a cura di Cristina Di Lucente
Il filo rosso della Memoria
Nella settimana della Memoria, dedicata ogni anno alla commemorazione delle vittime dell’Olocausto, la Polizia di Stato ha dato il proprio contributo al ricordo di quanto accaduto in quel periodo triste per la storia dell’umanità, la prima metà degli Anni ’40, durante il quale milioni di persone furono vittime inermi del terribile genocidio nazista. In particolare, numerose sono state le iniziative organizzate dalle questure sul territorio creando quei “percorsi della memoria” che restituiscono il ricordo alla coscienza collettiva. A Novara lo scorso 23 gennaio si è svolta la “Run for Mem, la corsa della memoria verso il futuro”, organizzata dall’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane), un evento sportivo non competitivo al quale hanno partecipato anche atleti delle Fiamme oro, che si è snodato seguendo punti particolari della città in corrispondenza dei quali sono stati posti “totem” commemorativi legati a vicende connesse con l’occupazione nazi-fascista. In diverse città sono state inoltre apposte nuove pietre d’inciampo, sampietrini in ottone posti davanti alle abitazioni di persone deportate o uccise durante i rastrellamenti ricordando i poliziotti che, a costo della vita, hanno salvato numerosi ebrei destinati ai campi di concentramento. Due pietre d’inciampo sono state invece apposte davanti alla questura di Trieste, lo scorso 25 gennaio, per ricordare Giovanni Palatucci e Feliciano Ricciardelli, entrambi commissari di pubblica sicurezza, deportati nel 1944 nel campo di Dachau per aver infranto le leggi naziste. Ad Aosta una pietra d’inciampo è stata posta – anche in questo caso davanti alla questura – per ricordare il commissario Camillo Renzi, arrestato nel ’44 con destinazione Dachau per la sua attività antinazista in favore di ebrei, partigiani e persone sottoposte al lavoro coatto. L’inaugurazione della mostra 2022 pietre d’inciampo a Udine a Palazzo Morpurgo lo scorso 29 gennaio è il frutto della collaborazione tra il comune friulano, la questura e l’Anps ed è dedicata alla memoria dei dieci poliziotti che prestavano servizio in questa città, deportati nei campi tedeschi di Dachau, Mauthausen e Buchenwald, nove dei quali non avrebbero mai fatto ritorno.
La corsa di Shaul
Novara. Sono passati quasi 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e c’è ancora chi non ha capito, chi non ha imparato la lezione, chi si permette di indossare una divisa a righe per andare a manifestare una presunta privazione della propria libertà paragonandosi a chi oltre che della libertà venne privato della propria dignità e della vita. Nell’Europa occupata, fatte salve Gran Bretagna e Russia, prima dell’avvento del nazismo gli ebrei erano poco più di 7 milioni e mezzo, ma poi la “soluzione finale” ridusse questo numero di 6 milioni, sterminando intere generazioni con chirurgica e matematica ferocia, senza risparmiare un altro mezzo milione di esseri umani ripartiti tra prigionieri politici, appartenenti ad etnie Rom e Sinti, dissidenti, disabili e omosessuali.
Eppure, ancora oggi, c’è chi si permette di parlare di presunte “superiorità della razza” o chi, peggio ancora, nonostante le testimonianze storiche parlino da sole, ritiene che l’Olocausto sia stata solamente un’invenzione propagandistica degli Alleati vincitori della guerra.
«Capisco anche che possa esserci qualcuno che oggi a 90 anni, per proteggersi, dopo aver fatto parte della macchina infernale dell’Olocausto, voglia negare che sia mai accaduto o che non vi abbia mai partecipato, ma per tutti gli altri non c’è ragione al mondo per cui possa essere negato che in quegli anni siano stati sterminati così tanti esseri umani».
A parlare è Shaul Ladany, classe 1936, a 8 anni internato nel lager di Bergen Belsen, ex atleta olimpico nella marcia scampato anche alla strage delle Olimpiadi di Monaco ’72 ad opera del commando palestinese che faceva capo a “Settembre nero”. Lo abbiamo incontrato lo scorso 23 novembre a Novara, dove si è tenuta l’annuale “Run for Mem”, organizzata dall’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) che prevede una corsa non competitiva all’interno della città, con soste in luoghi significativi che hanno visto i nazisti compiere alcune delle loro tante nefandezze: ci si ferma qualche minuto, si ricorda cosa successe in quel punto e poi le centinaia di persone che hanno partecipato ripartono, con in testa lui, Shaul Ladany, che a 85 anni combatte ancora oggi contro chi nega.
«Avevo solo 8 anni, ero ancora un bambino – ricorda Ladany – quando salii su un treno che dall’Ungheria ci doveva portare lontani dalla guerra, ma che i nazisti dirottarono verso Bergen Belsen. Nonostante fossi piccolo, ricordo ogni cosa di quei mesi passati lì, dalle facce degli aguzzini in divisa alle tante, troppe sofferenze che ho visto con i miei occhi. Trent’anni dopo sono tornato lì con mia moglie a visitare il memoriale e il custode del museo non riusciva a credere che io potessi ricordarmi così bene tanti particolari, perché ero troppo piccolo. Gli mostrai dove si trovavano le recinzioni elettrificate del campo e lui rimase di stucco, quasi a chiedermi scusa per non avermi creduto».
Shaul, che oggi è un ex