Fiorenza Sarzanini*

Quando il cibo è un’ossessione

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I disturbi dell’alimentazione sono in continua crescita tra i giovani. Un podcast dedicato e i centri di assistenza integrati in Umbria aiutano a uscire dal tunnel

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Una delle conseguenze più gravi del Covid 19, una vera e propria “epidemia dentro l’epidemia”, è rappresentata dai disturbi del comportamento alimentare. Già durante il primo lockdown c’è stata un’impennata dei casi, soprattutto tra i giovanissimi. Con il trascorrere dei mesi la situazione è peggiorata fino a trasformarsi in grave emergenza. I numeri dell’Istituto superiore di sanità fotografano una realtà drammatica, con i casi di anoressia e bulimia che nell’ultimo anno e mezzo sono aumentati del 30% e hanno provocato una crescita pari al 50% di richieste per una prima visita. In Italia le persone malate sono oltre 3 milioni, mentre le vittime ogni anno sono circa 4mila. Ma a preoccupare ulteriormente è l’identità dei pazienti perché si tratta di ragazzini anche di 12/13 anni, e addirittura di bimbi di 8/9 anni che rifiutano il cibo o lo ingurgitano in maniera esagerata. 

Il 21 dicembre 2021, la Commissione bilancio del Senato ha deciso di stanziare 25 milioni di euro nel biennio 2022-2023 e ha stabilito che i disturbi del comportamento alimentare saranno inseriti nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, con uno specifico fondo. Il 10 gennaio la regione Lazio ha annunciato di voler istituire un fondo dedicato per l’accesso alle cure per la salute mentale e la prevenzione del disagio psichico, rivolto in primo luogo ai giovani e alle fasce più fragili della popolazione. Il motivo l’ha chiarito il governatore Nicola Zingaretti: «Vogliamo rispondere a una situazione di grande criticità e alle tante sollecitazioni del mondo scientifico, alle richieste di aiuto e alle mobilitazioni e petizioni sul #bonuspsicologico che ha coinvolto migliaia di persone e che segnala un problema reale e da affrontare. Destiniamo 2,5 milioni di euro per garantire l’accesso alle cure per la salute mentale e la prevenzione del disagio psichico, attraverso voucher da utilizzare presso strutture pubbliche del Lazio, coinvolgendo la rete degli psicologi e degli psichiatri, dato che con la pandemia i disturbi psicologici sono aumentati». 

Oltre ai disturbi della nutrizione, troppo spesso, ci sono anche i tentativi di suicidio, gli atti di autolesionismo, i ragazzi che si lasciano morire. Una tragedia confermata dai numeri e dai dossier degli esperti. È stato proprio lo stesso Zingaretti a rivelare il contenuto di uno studio condotto dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù: «Le ospedalizzazioni per tentativi o idee di suicidio sono passate dal 17%, nel gennaio 2020, al 45% del totale nel gennaio 2021. Sono esplosi i disturbi del comportamento alimentare: solo per l’anoressia un 28% in più di richieste di aiuto».

A tutto questo ho dedicato un podcast che si chiama Specchio, scritto con Francesca Milano e prodotto dalla società Chora media. Si può ascoltare gratuitamente su tutte le piattaforme (Audible, Spotify e sullo stesso sito di Chora media: https://spoti.fi/35cLznC) proprio perché ritengo che sia un fenomeno drammatico su cui bisogna tenere altissima l’attenzione. Io e Francesca abbiamo deciso di trascorrere alcune giornate nella residenza di palazzo Francisci a Todi, gestita da Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta che da anni si occupa di questi ragazzi e li aiuta a percorrere il tunnel, a cercare l’uscita. Abbiamo incontrato i giovani che lottano contro questa malattia per tornare alla vita. Ho deciso di farlo perché so che cosa vuol dire: anche io, quando ero una ragazza e avevo 23 anni ho sofferto per un periodo di questo disturbo. E perché il fatto che ne sono uscita senza conseguenze ma anzi riuscendo a realizzarmi nella vita privata e in quella professionale, possa essere d’esempio per tutti quei giovani che sono malati ma devono avere la certezza che se si vuole, e soprattutto se si accetta l’aiuto di chi sa affrontare questo nemico subdolo, si può tornare a un’esistenza normale e soddisfacente. 

