Cristiano Morabito

Osservati speciali

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Rendere le manifestazioni sportive sempre più sicure con la collaborazione delle società calcistiche: questo il compito dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive

pp 8-9-23

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il weekend del 18 agosto scorso sono iniziati i campionati di Serie A e B che, nell’arco di 38 giornate, accompagneranno i fine settimana dei tifosi nella stagione 2023-24 fino alla fine di maggio, quando si saprà chi succederà al Napoli campione d’Italia, chi salirà nella massima serie e le quattro squadre che scenderanno nel campionato cadetto. 20 partite ogni settimana (senza contare le coppe europee e i quattro gironi della Serie C, al via dal 1° settembre) che, oltre a giocatori e tifosi, vedranno impegnate anche le forze dell’ordine, chiamate a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica, insieme all’apporto sempre più fondamentale delle società di calcio, della Federazione e delle Leghe, tutti riuniti al tavolo dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. 

Come solitamente accade, sono dei fatti eclatanti, spesso con tragiche conseguenze, a segnare un punto di svolta. Così è stato anche per il mondo del calcio quando la morte dell’ispettore Filippo Raciti, nel 2007 negli scontri nel derby Catania-Palermo, fu la molla che portò all’emanazione di norme più stringenti. Furono così introdotti i tornelli all’ingresso, i biglietti nominativi, la videosorveglianza all’interno degli impianti e il servizio di stewarding: meno forze dell’ordine dentro gli stadi e maggior responsabilità alle società sportive.

Due anni prima dei fatti di Catania, era stato anche istituito l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, proprio per favorire il dialogo e la collaborazione tra le varie componenti del mondo del calcio con le forze dell’ordine. Un ruolo che negli anni è cambiato, seguendo le mutazioni del mondo dello sport e dell’ordine e della sicurezza pubblica. Ne abbiamo parlato con Paolo Cortis, dirigente generale di ps, attuale presidente dell’Osservatorio. 

«Dal 2005 gli scenari dei fenomeni di violenza legati alle manifestazioni sportive, specie quelle calcistiche, sono molto cambiati – commenta Paolo Cortis – inizialmente la maggior parte di questi si verificavano all’interno degli stadi, oggi almeno l’80% avviene al di fuori. La spiegazione logica è legata alle leggi che, negli anni, sono state emanate in materia e che hanno portato al sistema normativo che ha reso gli impianti sportivi sempre più sicuri. Oggi le maggiori criticità le registriamo al di fuori degli impianti, soprattutto lungo i tragitti seguiti dalle tifoserie. Quello dei tifosi del calcio è un universo vastissimo e al suo interno una piccola parte è legata al mondo degli ultras, tra i quali ci sono frange più estreme e violente. Questo ha determinato anche un mutamento dei compiti dell’Osservatorio: se prima si limitava a indicare e a valutare tutti i profili di rischio (in una scala da 1 a 4) guardando solo lo stadio e la città dove si svolgeva la competizione, adesso ci si deve anche preoccupare degli spostamenti delle tifoserie sul territorio, a prescindere anche dalle località direttamente interessate. Le tifoserie possono incrociarsi, come accaduto l’8 gennaio del 2023, quando supporter di Napoli e Roma si sono incontrati sull’A1 dando vita a scontri a Badia al Pino». 

