Cristina Di Lucente
Il terzo occhio
Dopo una prima fase sperimentale, le videocamere portatili entrano a far parte della dotazione dei Reparti mobili per i servizi di ordine pubblico
Dopo una lunga fase di sperimentazione, lo scorso 12 gennaio con una circolare del capo della Polizia Lamberto Giannini, le bodycam sono ufficialmente “entrate in servizio” nell’ordine pubblico come parte dell’equipaggiamento dei poliziotti dei Reparti mobili di tutta Italia. Piccole e maneggevoli, queste videocamere portatili – attualmente 846 suddivise tra i 15 Reparti sul territorio – sono dispositivi autonomi posizionati nel gilet tattico e costituiscono un progetto innovativo per una maggior tutela degli operatori, da sempre soggetti a videoriprese esterne molte volte utilizzate in maniera strumentale; possono inoltre rappresentare un’importante documentazione di polizia giudiziaria da fornire agli uffici competenti. Manifestazioni studentesche come quelle che si sono svolte a Milano, Roma e Torino tra fine gennaio e inizio febbraio sono state i primi banchi di prova che ne hanno visto l’attivazione. L’utilizzo di tali dispositivi è soggetto alle stringenti indicazioni relative ai dati sensibili fornite dal Garante per la privacy al fine di tutelare i diritti delle persone oggetto della ripresa.
Una visione frontale
L’uso delle bodycam si colloca nel contesto della sicurezza nell’ambito dei comuni e delle città integrando i servizi forniti dalle videocamere di sorveglianza urbane. «L’esigenza di questo strumento nasce dalla necessità di cristallizzare, seguendo il punto di vista del poliziotto, il momento operativo dell’ordine pubblico, per evitare che si creino equivoci sull’attività dei nostri Reparti mobili – spiega Carlo Del Monte, direttore della 1^ divisione del Servizio reparti speciali della Polizia di Stato – Una prima sperimentazione era stata avviata nel 2014 con altri apparati, per approdare nel 2018 a quelli di ultima generazione ora in uso». Una scelta valutata quella di utilizzare una bodycam esterna anziché integrata nel casco, perché questo elemento subentra solo in condizioni di criticità e può capitare che tali situazioni si verifichino all’improvviso, quando il casco non è indossato. Come sostiene il dirigente, avere una ripresa frontale rappresenta una garanzia di trasparenza e di maggior tutela, sia nei confronti degli operatori di polizia che dei cittadini che manifestano. Le immagini delle bodycam possono aggiungersi a quelle fornite dalle telecamere della Scientifica, che offrono però una visione parziale: in questo modo c’è sicuramente un elemento aggiuntivo che può fare la differenza. «L’obiettivo che la Polizia di Stato vuole perseguire attraverso i Reparti mobili consiste nel garantire il pacifico svolgimento delle manifestazioni – sostiene Del Monte – ma laddove ci fossero elementi che configurino un reato, viene offerta così la possibilità di perseguirlo senza particolari esitazioni». Ma come viene utilizzata negli scenari operativi? Come tutto il materiale ritirato nelle armerie, anche le bodycam vengono registrate, associate a specifici operatori e alla squadra che andrà a svolgere il servizio di ordine pubblico. Possono essere consegnate al capo contingente, che dirige più nuclei operativi, al caposquadra e al cosiddetto “generico”, che non ha altro materiale oltre alla videocamera, per un totale di 2 apparecchi per ogni squadra composta da 10 unità. Di norma, l’accensione viene disposta dal responsabile del servizio, questo non esclude però che possa essere attivata anche d’iniziativa, qualora non fosse possibile contattarlo nell’immediato; lo stesso vale per l’interruzione della registrazione. Al termine del servizio l’operatore ripone la videocamera in un apposito totem (foto pag. 14) dove il filmato viene scaricato in automatico in una specifica memoria detta Nas, un disco che ha la funzione di contenere tutte le immagini. Ad esse è possibile accedere seguendo due differenti modalità: la prima, successivamente al servizio, in caso di criticità, prevede una richiesta motivata da parte della questura interessata; successivamente, l’operatore della Scientifica abilitato potrà accedere alla Nas attraverso il Cen (Centro elettronico nazionale) di Napoli, scaricare il filmato e renderlo disponibile per l’eventuale indagine. Nella seconda ipotesi potrebbe subentrare la necessità di visionare le immagini immediatamente: in quell’eventualità l’operatore della Scientifica può scaricarle da una postazione fissa con una speciale abilitazione del Cen, decriptarle e renderle disponibili subito nel caso di intervento in flagranza di reato.