“Specchio” racconta sei storie di chi ha combattuto e in alcuni casi ce l’ha fatta. Ma anche la testimonianza della mamma di un ragazzo che si è dovuto arrendere proprio perché la malattia non è stata capita, curata in maniera adeguata. Ho scelto di chiamare Specchio questa serie podcast perché lo specchio è il luogo della dispercezione di te: non ti vedi magro, ti vedi come ti vuoi vedere.Tanto che nei centri di cura gli specchi non ci sono.Trovi invece i medici che ti aiutano a prendere coscienza di quello che stai diventando e proprio grazie alla “terapia dello specchio”, che consiste nello scoprire lentamente ogni parte del corpo per riuscire ad accettarla, ti portano verso la guarigione. Non è semplice e non è facile parlarne. Credo di aver creato con questi ragazzi una sintonia particolare. Se si ha un disturbo alimentare non si ha voglia di affrontarlo, di descrivere quello che si prova. Ho detto subito ai giovani che ne avevo sofferto e loro si sono aperti. Soprattutto hanno capito che questo lavoro serviva ad accendere i riflettori, a chiedere alle istituzioni di intervenire per non lasciare soli i ragazzi e soprattutto le loro famiglie. Quando ho letto lo studio dell’Istituto superiore di sanità che denunciava l’esplosione di casi durante il lockdown ho immaginato il dramma di chi, durante i mesi peggiori del Covid, non riusciva a parlare con i medici, non poteva entrare in un ambulatorio o in un ospedale. E purtroppo, ancora adesso, sono disperati perché in molte regioni italiane non esistono strutture specializzate, così genitori e figli restano soli e incompresi. 

La prima storia raccontata nel podcast è quella di Laura. Ha 16 anni, mangia pochissimo, è arrivata a pesare solo 39 chili, eppure si vede ancora grassa. Si confronta con le immagini che vede su Instagram e non si piace mai. Così, durante il lockdown, inizia a fare tantissime sessioni di attività fisica con l’intento di bruciare calorie. Si chiama “dispercezione corporea” ed è uno dei sintomi dell’anoressia, la malattia che l’ha costretta al ricovero in un centro specializzato. 

La seconda storia è quella di Sebastiano. L’anoressia e la bulimia colpiscono anche i ragazzi. Egli racconta che a soli 16 anni si è trovato a dover combattere contro la malattia e contro chi non credeva che anche un ragazzo potesse soffrirne. Oggi Sebastiano è guarito e prova ad aiutare chi è ancora vittima di un disturbo alimentare.

La terza storia ha come protagonista Juliette. Si pensa sempre che chi soffre di un disturbo alimentare sia molto magro o molto sovrappeso. Invece in molti casi la bulimia non ha sintomi visibili, perché mangiare e vomitare rende la persona normopeso ma non per questo sana. Juliette ha un corpo “normale” nonostante le sue abbuffate notturne, e allora lei, per mostrare il suo disagio, inizia a praticarsi dei tagli sulle gambe. Ha iniziato un percorso di guarigione.

La quarta storia è dedicata a Lorenzo. A 14 anni inizia a sminuzzare il cibo, a nasconderlo, a rifiutarlo. Si ammala di anoressia e viene ricoverato. Per descrivere il disturbo, lo paragona a una fidanzata ossessiva. Prova a liberarsi di lei, ma non ci riesce. E a 20 anni muore per arresto cardiocircolatorio. A raccontarlo è la madre Francesca, che lotta perché nessun altro genitore debba vivere quello che ha vissuto lei.

