Paolo Borrometi*
Senza tregua
La verità sulle frodi di Cosa nostra all’Ue emerse dal processo sull’attentato a Giuseppe Antoci, direttore del Parco dei Nebrodi e autore di un protocollo che ha sbarrato la strada ai clan dei pascoli
Le meravigliose e pittoresche colline dei Nebrodi in Sicilia nascondono un’ombra oscura: la presenza della mafia. Quella dei Nebrodi ha radici profonde nella regione e ha lasciato un’impronta indelebile sulla vita delle comunità locali.
Per comprendere la violenza mafiosa di questo lembo di terra dobbiamo fare un passo indietro di qualche anno.
Era il 18 maggio 2016, quando l’auto blindata dell’allora presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci fu attaccata a fucilate da un commando mafioso, messo in fuga dopo un conflitto a fuoco dal commissario di polizia, Daniele Manganaro, e dagli altri componenti della scorta. Un attentato ricostruito nei minimi dettagli grazie al teatro virtuale della Polizia scientifica, “Virtual reality - 3D”, un innovativo strumento investigativo che ha reso possibile la ricostruzione tridimensionale della scena del crimine.
Il prefetto Franco Gabrielli, quando era a capo della Polizia, di Antoci disse: «La sua storia è lì a dimostrarci la straordinaria necessità di salvaguardare le Istituzioni». Per il compianto scrittore Andrea Camilleri, padre della saga del Commissario Montalbano, è: «un eroe dei nostri tempi, una persona coraggiosa che facendo il proprio dovere, combatte la mafia». Se però chiedete ad Antoci – oggi presidente onorario della Fondazione «Caponnetto» – la risposta è netta: «Io ho paura tutti i giorni e non mi sento un eroe ma sono un uomo che ha fatto il proprio dovere sino in fondo in una terra, la mia Sicilia, che ha solo bisogno di normalità e io sogno che un giorno qui fare il proprio sia la normalità».
La normalità, appunto. Quella persa da tanti anni per colpa (anche) della mafia dei Nebrodi. Quella mafia colpita a morte dalla sentenza (di pri