Gli aspetti tecnici
Secondo le indicazioni fornite dal Garante per la privacy si è ristretto il più possibile il numero degli operatori autorizzati al trattamento dei filmati. A tal proposito ha disposto la formazione di cinque amministratori nazionali di sistema – appartenenti ai Reparti di Roma, Padova, Napoli e Torino – che tutelano la protezione dei dati verificando che non vi siano anomalie e che, a loro volta, formano i referenti tecnici (due per ciascun Reparto mobile) che provvedono alla manutenzione dei dispositivi, al controllo e agli aggiornamenti dei software di base. A coordinare il gruppo di lavoro degli amministratori è Roberto Schiavetti, direttore tecnico capo, che chiarisce gli aspetti tecnologici relativi al funzionamento delle bodycam. «A livello tecnico l’infrastruttura è governata da un’applicazione Web che si trova al Cen di Napoli; l’utente accreditato può accedere alla piattaforma attraverso un’applicazione autenticata». Cosa accade tecnicamente? «Al termine del servizio di ordine pubblico, quando avviene lo scarico delle immagini attraverso il totem, il software contenuto all’interno del pc effettua l’indicizzazione, creando una sorta di catalogo per risalire a quello specifico filmato che è conservato presso il Cen. Quando l’operatore della polizia scientifica accede, può indicare luogo, posizione, data e Reparto mobile di riferimento e trovare il filmato. In sintesi, l’indice è il mezzo per accedere al filmato». Qualora si presenti la situazione di urgenza alla quale si faceva riferimento precedentemente, le bodycam vengono collegate con un cavetto usb direttamente al pc e se ne fa subito una copia. «L’evoluzione verso la quale ci stiamo dirigendo sulla base dell’esigenza manifestata da alcune questure è quella di accedere alle immagini anche in mobilità, con l’uso di portatili. Il requisito da raggiungere – aggiunge Schiavetti – è quello di collegarli alla rete ministeriale attraverso una sim dati associata; quando l’operazione sarà completata ci sarà un processo di abilitazione per collegarsi direttamente al Cen ed effettuare l’accesso anche nell’immediatezza».
Questioni di privacy
Il Garante della privacy, prima di autorizzarne l’utilizzo, ha valutato l’impatto sui dati personali. Trattandosi di un apparecchio ad alta definizione, con una memoria di 64 giga, immagini impostate di default in full hd e un’autonomia di registrazione che va dalle 4 alle 6 ore, gli operatori che utilizzano le bodycam ricevono una formazione circa il loro uso in riferimento ai dati sensibili. Le immagini vengono conservate per 6 mesi nei casi ordinari, salvo eventuali indicazioni di proroga da parte della magistratura. Inoltre è importante sottolineare che l’operatore che ha indosso una bodycam non può accedere alle immagini, sebbene sia dotata di un display – in questo si differenziano da quelle che stanno utilizzando i Battaglioni mobili dell’Arma dei carabinieri – dove sarebbe possibile visionarle attraverso un codice pin, che è tuttavia a disposizione dei soli operatori nazionali che hanno ricevuto una formazione ad hoc. Luca Agresti, vice ispettore in servizio presso il I Reparto di Roma è uno di loro: «Il programma è partito da poco ma sono già previste delle evoluzioni legate ad esempio ad un backup dei filmati che sono demandati al Cub (Centro unico di backup) di Bari; d’altro canto, un’altra questione da risolvere è la cancellazione immediata delle immagini non utili al servizio di polizia giudiziaria». Abbiamo chiesto al poliziotto come sia stata accolta questa innovazione dagli operatori: «Dopo un’iniziale resistenza – poteva sembrare infatti un controllo sul nostro operato – ci siamo convinti che rappresenti un modo per mostrare il nostro punto di vista, facendo vedere quello che accade prima del nostro intervento e chiarendone la motivazione; è una maggiore sicurezza per noi. Questo indipendentemete dall’attività prestata, che si tratti di ordine pubblico o magari, nel trasferimento da un posto ad un altro, di un incidente, un furto o una rapina».