La quinta storia è quella di Chiara che inizia a rifiutare il suo corpo femminile che sboccia. non lo riconosce e vi si ribella silenziosamente. Invece di esprimere il suo disagio con le parole, lei lo fa con il cibo. Mangia e vomita di continuo in preda a un’ irrequietezza profonda, dovuta alla difficoltà di accettarsi e alla paura che siano gli altri a non accettarla. Solo liberandosi dal peso del suo segreto, Chiara è riuscita a fare pace con il suo corpo.

La sesta e ultima storia è un’intervista a una delle influencer più famose d’Italia, bella, solare, vincente. Si chiama Valeria Vedovatti, ha 19 anni, ha sofferto di un disturbo del comportamento alimentare. Nel podcast racconta l’origine della sua malattia, la sofferenza del ricovero ospedaliero e il suo percorso di rinascita.

Molti pensano che i social abbiano un ruolo fondamentale per chi si ammala. In realtà, soprattutto durante la pandemia, ho capito che sono soltanto uno dei problemi. Certamente influiscono: si parla tanto delle ragazzine che vorrebbero fare le modelle o le influencer ed essere magrissime. Ma in nessuna delle storie che ho raccolto questo è stato il fattore scatenante. Può accadere invece che smettere di mangiare sia un modo per comunicare ai genitori qualcosa che non si riesce a dire, per esempio l’omosessualità. Oppure per reagire a una situazione insostenibile, di scontro familiare. Tantissimi ragazzi si sono ammalati per spostare su loro stessi il problema di un padre e una madre che, chiusi in casa, hanno passato il tempo a litigare. Poi, però, si sono resi conto che nessuno li prendeva sul serio, li trattavano come bambini che fanno i capricci. 

Con l’aggravante che molti genitori si vergognano di ammettere la malattia dei figli. Nessuno si vergogna di parlare dei tumori e di altre malattie gravi. Invece parlare dei disturbi alimentari è come mettersi a nudo e allora ci si nasconde, si nega la realtà. È un atteggiamento sbagliato che può provocare gravi danni. Soltanto affrontando il problema si può riuscire a risolverlo. Questo podcast mi rende orgogliosa, è uno dei lavori più belli che ho fatto nella mia vita. Ho messo a disposizione delle famiglie testimonianze, competenze e strumenti che li possono aiutare davvero. Dal 14 settembre 2021, data di uscita della prima puntata di Specchio, abbiamo ricevuto centinaia di messaggi di ragazze e ragazzi che ci ringraziano. C’è chi racconta di avere un problema analogo, chi vorrebbe far conoscere la propria storia, chi ci confida che, pur non avendo sviluppato la malattia, si trova a disagio con il proprio corpo, e chi ci dice che se avesse potuto ascoltare storie del genere, forse, non si sarebbe ammalato. E questa per noi è una soddisfazione immensa. ϖ

