Antonella Fabiani

La sfida da vincere

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Prevenzione e lavoro di squadra sono gli ingredienti fondamentali dell’impegno della Polizia di Stato per tutelare le vittime di violenza. A spiegarlo Francesco Messina, direttore centrale anticrimine

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Impegno costante e continuo quello della Polizia di Stato contro la violenza sulle donne. A confermarlo i dati del resoconto annuale (... questo NON è AMORE 2022) redatto dalla Direzione centrale anticrimine, pubblicato in prossimità del 25 novembre, Giornata nazionale contro la violenza di genere. I risultati del contrasto al fenomeno non mancano: gli strumenti normativi e una specializzazione nella materia da parte della Polizia di Stato hanno condotto a un perfezionamento delle tecniche investigative, privilegiando la prevenzione sul fenomeno. Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine, durante l’intervista concessa a Poliziamoderna ribadisce come le misure di prevenzione siano fondamentali per ridurre i casi di violenza, in particolare l’ammonimento che dà la possibilità al questore di poter incidere velocemente sulla pericolosità degli autori di violenze domestiche o atti persecutori. Strumento ancora più efficace, grazie al Protocollo Zeus, se l’ammonito decide di intraprendere un percorso di recupero.

«I dati dicono che nessun omicidio è stato commesso da un soggetto ammonito, e contestualmente, mentre i femminicidi sono diminuiti del 26% rispetto all’anno scorso, parallelamente sono aumentati del 50% gli ammonimenti per violenza domestica – dichiara il direttore centrale – questo dimostra che se vogliamo vincere la partita è necessario intervenire prima che il fatto sia penalmente rilevante. Voglio anche precisare che il femminicidio è l’omicidio di una donna proprio in quanto donna, secondo quanto stabilisce la Convenzione d’Istanbul. Comprendere questo significa adottare delle misure con le quali possiamo incidere fortemente sul fenomeno e vincere».

Attualmente il Protocollo Zeus va a perfezionare l’ammonimento (con la possibilità per il maltrattante di seguire un percorso di recupero presso un Centro) poiché l’esperienza dimostra che insieme abbassano l’incidenza della recidiva. Il Protocollo prevede una sinergia particolare tra operatori della questura e i Centri di ascolto coinvolti nell’intervento di prevenzione: il questore, ammonita la persona, la “invita formalmente” a prendere contatto con gli operatori per accedere a un percorso gratuito di riflessione sulle sue condotte violente, per esempio sulla difficoltà nel controllare la rabbia. La presa di coscienza da parte del maltrattante di avere una situazione di disagio e la volontà di uscirne in modo da evitare possibili ripercussioni personali lo convincono a frequentare un Centro dove ha la possibilità di intrattenere dei colloqui con lo psicologo. L’alta percentuale di adesione ai percorsi di recupero ha abbassato drasticamente i casi di recidiva, cioè gli autori di maltrattamenti non ritornano a compiere atti di violenza domestica o di stalking. Questa è la strategia vincente per azzerare le uccisioni delle donne e i maltrattamenti di cui sono vittime.

A oggi sono 56 le questure che aderiscono al Protocollo (il 54% del totale) ma si sta lavorando per altre sottoscrizioni. «L’abbattimento dei casi di recidiva, come dimostrano i dati è incoraggiante – afferma Messina – e per questo come Direzione centrale anticrimine abbiamo dato un’ulteriore indicazione strategica ai questori: aumentare gli ammonimenti con la massima sensibilizzazione, perché il verificarsi dei femminicidi dimostra che il fenomeno non solo è emergenziale ma è strutturato e quindi bisogna incidere con azioni immediate e tempestive da parte delle questure e delle divisioni anticrimine».

Ricordiamo che l’ammonimento, al termine delle verifiche istruttorie eseguite dalla divisione anticrimine della questura, è notificato al maltrattante de visu da un ufficiale di pubblica sicurezza.  Questa misura nasce con lo scopo di garantire alla vittima una tutela rapida e anticipata rispetto alla definizione del procedimento penale e consiste nell’avvertimento, rivolto allo stalker o al maltrattante, di astenersi dal commettere ulteriori atti di molestia o violenza domestica. In particolare, chi si rende responsabile di percosse o lesioni lievi nell’ambito della violenza domestica, può essere ammonito non solo su istanza della vittima ma, fatto particolarmente rilevante, anche su iniziativa di un testimone (come ad esempio un vicino di casa) a cui la legge consente di rimanere anonimo in questi casi. Una volta acquisita la notizia di una situazione di pericolo per la vittima il questore, attraverso l’attività della Divisione anticrimine, verificati i fatti può adottare il provvedimento così che l’autore verrà diffidato alla prosecuzione delle condotte.

