Cristiano Morabito

Nigeria connection

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Un viaggio all’interno della mafia nigeriana e della sua organizzazione: i clan e gli affari di uno dei sodalizi criminali più strutturati e pericolosi presenti nel nostro Paese

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L’immaginario collettivo legato alla parola “mafia” è ben diverso dalla realtà attuale. La figura del mafioso con coppola e lupara del lontano passato del nostro Paese, è stata sostituita da una poco definita e più camuffata che permette a questo fenomeno di addentrarsi nei meandri di aziende e istituzioni, riuscendo a mimetizzarsi senza quasi far sentire la propria presenza, se non quando venga alla luce grazie alle indagini delle forze dell’ordine. 

Erano gli Anni ’20 e l’Italia era interessata, a causa della mancanza di lavoro e della crisi economica che ne conseguiva, da un intenso flusso migratorio al di là dell’Atlantico, con molti nostri connazionali che si imbarcavano sui piroscafi per raggiungere, con una valigia di cartone e qualche spicciolo nelle tasche, quella che era vista come la “Terra promessa”: l’America. Tanti di loro hanno fatto fortuna e hanno esportato il proprio know-how e contribuito alla crescita di quella Nazione. All’epoca, però, non esportammo solo lavoratori, ma anche, in una piccola percentuale, un’altro “business” che in Italia era florido: il crimine organizzato, che in quegli anni si radicò e, soprattutto durante il periodo del Proibizionismo, trovò il suo periodo di maggiore attività, esportando un “metodo” che fece scuola, basato su intimidazione, omertà e controllo del territorio; proprio questi ultimi tre, decenni dopo, saranno i capisaldi necessari all’applicazione del futuro articolo 416 bis della legislazione antimafia italiana.

Si potrebbe dire “chi la fa, l’aspetti”, dato che quel metodo tipico delle mafie italiane, nel tempo ha fatto scuola e molte associazioni criminali straniere ne hanno fatto tesoro, seguendo pedissequamente lo schema organizzativo italico e adattandolo alle proprie esigenze. Nacquero così anche altre mafie nel Vecchio continente e non solo, anche grazie al fenomeno dell’immigrazione clandestina che dall’ultimo ventennio del secolo scorso ad oggi ha fortemente interessato il nostro Paese. 

Le origini
Ed è proprio da uno dei Continenti dal quale il fenomeno migratorio verso l’Italia è da sempre particolarmente sostenuto che è arrivata da noi una organizzazione criminale relativamente “giovane”, ma che da subito ha iniziato a far sentire il proprio peso: la mafia nigeriana.

«Ovviamente gli “anticorpi” che poteva offrire l’Italia come struttura e come Paese erano ben diversi da quelli che poteva offrire il Nord America agli inizi del Novecento, perché avevamo già la legislazione antimafia e di conseguenza alcuni fenomeni sono stati correttamente letti da subito – osserva Marco Martino, a capo della seconda Divisione del Servizio centrale operativo, incardinata nella Direzione centrale anticrimine – Parliamo del 2005-2006, quindi non proprio oggi o ieri. Una volta applicati questi strumenti, sono anche arrivate sentenze di condanna, passate poi in giudicato. Tutto ciò ci ha consentito di effettuare un vero e proprio studio più approfondito sul fenomeno: sono state analizzate le sentenze, le modalità investigative, l’approccio al fenomeno ed è stato redatto un vero e proprio documento, denominato “Eurocult”, che restituisce una precisa fotografia del fenomeno nigeriano e lo approfondisce nei suoi aspetti principali. Un documento diffuso poi anche all’interno delle forze di polizia europee, tanto da diventare una sorta di linea guida per decodificare i comportamenti di nigeriani anche al di fuori del territorio nazionale: l’uso di un determinato slang, di un certo tipo di vestiario, l’uso di particolari espressioni o comportamenti anche solo posturali. Vere e proprie “forme di comunicazione” tali da consentire l’identificazione di soggetti come appartenenti a un dato sodalizio criminale rispetto a un altro e anche per verificare se questi due gruppi fossero in contrapposizione. Come le gang e le macro gang che imperversano nel Nordamerica dominando intere aree territoriali, così gli appartenenti ai “cult” di nigeriani presenti nei nostri territori dovevano fortificare la loro presenza, avendo un nucleo sempre più ampio di soggetti, facendo in modo che gli altri riconoscessero sugli appartenenti i simboli e i colori utilizzati, affinché non potessero invadere le varie aree».

