagini grafiche, la finalità degli accertamentiè quella di identificare l’autore di una scrittura. Si tratta di un settore in cui è particolarmente cruciale il lavoro dell’operatore esperto in perizia grafica forense che,con l’ausilio di strumentazione ottico microscopica di ultima generazione, svolge questa complessa attività basata su raffinate competenze professionali. Le peculiarità di chi opera in questo settore vengono acquisite attraverso corsi interni di formazione per operatori di polizia scientifica, privilegiando le persone con competenze maturate attraverso corsi triennali di grafologia. La comparazione tra manoscritture, dattiloscritture e altri sistemi spersonalizzanti come normografi, trasferibili e ritagli di giornale sono al centro di questo incarico; nel laboratorio, tra moderni scanner e microscopi, salta subito all’occhio uno schedario dall’aspetto vintage che risale agli Anni ’70. Nei casi di rilievo, che vedono l’utilizzo di volantini di minaccia, talvolta nei confronti di personaggi in vista o autorità del mondo politico, il reperto viene classificato proprio qui e archiviato. La difficoltà, nel momento in cui si vuole identificare l’appartenenza di una scrittura, ruota attorno alla domanda “come  identificarla e come rintracciarla tra migliaia di cartellini da ricercare?”. «La sfida è stata di riuscire a creare un criterio di archiviazione – afferma Gianluca Tarei – considerando che non esiste un software che riesca a decodificare le regole della manoscrittura in maniera attendibile.La scrittura, essendo un prodotto umano, è soggetta a una naturale variazione dovuta a fattori esogeni ed endogeni, quali l’invecchiamento, alcune patologie e/o fattori emotivi, tuttavia ciò non impedisce una accurata analisi della scrittura finalizzata all’individuazione della funzionalità grafica di un determinato soggetto. Anche la firma grafometrica, pur se acquisita  con dispositivi elettronici, consente di rilevare le caratteristiche utili all’identificazione». Una categorizzazione sulla base della forma di alcune lettere che rimane cristallizzata nella struttura rende possibile l’attribuzione di valori per creare una classifica ristretta: «Molte monoscritture possono avere la stessa classifica – spiega Marco Pagano, ispettore e grafologo con esperienza trentennale nel settore – il confronto viene però notevolmente ridotto da un ordine di migliaia a quello di centinaia». L’esame sulle manoscritture viene eseguito dalla polizia scientifica italiana applicando il metodo grafonomico ad integrazione del metodo segnaletico grafico descritto da Salvatore Ottolenghi fin dai primi anni del secolo scorso, sulla base degli elementi fondamentali dell’investigazione scientifica fissati dal padre del segnalamento descrittivo Alphonse Bertillon. Tale metodo, ampliato sulla base di un’attenta e approfondita analisi dell’evoluzione casistica e della ricerca scientifica degli ultimi anni, si ispira a una consolidata e rigorosa applicazione dei principi scientifici della fisica e fisiologia scritturale. «L’analisi – precisa Pagano – prevede l’individuazione di una serie di parametri tra cui ritmo, pressione, variabilità, spazi, proporzioni e una serie di misurazioni (direzione, inclinazione, movimenti pronatori e supinatori della mano); dalle caratteristiche generali, con l’assegnazione di uno specifico range per ciascun parametro, si passa poi a quelle di dettaglio, cioè la costruzione formativa delle lettere, così come vengono realizzate nel movimento. Ogni caratteristica implica una serie di misurazioni: un esempio sono le ampiezze verticali rispetto alle quali si stabilisce se il calibro è piccolo, medio o grande (superiore ai 3 mm)». L’approccio valutativo di una scrittura su carta è cosa diversa da quella su una firma grafometrica e ancora di più rispetto alla scrittura murale, quella che spesso ha vandalizzato le nostre città e che ha impegnato molto gli operatori della Sezione indagini grafiche: in quel caso si aggiungono altre implicazioni come la postura del soggetto e il supporto su cui scrive. Nel 2016 è stata aperta un’indagine nei confronti del gruppo di writer, wca (we can all) che ha portato all’arresto di 11 persone per aver messo in atto le cosiddette “tag acide”, ovvero le scritte che è facile trovare su autobus o muri nella Capitale e la cui peculiarità è quella di presentare un aspetto lucido che corrode il vetro, ottenuto mescolando vernice e acido fluoridrico; una volta applicato risulta indelebile. 