La cura di ogni fase (irrogazione dell’ammonimento da parte del questore, la comunicazione da parte di un ufficiale di pubblica sicurezza al maltrattante insieme alla proposta di un supporto psicologico) implica la formazione degli operatori e il “follow up”: «La tecnica di notifica è determinante – spiega il direttore Messina – l’operatore deve essere in grado di creare un rapporto di fiducia con il destinatario dell’ammonimento, di riuscire a farlo riflettere sulle sue condizioni e convincerlo a praticare un percorso di recupero psicologico presso un Centro antiviolenza, perché se il maltrattante rifiuta va controllato con altri strumenti come la sorveglianza speciale; quindi è importante anticipare la soglia di intervento rispetto al sintomo. Ma non basta. Ci devono essere delle verifiche successive al percorso di recupero che accertano che il maltrattante non ritorni a vessare la vittima».

Rientra nella strategia di contrasto alla violenza di genere anche il perfezionamento dell’applicativo Scudo, che integra i sistemi operativi multimediali e informativi già in uso alle forze di polizia, consentendo di evidenziare i precedenti interventi per lite, o violenza, sia quelli rientranti nel cosiddetto “codice rosso” sia quelli che, seppur non caratterizzati da particolari gravità o aggressività, come ad esempio le liti verbali, attraverso una condotta abituale potrebbero assumere, in futuro, rilievo penale, come atti persecutori o maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi. Tanto più che nei grandi centri dove nel servizio di controllo del territorio si alternano volanti della polizia a pattuglie dei carabinieri, durante l’arco delle 24 ore, è necessaria una banca dati dove gli operatori possano attingere informazioni sugli interventi già effettuati, così da capire in quali condizioni si devono muovere e come intervenire nel caso di molteplici interventi. Il lavoro di squadra, nel contrasto alla violenza sulle donne e in famiglia, prosegue anche nei luoghi dove non esiste un commissariato: in questo caso il questore delega la notizia dell’ammonimento ai colleghi dell’Arma dei carabinieri, i cui operatori vengono formati affinché lo standard di comunicazione ai destinatari della misura sia omogeneo.

«È auspicabile continuare su questa strada poiché nella maggioranza dei casi il maltrattante è una persona con problemi che un percorso di terapia psicologica potrebbe aiutare a risolvere. L’esperienza investigativa dei popoli del nord Europa sul ciclo della violenza è stata di grande aiuto poiché ha illustrato i fattori che concorrono all’innalzamento del circuito della violenza tra cui c’è pure l’ambiguità delle vittime, spesso convinte di poter gestire la situazione: per questo è necessario agire tempestivamente a prescindere dalla loro collaborazione. Il famoso “ultimo appuntamento” in cui spesso le donne vengono barbaramente uccise, nasce dalla convinzione della vittima di poter gestire il suo carnefice».

Pensare che ancora oggi in cui tanti diritti e libertà individuali sono tutelate, tante donne vengano uccise o riempite di botte dai propri mariti o compagni, porta a pensare che qualcosa ancora non funzioni nella nostra cultura. Viene spontaneo pensare che sia ancora invisibilmente intrisa di maschilismo che finisce per contaminare in modo malato i rapporti affettivi e sentimentali: «Il fenomeno della violenza sulle donne e sulle persone fragili si può combattere solo con la competenza e il lavoro di squadra tra gli specialisti – afferma – ognuno rispetto al proprio compito. La polizia, i medici, gli avvocati difensori, i magistrati, gli psicologi dei centri antiviolenza e di recupero: tutti devono essere preparati e collaborare insieme, coinvolgendo la cittadinanza con informazione, campagne, progetti, convegni, o eventi come, tanto per portare un esempio recente, la corsa We run for women, organizzata dalla questura di Savona che si è svolta il 20 novembre a Pietra Ligure. E poi la famiglia e la scuola attraverso l’educazione delle diverse generazioni; vanno bene alcune date come l’8 marzo e il 25 novembre dedicate al contrasto a questo fenomeno ma non è sufficiente, occorre lavorare tutti i giorni affinché le donne vivano senza paura».