Come è cambiata negli anni l’attività dell’Osservatorio? 
È diventata estremamente più complessa e richiede l’elaborazione di visioni che comprendano non solo lo scenario dove si disputa la partita, ma anche i vari ipotetici scenari legati agli spostamenti delle masse dei tifosi, considerando anche i rapporti intricati e fluidi tra le varie categorie di ultras. Esempio fu il blitz messo in atto dai tifosi della Stella Rossa di Belgrado per sottrarre ai “Fedayn” romanisti uno dei vessilli storici del gruppo, per poi esporlo e dargli fuoco tempo dopo sugli spalti dello stadio di Belgrado. Un universo complicato, tanto che abbiamo potuto verificare in varie occasioni che ci siano stati contrasti tra frange di ultras della stessa squadra dettati da interessi di vario genere: detenere il “comando” della curva o per pressare le società al fine di ottenere dei vantaggi. Tutto questo oggi dà ancora più valore a quell’intuizione del 2005, quando fu creato l’Osservatorio per riunire allo stesso tavolo i rappresentanti delle forze dell’ordine e dello sport, per stimolare e ottenere un coinvolgimento responsabile da parte delle società calcistiche. Il ruolo dell’Osservatorio oggi è ancora più significativo, perché raccoglie il flusso di informazioni che arrivano dalle autorità provinciali di ps e mantiene costantemente aperto un canale sia con la polizia di prevenzione, tramite le “squadre tifoserie” che evidenziano situazioni di rischio, sia con i rappresentanti delle leghe del calcio. 

Come si svolge una riunione dell’Osservatorio? 
Solitamente si riunisce il mercoledì, sia per valutare quanto accaduto nel fine settimana precedente, sia per fornire in tempo utile suggerimenti e indicazioni alle autorità provinciali di ps per il weekend che verrà; inoltre si analizzano anche gli incontri previsti nei 15 giorni successivi, in modo tale da poter aggiornare le valutazioni nel caso in cui, avvicinandosi all’evento, emergano nuovi scenari. Ogni mercoledì sotto la lente d’ingrandimento dell’Osservatorio passano quasi 150 incontri di calcio. Il tutto viene preceduto dall’attività istruttoria del Cnims (il Centro nazionale di informazione sulle manifestazioni sportive, operativo in seno all’Ufficio ordine pubblico del Dipartimento della ps, ndr.) che predispone delle schede con le proposte di livello di rischio da assegnare alle varie partite e che vengono inviate a tutti i componenti dell’Osservatorio prima della riunione, in modo tale che si possa, con congruo anticipo, aggiungere ulteriori elementi che consentano poi di affinare le proposte, per poi definirle con una determinazione firmata dal Presidente. L’Osservatorio non valuta tutti gli incontri a livello nazionale, ma quelli segnalati dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza. Ovviamente, Serie A e Serie B sono valutate sempre e comunque. 

La situazione nelle “serie minori”?
Sicuramente il palcoscenico nazionale è più preso da tutto quello che accade in serie A e B, ma nella realtà dei fatti le problematiche di serie minori, soprattutto della lega D, sono altrettanto importanti; sebbene investano un numero di spettatori minore rispetto alle serie nazionali, per aggressività e violenza non sono da meno, soprattutto al Sud Italia. Ricordiamo quanto accadde in occasione dell’incontro tra Paganese e Casertana dello scorso gennaio: i supporter di quest’ultima vennero bloccati e subirono un vero e proprio assalto che portò all’incendio del pullman dei tifosi; o anche quando ultras del Siracusa presero letteralmente in ostaggio i giocatori della propria squadra per sottrargli, in segno di sfregio, la divisa di gioco.

Viene monitorato solamente il calcio o anche altri sport?
Denominando questo organismo come “Osservatorio Nazionale sulle manifestazioni sportive”, il legislatore ha voluto racchiudere tutte le situazioni che possano essere legate alle competizioni sportive in genere e che coinvolgano l’ordine e la sicurezza pubblica: in Italia sono le partite di calcio a farla da padrone con una percentuale che sfiora il 90%, però ci sono sport come il basket che, in alcuni casi, presentano problematiche del tutto identiche a quelle calcistiche. 

