Cristina Di Lucente

Alla ricerca del volto

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Gli esperti della 4^ divisione del Servizio polizia scientifica spiegano come le tecnologie legate all’intelligenza artificiale si applicano all’identificazione dei tratti somatici

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Spesso il riconoscimento di un volto è ciò che permette di fare il salto di qualità in un’indagine giudiziaria. La sua singolarità rappresenta la peculiare caratteristica che utilizziamo per riconoscere le persone nella vita ordinaria; in un controllo su strada l’operatore di polizia guarda per prima cosa la foto sul documento d’identità e presso un varco di frontiera il passaporto viene posto sul lettore per consentire alla telecamera di registrare la corrispondenza tra l’immagine stampata e la persona fisica: tutto ruota attorno al confronto dei tratti somatici, che rappresentano ciò che rimane impresso nella memoria dei testimoni e delle vittime. Fin dalla sua nascita, la polizia scientifica ha lavorato sul volto per collaborare alle indagini, e lo ha fatto mettendo a punto una serie di tecniche come ad esempio l’identikit. Apparentemente un mezzo del passato, ma a ben guardare uno strumento che si è sviluppato nel tempo, quindi ancora attuale e utilizzato in maniera sempre più incisiva come risposta alle esigenze di innovazione della società.

Il fattore umano 
«Non si tratta solo di una competenza tecnica – spiega Lorenzo Rinaldi, direttore della 4^ divisione del Servizio polizia scientifica – abbiamo da sempre considerato i disegnatori di identikit dei veri e propri artisti forensi: per realizzare un identikit è richiesto un talento artistico, ma soprattutto la capacità di entrare in empatia con le persone. Per questo abbiamo recentemente attivato una collaborazione con le facoltà universitarie di psicologia, in particolare con la cattedra che si occupa di Memoria e Testimonianza». La memoria è di fatto un processo cognitivo complesso, che risente di stati d’animo come la paura, e dei traumi; non è quindi detto che la prima cosa che una vittima racconti sia la più affidabile. «L’artista forense deve fare le domande giuste per comprendere a fondo il ricordo della vittima – prosegue Rinaldi – deve inoltre instaurare un canale di comunicazione con la vittima, arrivando a disegnare quegli identikit che orientano la ricerca per le forze di polizia e che troviamo sui giornali». Che si tratti di vittime di violenza o della ricerca di persone scomparse, sarebbe un errore pensare che oggi un identikit non si esegua più a mano libera: con la nuova tecnologia è più rapido realizzarlo con il compositore digitale di volti, per poi andare a rendere unico quel viso con le singolarità che sono utili al fine del riconoscimento. 

Nuove frontiere tecnologiche 
Il disegno è il punto di partenza, poi entrano in gioco i software di ultima generazione come Aim4sie (acronimo per Artificial intelligence method for smart electtronic investigation), una piattaforma basata sui sistemi di intelligenza artificiale inaugurata lo scorso 31 marzo, che permette, ad esempio, di realizzare volti realistici a partire da un disegno a mano libera. Il volto realistico verrà mostrato al testimone o alla vittima, e in base alle sue indicazioni potrà essere modificato. In un momento successivo, può essere ricercato dal Sari (Sistema automatico di riconoscimento delle immagini), il quale restituisce, integrandolo con filtri specifici, una lista di candidati selezionati tra i 20 milioni di fotosegnalamenti delle forze di polizia inseriti nell’Afis (Automated fingerprint identification system), che vengono analizzati e poi messi in visione al

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07/06/2023