Rocco Bellantone
Stop al monouso
Con la pandemia sono tornati prepotentemente gli oggetti di plastica usa e getta. L’Europa e l’Italia, dove l’iter per la loro riduzione è già stato tracciato, non possono permettersi nuove battute d’arresto
Tra gli effetti collaterali della pandemia che ha stravolto le nostre vite, c’è anche il ritorno prepotente degli oggetti di plastica monouso. Tramortiti dal rischio di rimanere contagiati al contatto con qualsiasi cosa, spesso siamo stati costretti a tornare al “vecchio” usa e getta: non solo mascherine e guanti, la cui utilità per impedire il propagarsi del virus è fuori discussione, ma anche stoviglie e contenitori da asporto. Questa tendenza, sommata alle ondate di imballaggi causate dall’impennata degli acquisti online (solo i servizi di consegna di cibo sono aumentati del 56%), ha frenato i tanti sforzi fatti negli ultimi anni per imporre una circolarità a questi prodotti attraverso il riciclo.
A passi indietro
Il risultato è stato un aumento dell’inquinamento connesso alla produzione di plastica, che secondo la relazione diffusa a fine gennaio dall’Agenzia europea dell’ambiente, “Plastics, the circular economy and Europe’s environment - A priority for action”, nell’Ue è ammontato a circa 13,4 milioni di tonnellate di CO2. Senza contare alcuni preoccupanti passi indietro sul piano legislativo e imprenditoriale. I casi più eclatanti sono stati quelli del Regno Unito, che ha sospeso l’addebito obbligatorio per i sacchetti di plastica per le consegne online, e degli Usa, dove diversi Stati hanno posto limiti all’uso di sacchetti per la spesa portati da casa offrendo in cambio, gratuitamente, quelli forniti dai negozi. A cogliere la palla al balzo, come era prevedibile, sono state alcune catene della vendita di cibo