Cristiano Morabito
Antenne sul campo
L’esperto di immigrazione: figura fondamentale per capire il fenomeno migratorio
Stare sul campo, tastare il polso della situazione, cogliere ogni minima sfumatura che potrebbe essere segno di un qualcosa che sta per accadere, stringere contatti che permettano giocare in anticipo sugli eventi. Un vero e proprio lavoro di intelligence quello che l’esperto di immigrazione è chiamato a svolgere sul campo. Una figura istituita proprio per riuscire a “sentire” un fenomeno che, nell’ultimo decennio, ha subito numerose modifiche, adattandosi a territori, momenti storici e accadimenti geopolitici.
Sono sette le “antenne sul campo” e sono tutti funzionari di polizia che quotidianamente lavorano a stretto contatto con gli addetti alla sicurezza, le istituzioni locali e le ambasciate italiane in Egitto, Tunisia, Pakistan, Turchia, Nigeria, Polonia e Libia; tutte nazioni (tranne ovviamente la Polonia dove l’esperto di immigrazione è incaricato della cooperazione con l’agenzia Frontex) interessate da un alto flusso migratorio verso l’Unione europea e, in primo luogo, l’Italia, in quanto Paese geograficamente più vicino al continente africano.
Basta dare una semplice occhiata alla cartina del Nordafrica, per capire da subito quali possano essere i “punti caldi” legati al flusso migratorio che si riversa sulle coste Italiane e, in special modo, sull’isola di Lampedusa, ormai vero e proprio avamposto nel Mediterraneo. L’attenzione, osservandone la morfologia delle coste e i confini, cade subito sulla Libia; se poi si pensa anche agli avvenimenti che nei decenni ne hanno caratterizzato la storia, allora si capisce subito quanto l’ex colonia italiana possa essere considerata come il principale porto di partenza per i tanti migranti che si mettono in viaggio con la speranza di trovare un futuro migliore nel Vecchio Continente. Infatti, la Libia risulta essere un vero e proprio crocevia nel quale confluiscono i terminali di gran parte delle rotte battute dall’immigrazione clandestina, ma non solo; anche la situazione politica del Paese agevola la situazione, con due governi (uno ufficiale a ovest nella regione della Tripolitania e uno “ombra” in Cirenaica a est) con una conseguente diversa gestione e controllo del fenomeno migratorio.
Come già detto nell’articolo precedente, la rotta proveniente da Est (lato Cirenaica) è attualmente una delle più battute dai trafficanti di esseri umani che provengono da Asia ed Egitto la cui esplosione demografica fa temere un aumento consistente proprio da quella zona.
Tutti fenomeni e movimenti che, però, visti da casa nostra non darebbero l’esatta idea della situazione e che, appunto, necessitano di qualcuno “in loco” che possa monitorare, controllare, indagare e cercare di prevedere. Un compito delicato del quale abbiamo parlato proprio con l’esperto dell’immigrazione in Libia, un primo dirigente della Polizia di Stato in servizio presso la Direzione centrale per la polizia dell’immigrazione e delle frontiera, del quale, per ragioni di sicurezza, non sveleremo il nome e che ci ha descritto questo delicato mandato che ha iniziato a svolgere.
Quali sono i compiti affidati a questa nuova figura?
Sono proprio quelli di fare da mediatore fra ministero dell’Interno e ambasciata per dare a quest’ultima ogni forma di consulenza utile in materia migratoria, e quindi un’analisi dettagliata dei flussi, fornendo assistenza all’Italia in occasione di espulsioni e rimpatri in contatto con le autorità locali dove necessario. In molti Paesi assistiamo anche la direzione centrale nell’esecuzione di alcuni progetti finanziati dall’Unione europea, che mirano a rafforzare e a sostenere le autorità, come ad esempio qui in Libia, termini di corsi di formazione e fornitura di equipaggiamento alla Guardia Costiera locale, affinché possano svolgere al meglio le loro funzioni.
