Chiara Germani*

Il Dna al servizio delle donne

CONDIVIDI

Come le tecnologie dei laboratori della polizia scientifica giungono a identificare il profilo genetico dell’autore di una violenza sessuale

pp02 12-22

I reati contro la sfera sessuale sono uno dei casi che più mette a dura prova i “first responders”, ovvero il personale sanitario e delle forze dell’ordine che si trovano di fronte a una vittima di violenza. Quando una donna denuncia un abuso, il principale obiettivo è “metterla in sicurezza”, creando le condizioni ottimali affinché possa sentirsi accolta e protetta; contestualmente è necessario che la vittima fornisca all’operatore di polizia la collaborazione necessaria per ricostruire l’accaduto, anche in vista dell’accertamento tecnico scientifico da parte del personale della Polizia scientifica.

L’obiettivo prioritario di chi opera è dare sicurezza, provvedendo alle necessità primarie della vittima e facendo in modo che possa ricevere le cure mediche e assistenziali. In questi momenti gli operatori sono chiamati al difficile bilanciamento tra l’esigenza di evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria e lo svolgimento di attività investigative che non possono essere differite, come la raccolta degli indumenti, dei preservativi, il prelievo di tamponi vaginali: tutte fonti di prova che, unite tra di loro, consentiranno di comprendere la dinamica della violenza e l’identificazione dell’autore. 

I laboratori di genetica forense e di esaltazione impronte latenti della polizia scientifica sono impegnati quotidianamente per l’identificazione degli autori di reati, e ciò non solo in caso di omicidio o altri fatti gravissimi.

Mentre l’impronta digitale è formata da piccole figure geometriche (chiamate minuzie) che vengono confrontate con impronte di soggetti noti, la sequenza del Dna viene trasformata dal genetista forense in una serie di numeri sotto forma di grafico a “picchi” che identificano in modo univoco un individuo.

La genetica forense è una branca relativamente giovane e deriva dalla genetica medica in quanto le tecniche utilizzate nell’ambito medico ospedaliero sono le stesse usate in ambito forense, solo che nel primo caso lo scopo è di tipo diagnostico o terapeutico, mentre nel secondo si mira a un’identificazione di polizia giudiziaria. 

Nella genetica medica le attività di estrazione e analisi del Dna trovano il loro fondamento giuridico nel “consenso informato” che il paziente sottoscrive prima di sottoporsi al prelievo; tramite questo consenso viene dato al genetista medico la possibilità di analizzare l’intero patrimonio genetico del paziente. Per la genetica forense, invece, non esiste un “paziente”, ma esiste la traccia biologica di un “individuo ignoto”, rinvenuta su una scena del crimine, cosicché la base giuridica che permette di analizzare il Dna si ritrova in un provvedimento dell’autorità giudiziaria, che autorizza ad effettuare le analisi di laboratorio utili ai fini di giustizia.

Un’altra differenza tra l’ambito forense e l’ambito medico è nella natura stessa dell’analisi del Dna. 

La genetica medica può analizzare tutto l’intero genoma della persona: dobbiamo pensare al Dna come se fosse un grande libro in cui ogni pagina descrive una nostra caratteristica fisica (il colore degli occhi, il colore dei capelli, il colore della pelle, se siamo suscettibili ad un farmaco, se ci ammaleremo di una determinata malattia, e tanto altro); il genetista medico ha in mano l’intero libro e apre la pagina in cui vi è il tratto di Dna che vuole analizzare, come avviene ad esempio negli screening per alcuni tumori. Al genetista forense non è consentito, per legge, di analizzare l’intero Dna, ma solo i tratti che permettono l’identificazione di un individuo; in altri termini, il genetista forense può aprire solo alcune pagine del libro, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. I laboratori della polizia scientifica, attravers

...


Consultazione dell'intero articolo riservata agli abbonati

06/12/2022