Il cultismo e le gang
Ed è proprio il “cultismo” una delle caratteristiche principali della mafia nigeriana, permeata da uno spiccato associazionismo con connotazioni magico-religiose che gli consentono una forte “tenuta” al proprio interno, con una conseguente forte capacità intimidatoria alla quale corrispondono atteggiamenti omertosi da parte degli adepti e dei connazionali. Una forma di associazionismo apparentemente virtuoso dal punto di vista sociale, ma particolarmente inquinato da aspetti criminali, poiché sono proprio le congregazioni etniche assistenziali la principale copertura delle attività illegali messe in atto. 

I nomi, sono molto simili alle gang americane e da queste traggono ispirazione anche per vestiario, simbolismo e comportamento, ma restando fortemente legate alle origini africane: Supreme Eye Confraternity, Black Axe, Maphite e Viking, sono le principali organizzazioni “cultiste” presenti sul nostro territorio e, tranne i Maphite che sono particolarmente radicati al centro-nordovest del Paese, sono presenti “a macchia di leopardo” su tutta la Penisola.

La “Green Bible”
Ognuna di queste organizzazioni ha un vero e proprio organigramma, con vertici nazionali e locali che, a causa di violente faide interne, possono cambiare frequentemente e tutte caratterizzate da un rigido codice comportamentale, che prevede sanzioni, anche di natura corporale, particolarmente severe. Un codice che non è basato sulla tradizione orale, ma che viene riportato fedelmente in quella che è una vera e propria “Bibbia”, la Green Bible (Bibbia verde) che viene inviata direttamente dalla Nigeria da parte del board, la cupola della mafia biancoverde al cui vertice c’è anche qui un padrino, eletto dal “Consiglio”.

«Nel 2019 – racconta Marco Martino – grazie a un’indagine della Squadra mobile di Torino, siamo riusciti ad assestare un duro colpo alla mafia nigeriana, grazie al sequestro della Green Bible, in possesso dei Maphite, e che abbiamo scoperto essere identica per ogni gruppo criminale. Un evento che ci ha permesso di capire a fondo il fenomeno nella sua globalità e complessità, capendone il modus operandi, e di scoprire anche l’emissione di condanne a morte nei confronti dei primi “pentiti”; nella Bibbia dei Maphite uno di questi era chiamato “The Snake” (il serpente), che andava scovato e ucciso in qualsiasi parte del mondo si trovasse. Il ritrovamento della Bibbia Verde è stato importante anche per la Nigeria, dove i problemi non sono solamente legati alla presenza della mafia, ma anche alla corruzione dilagante, agli scontri etnico-religiosi, ai sequestri in massa di ragazze da avviare alla prostituzione e a organizzazioni terroristiche come Boko Haram. Però, anche lì si sta muovendo qualcosa, infatti sono stati messi al bando i “cult”, la cui sola costituzione iniziale può portare anche a pene di 20 anni di carcere. Un’evoluzione dovuta anche grazie all’apertura verso altri Paesi, dai quali hanno saputo cogliere segnali importanti su cosa alcuni membri delle comunità nigeriane stessero mettendo in atto altrove. Ci sono stati scambi di informazioni tra i nostri magistrati delle varie Dda e i loro omologhi in Nigeria, che sono venuti anche in Italia per potersi rendere conto al meglio della situazione». 