Negli scontri di piazza con il movimento studentesco sono state attivate le bodycam già all’inizio del servizio, proprio al fine di evitare una strumentalizzazione nella quale i poliziotti venissero stigmatizzati come responsabili di violenze gratuite. Le bodycam hanno già dato prova, in queste occasioni, della loro efficacia, rappresentando un’aggiunta ai normali ausili utilizzati per l’ordine pubblico. «In genere i Reparti si trovano nelle piazze per gestire le dinamiche di ordine pubblico attraverso un’attività di controllo e di contenimento – conclude Carlo Del Monte – Difficilmente si arriva allo scontro diretto, a meno che quel “cuscinetto” fondamentale che dovrebbe essere sempre presente venga meno; in questo caso questi strumenti diventano utilissimi per integrare un meccanismo di trasparenza che è auspicabile per tutti». Motivo per il quale questi sistemi di ripresa potranno, nel prossimo futuro, essere estesi anche ad altri settori operativi della Polizia di Stato.
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Uno “sguardo” dal territorio attraverso la tecnologia
Le attività operative svolte dalle componenti della Polizia di Stato specializzate nel controllo del territorio – Uffici prevenzione generale e soccorso pubblico (Upgsp), Uffici controllo del territorio (Uct), Reparti prevenzione crimine (Rpc) e Unità operative di primo intervento (Uopi) – stanno vedendo la progressiva introduzione, tra le altre cose, di tecnologie finalizzate ad aumentare sia la capacità di risposta alle mutevoli minacce criminali, sia la sicurezza degli operatori e dei cittadini. In tale ambito, si sta prestando particolare attenzione agli aspetti concernenti le riprese audiovisive degli interventi, le cui finalità appaiono molteplici, interessando profili di documentazione inerente non solo scenari tipici della polizia giudiziaria, ma anche vicende connesse all’ordine e sicurezza, nonché al soccorso pubblico; a tali aspetti deve essere inoltre aggiunta l’accresciuta esigenza, anche a tutela degli operatori stessi, di poter ricostruire la piena legittimità di azioni che talvolta implicano il previsto uso della forza o delle armi. Per tale ragione, gli equipaggi degli Uffici presi in esame sono, ormai nella quasi totalità, dotati di tablet o smartphone in grado di effettuare riprese audiovisive di qualità – particolarmente utili, ad esempio, per la prima documentazione delle scene del crimine – e di telecamere installate nella parte anteriore dei veicoli (con funzione non solo di ripresa di immagini ma anche di lettore automatizzato delle targhe). Alcuni settori particolarmente specializzati, inoltre, sono già dotati di bodycam (assegnate agli specialisti delle Uopi), per la documentazione di interventi ad altissimo rischio, o di telecamere endoscopiche anche wireless (in uso ai Reparti prevenzione crimine), per la ricerca di persone o oggetti in luoghi difficilmente accessibili, particolarmente utili in operazioni per la ricerca di armi, droga e latitanti. Anche per i singoli operatori del “comparto del territorio” si sta prevedendo l’adozione di bodycam. Il loro particolare servizio, però, necessità di un’ulteriore fase di sperimentazione e, soprattutto, di ricerca tecnologica, poiché è necessario che le immagini siano trasmissibili immediatamente alle Sale operative e che la relativa qualità sia accettabile, pur se in movimento. Per tale ragione se ne sta studiando la collocazione su un innovativo dispositivo di sicurezza individuale, composto da un gilet tattico antiproiettile e anti-lama particolarmente performante, che a breve sarà sperimentato da diversi Uffici prevenzione generale e soccorso pubblico, nonché dai Reparti prevenzione crimine.
Vincenzo Nicolì direttore del Servizio controllo del territorio