Chiara Di Segni*
Bambini e Intelligenza artificiale
L’avvento dell’IA rende necessaria una regolamentazione per tutelare i minori
Il blocco di Chat GPT in Italia, attuato dal Garante della privacy lo scorso 31 marzo, stimola alcune importanti riflessioni sulla protezione dei bambini nella rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale. L’era che stiamo attraversando trasformerà la società in modo radicale, e per quanto ci siano senza dubbio degli aspetti utili applicabili in molti settori economici, scientifici, culturali e di pubblica sicurezza, è bene ricordare che ogni qual volta sorge una nuova tecnologia, con essa nascono nuove responsabilità che i regolatori e la società tutta devono considerare fin dall’inizio del nuovo processo.
La fisiologia umana ha i suoi tempi di evoluzione e adattamento e l’accelerazione tecnologica dovrebbe tenerne conto. Il processo di integrazione dell’IA sta avvenendo in modo improvviso e capillare in tutti i settori, e non lascia il tempo alla società, ai genitori e agli educatori di comprenderne appieno le conseguenze sullo sviluppo cognitivo e comportamentale dei minori, in particolar modo nell’infanzia e nella prima adolescenza. Entro i 5 anni di età il cervello di un bambino è formato per il 90%, ma è alla soglia degli 8 anni che diventa più vulnerabile alle informazioni e di conseguenza plasmabile. Sono numerosi gli studi che indicano un aumento della produzione degli ormoni cortisolo e dopamina a causa del consumo eccessivo dei social network, Il cui effetto è stato definito “crack digitale” dalla sociologa Julie Albright della USC-Dorslife di Los Angeles.
Già oggi in commercio si trovano giochi alimentati dall’intelligenza artificiale, che interagendo con il bambino ne registrano voce, volto, reazioni ed emozioni. Sulla base della raccolta di questi dati biometrici, di cui i bambini non sono coscienti e le famiglie non sono sufficientemente informate, è possibile produrre contenuti che aggancino l’attenzione dei bambini ben oltre il livello di guardia considerato sano per un piccolo utente, che molto presto diventa un consumatore dipendente. Ad esempio esistono software che producono storie della buonanotte istantanee basate sulle emozioni che il bambino vuole sentire in un preciso momento, e che nel tempo potrebbero sostituire i libri per varietà e praticità.
Bisogna tuttavia domandarsi quali contenuti verranno forniti dall’IA ai piccoli lettori. L’algoritmo sarà sempre in grado di rispettare l’indirizzo pedagogico che tutela la crescita e la conoscenza del mondo agli occhi di un bambino? Queste sono le regole che si chiede oggi di rispettare all’editoria per l’infanzia.
Pensiamo a quando fecero irruzione nelle nostre vite i Social Network, presentati come sistemi per connettere persone, scambiare fotografie e informazioni sulle proprie giornate, riconnettersi con i vecchi amici, aiutare le piccole imprese a trovare clienti. Nessuno avrebbe immaginato le conseguenze di ciò in assenza di una chiara regolamentazione. Con il senno di poi capiamo come, al tempo, la mancanza di un serio dibattito pubblico tra legislatori, tecnologi, psichiatri, psicologi e intellettuali, abbia preparato il terreno per la polarizzazione politica e il linguaggio d’odio mascherato da libertà di parola, causando un indebolimento della democrazia in molte parti del mondo. Il massiccio uso di piattaforme social nelle campagne elettorali ha dimostrato come fosse facile infettare il dibattito pubblico con disinformazione e fake news, in alcuni casi arrivando a cambiare gli esiti elettorali. I punti di riferimento che la società offre oggi sono fragili come mai prima. Con l’irruzione sul mercato di software che producono immagini e testi che offrendo verità alternative perfettamente credibili, dobbiamo chiederci come possiamo proteggere l’infanzia da immagini violente o a sfondo sessuale, che possono generare traumi importanti nella formazione dell’individuo in età precoce. In un mondo in cui la seconda causa di morte tra i giovani è il suicidio, si capisce come la nuova era debba essere ben studiata e compresa dai regolatori, oggi più che mai chiamati a una grande responsabilità, pena un’ulteriore ondata di problematiche sociali. Queste conseguenze potrebbero presto investire la psicodinamica dei giovani, con diffusione di comportamenti asociali, ansia, isolamento, maggiore insorgenza di depressione, cyberbullismo, problemi alimentari e adescamento online, come denunciato da un recente studio della Società italiana di Pediatria. Leggiamo nello studio Ethics of the Attention Economy: The Problem of Social Media Addiction (Bhargava and Velasquez, 2020) che se una tecnologia digitale viene fornita gratuitamente o a basso costo all’utente finale, il profitto deriva dall’attenzione dell’utente che diventa una Commodity.
È un modello di business incentrato sulla dipendenza del consumatore che le stesse aziende tecnologiche promuovono, facendo nascere un serio problema morale ed etico che tuttavia non viene dibattuto quanto le dipendenze da stupefacenti, alcool e tabacco. Gli autori spiegano come le piattaforme tecnologiche vengano disegnate con in mente l’obiettivo di trattenere il più possibile l’utente davanti allo schermo, al fine di aumentarne costantemente l’uso. Nell’era dell’IA questo diventa ancora più importante perché più è il tempo speso online, più sono i dati raccolti, più l’algoritmo è in grado di fornire contenuti specifici funzionali ad alimentare la dipendenza. In questa economia dell’attenzione le prime vittime dell’assenza di regolamentazione sono proprio i bambini e i ragazzi più giovani, non sempre soggetti al controllo parentale, e che non hanno gli strumenti per discernere un uso responsabile dei contenuti da un uso dannoso. Per questo motivo, prima di sdoganare l’Intelligenza Artificiale a contatto con i bambini e la prima adolescenza, è importante chiedersi se siamo pronti a legiferare con gli attuali strumenti che oggi appaiono come superati. Non regolamentare il territorio on line, la protezione dei dati biometrici dei cittadini, e non attingere alle scienze comportamentali per costruire uno spazio sicuro per l’infanzia sarebbe un errore.
Il bene più grande di un Paese è rappresentato dalle giovani generazioni. Come adulti responsabili del loro futuro di donne e uomini sani, di cittadini consapevoli dotati di pensiero critico e liberi da ogni dipendenza, dovremmo fermarci a riflettere con attenzione, per agire velocemente.
*Consulente in strategia del cambiamento per le organizzazioni complesse