*vicedirettore del Corriere della Sera

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Malattie della modernità

di Laura Dalla Ragione* 

I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione come anoressia, bulimia e binge eating, sindrome da alimentazione compulsiva che porta la persona a ingurgitare migliaia di calorie in tempi brevissimi (a differenza dei bulimici non compensano l’abbuffata con vomito, lassativi, allenamenti forzati e quindi tendono a ingrassare notevolmente fino all’obesità, ndr.) costituiscono oggi una vera e propria epidemia sociale che non sembra in questo momento trovare un argine alla sua crescita esponenziale. Per ogni 100 ragazze in età adolescenziale, 10 soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come l’anoressia e la bulimia, le altre di manifestazioni cliniche transitorie e incomplete. Nonostante la popolazione ammalata sia soprattutto femminile, anche i maschi sono in grande aumento. I dati dell’ultima rilevazione del ministero della Salute, nel 2020, anche a seguito delle misure restrittive collegate alla pandemia Covid 19, ci indicano un aumento del 30% della patologia con particolare riferimento ai preadolescenti (10-14 anni), che sono poi quelli che hanno risentito di più dell’isolamento sociale. L’origine e il decorso dei Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (Dan) sono determinati da una pluralità di variabili, nessuna delle quali, da sola, è in grado di scatenare la malattia o influenzarne il corso e l’esito. Una loro piena comprensione deve tenere in considerazione fattori psicologici, evolutivi e biologici. Sicuramente i fattori socio-culturali sono implicati nel favorire lo sviluppo di questi disturbi e in particolare per il ruolo esercitato dalla nostra cultura che associa la magrezza alla bellezza e al valore personale. Uno dei canali di diffusione di queste patologie, più difficile da contrastare, è costituito dalla Rete, soprattutto tra gli adolescenti, che utilizzano questo mezzo quotidianamente e con estrema familiarità. Ci riferiamo ai cosiddetti siti Pro anoressia, gestiti da pazienti spesso minorenni, una sorta di movimenti underground dove si lancia un appello a dimagrire a oltranza, come una forma di protesta e opposizione al mondo degli adulti. 

I disturbi alimentari sono patologie fortemente imbrigliate nelle dinamiche familiari. Non è possibile curarli senza coinvolgere nel trattamento le famiglie. Negli Anni ‘70 la famiglia era stata fortemente colpevolizzata, considerata come causa principale dei disturbi. Oggi è considerata una risorsa importante e indispensabile alla buona riuscita del trattamento. Ma quali sono i primi segnali da osservare? Prima di tutto una serie di comportamenti anomali riferiti all’alimentazione: restrizione, iperattività, vomito autoindotto, abbuffate improvvise. Ma accanto a questo ci deve essere un vistoso cambiamento di carattere: i ragazzi che erano solari, brillanti, generalmente bravisssimi a scuola, diventano tristi, solitari, insicuri. Questi due aspetti devono fare sì che i genitori si rivolgano a un centro specializzato. Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha dimostrato che ci sono motivi reali di ottimismo nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione, solo se lo stesso è condotto da specialisti del settore che interpretano un modello d’intervento altamente strutturato, che include l’approccio nutrizionale, quello psicologico e il lavoro con la famiglia. Secondo tali indicazioni la terapia dei Dan deve essere concepita in termini interdisciplinari e integrati: strutture di cura in cui collaborano, sistematicamente, figure professionali diverse come internisti, nutrizionisti, psichiatri, psicologi clinici, dietisti. A seconda della gravità del quadro, sono necessari livelli di assistenza diversi: ambulatorio day-hospital, ricovero in ospedale in caso di urgenza, trattamento residenziale e semiresidenziale per il programma riabilitativo. 

Purtroppo, secondo l’ultima rilevazione del ministero della Salute, l’assistenza a queste patologie non è diffusa in modo omogeneo nel territorio nazionale e la metà delle regioni non ha una rete completa di assistenza. In Umbria, dal 2003, ne è attiva una, completamente pubblica e interamente dedicata al trattamento di queste patologie, che comprende due centri a Todi , (foto a destra), dedicati all’anoressia e alla bulimia, un centro a Città della Pieve, dedicato all’obesità, e un centro a Umbertide dedicato ai Disturbi selettivi dell’alimentazione, tipici dei bambini che si rifiutano di mangiare alcuni cibi. I risultati dei trattamenti sono molto buoni e la percentuale di guarigione dei pazienti è intorno al 90 %, soprattutto se l’intervento è precoce. Il messaggio di speranza è che oggi da queste patologie si può guarire, le terapie sono ormai altamente specializzate, ma è molto importante intercettare in anticipo il disturbo e intervenire il prima possibile. Esiste un numero verde nazionale della Presidenza del Consiglio, 800180969, a cui ci si può rivolgere per avere informazioni sul centro più vicino, e arrivare cosi precocemente alle cure. 

*psichiatra e psicoterapeuta, direttore Rete disturbi comportamento alimentare Usl Umbria 1

09/02/2022