C’è bisogno di un impegno maggiore da parte di altre componenti?
L’Osservatorio rileva anche losforzo  delle forze di polizia per gestire la complessa macchina dell’ordine pubblico che si mette in moto in occasione di ogni competizione sportiva. Un impegno che richiede l’impiego di molti uomini e mezzi e che, purtroppo, a volte comporta anche dei feriti. Il senso di responsabilità e la professionalità delle forze di polizia finora hanno permesso di gestire le criticità nel migliore dei modi, impedendo il più possibile danni alle cose e, soprattutto, alle persone. Ma il tema che ci si dovrebbe porre oggi, anche a livello politico, è come fare in modo che tutte le società ottemperino nel modo migliore a quelli che sono gli obblighi previsti; lo sforzo delle forze di polizia è enorme e meno fanno le società e più è gravoso l’impegno di chi è chiamato a tutelare l’ordine pubblico. Se gli impianti hanno carenze strutturali, queste possono rappresentare un problema di ordine pubblico; se il servizio di stewarding non è attuato dalle società, può essere un problema che si riflette sulla sicurezza. Non dimentichiamoci che lo stadio è anche un luogo che ha un suo profilo privatistico ed esistono regolamenti che ne disciplinano l’uso, spesso non resi effettivi, come l’istituto del “gradimento”: ogni società sportiva può ritirare o sospendere l’ingresso a tifosi che “non sono graditi”, perché mettono in atto comportamenti contrari al regolamento d’uso degli impianti o al codice etico della società.

E poi ci sono fenomeni odiosi come razzismo e antisemitismo…
A livello culturale c’è ancora molto da fare: i comportamenti razzisti sono espressioni odiose, probabilmente adottate spesso senza averne la benché minima consapevolezza. È stata firmata il 27 giugno scorso una dichiarazione di intenti sul tema dell’antisemitismo e il ministro dello sport Abodi ha più volte dichiarato di voler intraprendere azioni importanti promuovendo iniziative culturali e strutturali, non in modo randomico, iniziando dai banchi delle scuole e coinvolgendo i dirigenti delle società, gli allenatori e tutti i soggetti portatori di responsabilità, partendo dalle categorie dei più giovani fino ad arrivare ai professionisti. Ma al di là del tema dell’antisemitismo, anche tutto quanto riguarda il razzismo e ogni forma di discriminazione richiederebbe dei livelli di attenzione più alti, innanzitutto a livello culturale. 

La stagione passata è stata la prima post Covid con stadi riempiti completamente. 
La stagione 2022-23 non è stata condizionata dal Covid. Sul piano statistico è chiaro che non possiamo prendere i dati della stagione che si è conclusa e confrontarli con la precedente o quella ancora prima. Per cui se si volessero fare dei confronti bisognerebbe riprendere i dati della stagione 2018-19. Il Covid ha, bene o male, provocato un cambiamento in tutto, anche nei comportamenti delle tifoserie; ci aspettiamo scenari diversi rispetto a quelli che siamo abituati a valutare. 

Quale sarà l’impegno dell’Osservatorio per il 2023-24? 
La prima cosa da fare sarà attivare ancora di più i nostri sensori per registrare questi mutamenti, cercando di coglierli in tempo. I punti su cui bisognerà lavorare molto saranno il mantenere la massima attenzione alle trasferte, ma anche ai socialnetwork perché sono diventati uno strumento molto utilizzato dagli ultras e dalle frange più violente, per comunicare, combinare azioni e divulgare comportamenti scorretti all’interno degli stadi. Quel che auspico è che ci sia un maggiore e rinnovato impegno da parte di tutta la componente delle società sportive, a partire dalle federazioni e dalle leghe per fare in modo che, alle dichiarazioni sulla promozione di valori positivi e di una sana cultura sportiva, corrisponda un effettivo impegno.

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TOLLERANZA ZERO CONTRO IL RAZZISMO

 «Il problema non è la tifoseria che è una cosa meravigliosa, il problema sono le tifoserie violente che sono tutta un’altra cosa».

A dirlo è Fabio Berrilli, direttore del Servizio affari e informazioni generali della Direzione centrale della polizia di prevenzione, da cui dipendono le Squadre tifoserie che, inserite nelle Digos delle questure, hanno il compito di monitorare il fenomeno ultras (con particolare riferimento alle infiltrazioni politiche estremiste) e reprimere i comportamenti violenti durante le manifestazioni sportive.