I rapporti con le mafie italiane
Un fenomeno, quello della mafia nigeriana, come abbiamo detto, non circoscritto, ma abbastanza diffuso ovunque in Italia, anche se si può dire partito dal Sud per poi espandere i suoi interessi in ambiti di “business” diversificati, come la gestione della prostituzione low cost, il caporalato e il traffico di stupefacenti: «Il fenomeno all’inizio era a livello di “colore” presente nel Sud, generalmente in Campania e riguardava soprattutto lo sfruttamento “lavorativo”, nella raccolta dei pomodori oppure nella prostituzione, fenomeni tipicamente controllati da organizzazioni criminali di stampo mafioso; ma le prime sentenze di condanna definitive – prosegue il dirigente – ci sono state nel Nord Italia dove si è arrivati anche all’individuazione dei primi collaboratori di giustizia. Grazie anche a questi, siamo riusciti a effettuare ben oltre 300 arresti negli ultimi quattro anni per 416 bis, un numero maggiore rispetto agli italiani arrestati per lo stesso reato. La mafia nigeriana – aggiunge Martino – continua ad avere un proprio alveo di comportamento criminale e, al momento, non è entrata in contrasto e in competizione con la criminalità organizzata italiana. Attualmente occupano piani differenti del mercato della distribuzione di stupefacenti o della gestione della prostituzione, che per i clan italiani potrebbe portare ad un’esposizione maggiore e quindi non conveniente. L’organizzazione criminale italiana è molto più “sommersa” e punta a business di livello più alto, come il riciclaggio di denaro, l’infiltrazione in strutture legate agli appalti pubblici, ecc. Ma anche la criminalità nigeriana sta crescendo, ad esempio nella gestione del mercato degli stupefacenti o nel riciclaggio nel campo delle criptovalute. Non ci sono suddivisioni di aree o collaborazioni tra nigeriani e italiani. Quindi non esiste una “Spectre” che coordini il tutto, ma abbiamo registrato sporadiche collaborazioni sempre nel campo degli stupefacenti (piccole partite di droga reperite a prezzi inferiori) o del traffico di armi, quest’ultimo business quasi esclusivo delle mafie italiane alle quali bisogna rivolgersi per acquistare “i ferri del mestiere”». 

Dunque, allo stato attuale, tra criminalità organizzata italiana e nigeriana sembra non ci siano invasioni di campo, così come, invece, accade spesso tra gli stessi clan africani, come conferma Martino: «In passato hanno cercato di espandersi senza controllo, accogliendo all’interno dei “cult” più adepti possibile, invadendo in questo modo aree che già coperte da altri gruppi. Contrasti che spesso si sono risolti con il sangue, con conseguente apertura di altre indagini da parte delle forze dell’ordine e che hanno portato alla cattura di molti esponenti dei vari clan. Ovviamente, pur essendo criminali, stiamo parlando di persone intelligenti che hanno capito che fosse necessario iniziare una “immersione” delle attività, prendendo esempio dalle organizzazioni criminali del nostro Paese».

Il riciclaggio dei “guadagni”
Tutte attività che, ovviamente, portano un guadagno, gran parte del quale viene inviato in madre patria. Una specie di money transfer, ma totalmente illegale, che è attivo in molti degli “African shop” presenti sul nostro territorio, in gran parte gestiti dagli stessi membri dei clan. In questi negozi, il denaro viene consegnato al soggetto incaricato del trasferimento, che poi contatta il proprio referente in Nigeria, grazie al quale viene effettuato un bonifico da parte di una banca locale in favore della persona che ha consegnato la somma, che la riceve su un conto aperto presso un’altra banca nigeriana. Una volta fatto il bonifico, i contanti vengono uniti ad altri proventi cash, consegnati da altri appartenenti al clan e trasferiti definitivamente in Nigeria tramite un corriere reclutato per l’occasione. In questo sistema di “lavatrici” ultimamente sono entrati anche pagamenti effettuati in Bitcoin, in modo tale da accelerare ancor di più il riciclaggio del denaro.