Come per la scrittura, anche per il dattiloscritto viene creata una classifica: «Si creano analogie che risiedono nelle anomalie di battitura – afferma Pagano – L’identificazione per la macchina da scrivere si basa sugli spostamenti, sulle rotture del carattere, sull’usura dei martelletti che, essendo di piombo, sono soggetti all’usura del tempo che li spezza e li deforma. È comunque un lavoro di ricerca complesso la cui origine risale agli Anni ‘70, con i primi casi legati ai volantini delle Brigate Rosse che sono conservati nello schedario». Le stampanti costituiscono un altro oggetto di ricerca di questo particolare settore della polizia scientifica che si occupa, infatti, di tutti i documenti prodotti con stampanti laser analizzando il toner e l’inchiostro per quelle di vecchio tipo, a getto. Anche il normografo, strumento molto diffusi tra architetti e geometri negli Anni ‘70 e ‘80, utilizzato prevalentemente nel mondo anarchico nelle rivendicazioni di pacchi bomba, si trova spesso ad essere preso in esame; infine, meno utilizzati sono i messaggi composti daritaglio di giornale, anche se, tuttavia, risulta di più difficile identificazione. 

Un caso particolare, emblematico per il lavoro svolto presso la Sezione indagini grafiche, è quello relativo al cosiddetto “uomo dei lenzuoli”: tra il 2001 e il 2002 in Italia vengono effettuati quattro attentati esplosivi, tre ad Agrigento (presso il Tempio della Concordia, il Palazzo di giustizia e la casa circondariale di Petrusa) e uno presso la stazione Duomo della metropolitana di Milano; quest’ultimo in particolare avrebbe potuto facilmente provocare una strage. Si è trattato di attentati dinamitardi che, per modalità, facevano risalire a una stessa fonte: ordigni realizzati in maniera artigianale utilizzando la bombola di gas per uso domestico come detonatore e le rivendicazioni degli attentati attraverso la scritta a mano su lenzuoli, con messaggi pro islam. «Dopo varie indagini un sospettato, Domenico Quaranta, è stato individuato dalla Digos – racconta Marco Pagano – ma è attraverso gli accertamenti tecnici sulle tracce grafiche che è stato dato un impulso significativo alle investigazioni ed è stata confermata l’identità dell’autore». 

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Gli standard internazionali
I documenti di identità e di viaggio vengono attualmente realizzati secondo standard internazionali previsti nel documento 9303 dell’Organizzazione internazionale per l’aviazione civile (l’acronimo Icao sta per International civil aviation organization). L’Icao è un’Agenzia dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) che, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha iniziato ad occuparsi di regolamentare l’aviazione civile, dalla sicurezza del trasporto aereo, al trasporto passeggeri e delle merci. Tutti i Paesi che aderiscono all’Onu recepiscono, attraverso trattati e norme internazionali, le linee guida dell’Icao in merito agli elementi di sicurezza che i documenti di identità e di viaggio devono contenere in materia di anticontraffazione, per consentire adeguati controlli alle frontiere. Icao prevede tre formati standard di documenti chiamati ID1, ID2,ID3 che si riferiscono ad altrettanti documenti di diverse dimensioni. Per esempio la nostra Carta di identità elettronica (Cie), la patente di guida e il Permesso di soggiorno elettronico sono realizzati secondo il formato ID1. Il tesserino della Polizia di Stato è realizzato secondo il formato ID2. Il passaporto italiano invece, viene realizzato nel formato ID3. Tutti gli attuali passaporti emessi dai vari Paesi del mondo nel formato ID3 hanno una pagina dati conforme all’Icao suddivisa in due parti. La prima detta Viz, (Visual inspection zone) dedicata all’ispezione visiva da parte dell’operatore addetto al controllo, reca la fotografia del titolare sulla sinistra e la parte dei dati personali sulla destra. La parte inferiore denominata Mrz (Machine readable zone) o zona leggibile a macchina, riporta i dati del titolare secondo un apposito codice Icao e viene utilizzata dal lettore di documenti per confrontare i dati inseriti nel chip del documento. La scritta “specimen”viene apposta affinché i ministeri degli Stati esteri si scambino, tramite accordi di reciprocità, i documenti dei rispettivi cittadini per consentire il passaggio di frontiera. Questa suddivisione viene utilizzata anche nei documenti di identità degli altri formati. La banca dati Sidaf della Polizia di Stato contiene le descrizioni degli elementi di sicurezza di documenti come passaporti, carte di identità, patenti, visti e di documenti falsi realizzate dagli esperti di falso documentale e può essere interpellata dai Gabinetti regionali di polizia scientifica e polizia delle frontiere.
Antonella Raschini

11/10/2023