«Compito delle Squadre tifoserie è la prevenzione – prosegue Berrilli – che è servente alla predisposizione dei servizi che devono essere organizzati dalle varie questure, anche alla luce delle decisioni prese dall’Osservatorio: per noi la vittoria è evitare l’episodio violento. Questo comporta un grande lavoro di acquisizione informativa, di conoscenza del fenomeno, di studio delle partite, degli itinerari che le tifoserie percorreranno, per poter immaginare quali potrebbero essere i luoghi di incrocio. Seguendo questa metodologia su ogni incidente che si è verificato, altri dieci ne sono stati evitati. Spesso si assiste a esplosioni di violenza totalmente ingiustificate – continua Berrilli – rispetto a quello che si sta guardando, ossia una semplice partita di pallone. Esistono vere e proprie liturgie e codici d’onore che coagulano tra loro gli appartenenti ad un certo gruppo ultras; la compagine violenta del tifo tende a riunire persone che spesso possono condividere una certa emarginazione sociale e il riconoscersi ed identificarsi in un gruppo le porta a non pensare alla propria situazione di difficoltà». 

Quante sono le Squadre tifoserie?
Ogni Digos ne ha una; certamente le grandi questure sono più strutturate, le piccole un po’ meno, ma attenzione a pensare che a città grandi corrispondano grandi disordini e che nelle piccole ci siano meno problemi, anzi spesso non è così: molti degli episodi avvengono sui campi dei dilettanti. 

Quanto incide anche l’appartenenza politica tra gli ultras?
Che alcune compagini violente siano politicizzate è fuori discussione: il rapporto è di 1 a 2. In genere, il gruppo ultras può rappresentare elemento di veicolazione di un determinato messaggio di proselitismo. Ci sono anche tifoserie che al loro interno sono politicamente divise, ma non c’è mai una divisione totale, perché alla fine il dio è unico: la squadra. La componente politica è sicuramente importante, ma non preponderante nell’ambito delle tifoserie, la maggior parte delle quali sono totalmente apolitiche. 

E il fenomeno del razzismo e dell’antisemitismo?
Quello della lotta all’antisemitismo sarà uno degli aspetti determinanti del nostro operato in questa stagione, con un vero e proprio inasprimento dell’attenzione: una lotta senza frontiere. Dopo il periodo pandemico stiamo notando una recrudescenza del fenomeno e questo non è tollerabile; un pensiero condiviso anche dal vertice del calcio italiano che ha emanato delle linee guida come, ad esempio, il divieto di indossare maglie con il numero 88 (per i neonazisti significa “Heil Hitler”, ndr.). Confidiamo anche che le società prendano dei provvedimenti come ad esempio l’inibizione dell’ingresso.

Siete in contatto con alcuni capi ultras?
Ovviamente sì. Alcune compagini sono realmente impenetrabili e non vogliono avere rapporti, mentre con altri gruppi organizzati c’è possibilità di interlocuzione, il che non significa che poi all’occorrenza queste persone non esprimano violenza.

Gemellaggi in Italia e internazionali
Altro problema è costituito dai gemellaggi, anche a livello internazionale che determina il dovere di sviluppare la nostra attività preventiva anche attraverso il collegamento con polizie estere. Ad esempio, una finale di Champions muove gruppi ultras non solo delle squadre coinvolte, ma anche di tutti i gruppi di tifosi gemellati, che a volte utilizzano quell’occasione anche per regolamenti di conti.

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CALCIATORI SOTTO TIRO

Umberto Calcagno, ex giocatore professionista, oggi è il presidente dell’Associazione italiana calciatori. Con lui abbiamo analizzato il fenomeno quasi tutto italiano dei “calciatori sotto tiro”, ossia i giocatori che subiscono minacce personali da parte di “tifosi”. Un fenomeno che, purtroppo, non accenna a diminuire. 