Voi siete un po’ le antenne sul territorio che possono captare, magari in anticipo, cosa sta per accadere.
Lavorando direttamente sul posto, riusciamo prima e meglio a capire quali sono i cambiamenti di trend nei flussi migratori e quindi aggiornare in tempo reale la Direzione centrale, riuscendo ad anticipare anche eventuali risposte e fornendo un aiuto per preparare le attività da svolgere. Alcuni avvenimenti politici, sociali o economici consentono all’esperto di anticipare cifre, cambi delle rotte migratorie che magari non vengono percepiti con la stessa intensità dall’Italia o dai mezzi di comunicazione di massa o dalle fonti aperte. Stando sul posto appare più evidente che certi avvenimenti nel Paese possano creare un blocco o, di contro, una facilitazione. Avere un contatto più diretto con le autorità locali, consente di capire in anticipo cosa potrebbe accadere di lì a qualche mese.
Quanto sono importanti i contatti sul territorio? È utile stringere rapporti personali?
Dipende dai Paesi, dalla facilità di contatto: in alcuni casi è più semplice, in altri viene richiesto un contatto formale che passa attraverso procedure codificate. È chiaro che un contatto diretto sarebbe l’ideale, ma dipende sempre dalla struttura del Paese e della polizia locale, da quanto è gerarchicamente strutturata, da quanto è flessibile. Nel caso specifico della Libia, il lavoro di collegamento è particolarmente complesso, anche a causa delle varie vicissitudini passate dal Paese. Credo che paghi sempre il rapporto, molto leale e molto trasparente con i nostri omologhi sul territorio. Sono come noi poliziotti e forze dell’ordine, per cui credo che sia quella la chiave: parlare la “stessa lingua”.
Per la sua posizione geografica, la Libia fa un po’ da collettore…
Sì, pur avendo una zona desertica molto estesa, ci sono delle rotte “carovaniere” che di fatto incanalano i migranti per fargli compiere un viaggio che dura molto tempo e che, di fatto, è anche molto pericoloso ed è intervallato da periodi di permanenza in alcune nazioni dove i migranti per mantenersi devono anche lavorare. Una volta arrivati nel paese dal quale si imbarcheranno, stazionano per un certo periodo che può variare per diversi motivi (condizioni del mare, mezzi disponibili, controlli più o meno stringenti, etc…) per poi iniziare la traversata.
Come si diventa esperto dell’immigrazione?
Bisogna seguire per alcuni mesi un percorso che consenta di conoscere al meglio tutte le articolazioni, poi periodi di affiancamento con chi già lavora all’estero, per capire meglio l’ambito in cui si andrà a operare: un sorta learning by doing (apprendere facendo). Fondamentale è la conoscenza delle lingue. È un lavoro che richiede non solo tanta passione, ma soprattutto una pazienza particolare. Tutti i lavori in ambito di cooperazione internazionale richiedono una conoscenza della controparte con cui si lavora e quindi occorre veramente sapere bene con chi si ha a che fare, conoscerne la cultura, i tempi e il modo di lavorare. È vero che i poliziotti sono più o meno tutti uguali in tutto il mondo, però ognuno ha i suoi riti, le sue abitudini. Quindi la cooperazione di polizia bilaterale è abbastanza complessa.
Ha avuto tante esperienze all’estero, che consigli darebbe a chi vuol fare questo lavoro?
Ci vuole apertura mentale e tanta curiosità, anche culturale, perché altrimenti diventa quasi proibitivo adattarsi a contesti esteri. Se non si ha la predisposizione a conoscere una cultura, una lingua, un Paese, è molto difficile fare questo lavoro, quasi impossibile. Il background deve essere quello di chi vuole sapere come funziona un mondo diverso dal proprio. Si tratta di una questione difficile da accettare, perché non significa semplicemente impararne la lingua, ma assorbirne il modo di pensare, di lavorare, di vivere, perché solo quello permette poi di conoscere la controparte e quindi di lavorarci insieme.