Tutti sistemi che vengono mutuati da organizzazioni criminali di tutto il mondo e che, a seconda del Paese di provenienza, si adattano alle necessità e alla Nazione in cui vengono messi in atto. Ma in Italia, pur essendo presenti organizzazioni sovranazionali di altri Paesi, l’unica ad aver conseguito il “crisma” di mafiosa è solamente quella nigeriana: «Ci sono state contestazioni anche nei confronti di organizzazioni composte da cittadini romeni e albanesi – prosegue Marco Martino – Soprattutto questi ultimi sono particolarmente pericolosi e quello albanese è forse tra i fenomeni criminali più interessanti anche a livello sovranazionale, ma che non ha ancora la “caratteristica mafiosa” stretta di controllare interi territori. Il che non vuol dire che l’attenzione sia meno alta o le pene più basse, anzi basti pensare a reati tipici di questa comunità, come omicidi e traffico di stupefacenti, per i quali sono state comminate pene pesantissime». 

Una comunità radicata
È bene comunque sottolinearlo in maniera chiara: quando si parla di criminalità nigeriana, ci si riferisce sempre a una piccola percentuale di una comunità ormai radicata da anni in Italia, composta generalmente da persone pacifiche che vogliono vivere nel nostro Paese la propria esistenza, così come per molte altre comunità straniere presenti da tempo sul nostro territorio. I nigeriani sono titolari di tante piccole attività commerciali (come gli African Market), alcune delle quali legate alle donne (principalmente parrucchieri), sono operai e manutentori nelle fabbriche e nelle concerie (specie nel Nord Italia) e incontrano gli stessi problemi di tutte quante le nuove comunità che approcciano un diverso territorio (lingua, costumi e cultura). Attualmente molti dei componenti della comunità nigeriana in Italia si occupano anche di assistenza agli anziani, così come molti immigrati provenienti dall’Est Europa stanno facendo già da tempo nel nostro Paese, cercando di emergere in questo tessuto economico. E si sta facendo avanti anche una seconda generazione di persone nate in Italia ma con genitori nigeriani che, come conferma Martino, nella maggior parte dei casi non viene coinvolta nella attività illecite: «Il reclutamento avviene sempre nei confronti di giovani nigeriani appena sbarcati in Italia, anche perché in questo modo è più facile riuscire a intercettarne i bisogni immediati di sicurezza, di comunanza, di fratellanza, trovando a propria disposizione una vera e propria associazione di supporto che gli accoglie… ovviamente il fine “umanitario” non è di certo quello predominante».

Il ruolo delle donne
Come in ogni organizzazione criminale che “si rispetti”, il ruolo delle donne è totalmente marginale. Sono tantissime le donne nigeriane arrivate in Italia negli ultimi decenni, gran parte delle quali avviate alla prostituzione “low cost” agli angoli delle strade. Donne che, per ripagare i trafficanti di esseri umani per il lungo viaggio dalla Nigeria in Italia, spesso rischiando la vita attraversando deserti e mari, sono costrette a “lavorare” fino allo sfinimento, soggiogate e assoggettate anche grazie a rituali che affondano le radici nelle tradizioni più oscure dell’Africa nera, fatte di bamboline di pezza, spilloni, pozioni e fuochi sacri, che noi occidentali bolliamo come semplici folkloristiche credenze popolari, ma che in una cultura così diversa dalla nostra, in particolare tra i ceti più bassi della società nigeriana, spesso vengono prese sul serio: «No, quella del voodoo non è una leggenda metropolitana, ma purtroppo è una realtà della quale l’organizzazione criminale si serve per tenere sotto scacco alcune persone. In alcuni cult nigeriani di Torino, dopo essersi “liberate” dalla schiavitù del sesso a pagamento, le donne assumevano il ruolo apicale a capo delle prostitute: le regine, figure diverse e superiori a quella della “maman” che invece gestisce sul territorio lo sfruttamento della prostituzione. Solo in un caso, per l’appunto a Torino, è successo che una “regina” riuscisse a scalare le gerarchie del cult, cosa riservata fino ad allora esclusivamente agli uomini, ma il dazio da pagare è stato quello di doversi volontariamente concedere a questi ultimi per entrare nelle grazie dei capi dell’organizzazione».

03/11/2022