Passato il periodo pandemico si sono placati gli animi?
Nel periodo della pandemia, le minacce ai giocatori avvenivano soprattutto sui social; purtroppo i dati ci dicono che la tendenza si è di nuovo invertita. Non si può immaginare oggettivamente che nel breve periodo si possa cambiare, perché il calcio è lo specchio della nostra società; ci sono tante persone che prendono come pretesto l’evento sportivo per poter sfogare situazioni che spesso riguardano la loro sfera privata.

È un fenomeno geograficamente eterogeneo ? 
Ormai è un dato che si è consolidato su tutto il territorio nazionale. Quando giocavo questi episodi avvenivano soprattutto nel sud Italia; oggi non c’è più una particolarità territoriale, dato ancor più preoccupante, perché significa che è un fenomeno che non siamo riusciti a contrastare al meglio.

La categoria più colpita è quella dei professionisti?
Sì, anche perché in questi anni è mancata la capacità di creare un sistema di comunicazione che rendesse un po’ più “normale” la figura del calciatore; nel nostro Paese non c’è una “cultura della sconfitta”, così come invece accade all’estero o in altri sport, e non si dà la possibilità a questi ragazzi, che hanno anche 20-25 anni, di sbagliare. E questo solo perché fanno un lavoro che sicuramente li privilegia, ma al quale sono arrivati anche grazie alla loro bravura, le capacità e i sacrifici. In più oggi si aggiungono anche fenomeni connotati dal razzismo che, purtroppo, sono in aumento: un dato preoccupante che però mi viene da pensare sia figlio dei nostri tempi, di una cultura e di una socialità che vive certi disagi anche al di fuori del mondo del calcio.

La Figc ha da poco emanato delle linee guida al riguardo… 
Sono certamente ben congegnate, ma il mondo dello sport non può restare da solo in questa battaglia: deve esserci una presa di coscienza da parte di tutti, perché il calcio, ma più in generale il mondo dello sport, non può risolvere questi problemi da solo, se non intervenendo di tanto in tanto per “metterci una pezza”.

Le minacce più eclatanti?
Gli episodi peggiori sono quelli che coinvolgono anche le famiglie; ci sono stati casi in cui gli ultras si sono fatti trovare a casa dei calciatori, minacciandoli anche in presenza della moglie e dei figli piccoli. Questo credo sia in assoluto l’aspetto più brutto di tutto ciò che è avvenuto in questi ultimi anni.

La reazione all’insulto razzista può essere controproducente?
Non credo lo  sia, perché soltanto chi vive queste forme di umiliazione può percepire davvero che cosa si provi. Tante volte è stato chiesto di fermare le partite, di andare via dal campo; credo che i calciatori siano il terminale di situazioni molto più grandi, che hanno bisogno di una di una cabina di regia che non può essere solo lasciata al mondo dello sport.

Una cabina di regia che però dovrebbe comprendere un po’ tutte le categorie. Ricordiamo quando Lukaku reagì all’insulto mimando il gesto del silenzio verso la curva e venne ammonito per aver perso di tempo...
È successo, infatti il presidente federale è intervenuto per evitare al giocatore almeno le conseguenze sportive. A volte le regole hanno bisogno di un po’ di adattamento ed elasticità in chi deve applicarle; però, se siamo arrivati a questo punto vuol dire già che siamo a un livello alto di inefficacia di tutto ciò che ci circonda. Stiamo parlando di luoghi dedicati allo sport in cui succedono cose che con lo sport non hanno nulla a che vedere e di ragazzi che nello svolgere la loro attività, che è anche un lavoro, si vedono insultati per il colore della pelle. Le mie parole non vogliono essere una deresponsabilizzazione di ciò che possiamo fare anche noi, però proprio in questo “anche” c’è bisogno del coinvolgimento di tutte le forze, anche da parte dello Stato: non possiamo permetterci che lo sport più seguito in Italia sia la cassa di risonanza per soggetti che, il più delle volte, non sono neanche tifosi nel vero senso del termine e che utilizzano soltanto la notorietà del mondo del calcio per poter mettere in atto certi comportamenti.

04/09/2023