Rientra nella difesa delle donne e delle persone fragili anche il progetto #sicurezzaVera (all’interno della campagna “Questo non è amore”) a cui hanno aderito oltre 300mila bar e ristoranti del Paese nel cooperare con le forze dell’ordine per prevenire e intercettare comportamenti offensivi e molesti. «Collaborare con le associazioni di categoria è fare lavoro di squadra – spiega Messina – in questo caso con il mondo delle imprese. 

La collaborazione con la Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) rientra nella tutela delle donne sul luogo di lavoro, dove spesso si consumano atteggiamenti sminuenti nei loro confronti o verso le persone fragili, tra le possibili vittime di comportamenti offensivi o violenti. Il nostro aiuto come polizia, attraverso gli operatori, è incontrare le lavoratrici nei bar, negli alberghi, nei ristoranti, nei locali e dare informazioni utili e consigli su come difendersi in caso di molestie. Per dare un maggiore aiuto abbiamo creato per queste figure una via preferenziale sull’App Youpol affinché sia immediatamente riconoscibile la richiesta di chi appartiene a Fipe».

Tanti i risultati, tanto ancora il lavoro da fare. «Non ci devono essere mai più morti annunciate – ribadisce – perché se si lavora bene non si fanno errori e si salvano vite. E lavorare bene significa svolgere con competenza ogni fase dell’attività di prevenzione a partire dall’irrogazione dell’ammonimento vanno monitorate e verificate con tutte le figure istituzionali coinvolte».

Passando a un altro tipo di violenza, quella che si vede negli atteggiamenti di molti ragazzi e in molti episodi riportati dall’inizio di quest’anno nelle pagine di cronaca dei quotidiani, chiediamo al direttore centrale anticrimine se veramente sia salito il numero delle aggressioni giovanili anche su altri minori: «L’aumento è una realtà – afferma Messina – c’è senza dubbio un malessere, un’ansia di liberazione dovuta alla compressione vissuta dai ragazzi negli ultimi due anni. L’aumento delle azioni aggressive tra i minori secondo il mio parere dipende dagli stimoli forti che ricevono dalla Rete e anche dalla privazione della socializzazione negli ultimi due anni a causa della pandemia. La costituzione di baby gang e il verificarsi di violenze durante la movida sono la spia di un forte malessere, ma è la “mala movida” che occorre combattere, non il sano divertimento. Anche in questo caso sarà utile adottare provvedimenti preventivi come percorsi di recupero in comunità a cui ragazzi in genere reagiscono positivamente».

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STORIA DI GIULIA 

È una sera di dicembre. Giulia, giovane universitaria, si presenta con la mamma presso l’Ufficio denunce della questura, decisa a denunciare il suo ex fidanzato, Marco. La relazione tra i due ragazzi è terminata da poco, ma lui non si rassegna, si trattiene a lungo, quasi tutti i giorni, sotto casa sua, le lascia biglietti, lettere e la contatta continuamente al telefono. Giulia inizia a raccontare: Marco, dai tempi dell’adolescenza vive una situazione di profondo malessere e sconforto. Lei ha provato ad aiutarlo, ma si è resa subito conto che il ragazzo antepone sempre la propria ansia e insicurezza al loro rapporto; più volte prova a interrompere la relazione, ma i dubbi sono tanti e le richieste di aiuto di Marco la inducono a continui ripensamenti. Mentre racconta, Giulia esplode in un pianto irrefrenabile, perché teme di danneggiare il ragazzo e con decisione chiede di interrompere la stesura della denuncia.  Il Dirigente dell’Ufficio prevenzione generale mi chiama. Insieme parliamo con la ragazza e le proponiamo un’alternativa alla denuncia, l’ammonimento del questore. 
Giulia, ancora in lacrime, ma in maniera ferma e risoluta dice: «Ho capito, siete stati chiari. È quello che voglio». Un paio di giorni dopo, presenta l’istanza di ammonimento, scritta di suo pugno. Marco è stato ammonito e invitato a seguire un percorso terapeutico per ricevere un sostegno adeguato. Sa di essere seguito e appostamenti e telefonate sono terminati. 

Tratto dalla brochure “...questo non è amore 2022”

06/12/2022