Andrea Rossini*

La città dei sogni

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Regina del divertimento e del lavoro, Rimini immagina il suo futuro anche grazie alla gestione della sicurezza e dell’ordine pubblico

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Rimini distoglie lo sguardo dall’orizzonte per andare oltre gli ombrelloni, il vuoto aperto del mare e riallacciare il legame con il passato. La città romagnola, capitale del turismo, spinta dall’intraprendenza dei suoi abitanti è da sempre abituata a rinnovarsi, a immaginare il futuro. Lo ha fatto già nel dopoguerra, quando, rasa al suolo dai bombardamenti, era una distesa di pietre silenziose. Il teatro nella piazza centrale, squarciato, è rimasto così o quasi per settantacinque anni. I milioni di visitatori per decenni chiedevano sole, divertimento, musica, eccesso, a seconda delle mode del momento. Addirittura, ignoravano l’esistenza stessa della città “vera”, a monte della ferrovia, ricca di monumenti come l’Arco d’Augusto, il ponte di Tiberio, il Tempio Malatestiano. Ma proprio nel recupero del “Galli” (che ha rialzato il sipario tre anni fa) si legge la volontà di riannodare il filo con un’identità più profonda. Si punta sulla cultura come cerniera tra due mondi paralleli: la città reale e il mare, sede dell’industria turistica. Intendiamoci, niente è più accogliente della grande invenzione “milleluci” della riviera romagnola. In quale altra zona al mondo si assegnano periodicamente decine di premi “fedeltà” a persone, coppie o famiglie che da 30, 40 o 50 anni frequentano la stessa spiaggia, lo stesso mare, a volte perfino lo stesso hotel tra Bellaria e Cattolica? 

Per i riminesi l’Adriatico è orgoglio, lavoro e soldi. C’è stato un tempo in cui, almeno fino agli anni Settanta, con l’arrivo della bella stagione ci si trasferiva in garage per fare spazio agli ospiti paganti nelle proprie case. Nella Disneyland per i turisti, i riminesi si ritagliano i loro spazi “interiori”, buoni per tutte le stagioni, come la palata alla darsena e la sirena del “nautofono” nelle giornate di nebbia. 

Territorio a rischio infiltrazioni criminali (l’ultimo allarme è di Roberto Saviano) - perché per un mafioso è più facile mettere su un locale o un albergo che un’impresa più strutturata - possiede però gli anticorpi nella società civile per contrastarle. Nella Rimini degli anni Novanta, invasa da prostitute, per parlare di contrasti, c’era un santo a redimerle: don Oreste Benzi, a un passo dalla beatificazione. 

È storia di oggi la capacità di conciliare la “Notte Rosa” (Capodanno dell’estate, altra invenzione romagnola) perfino con le regole imposte dalla pandemia. S’indossa la mascherina rosa per poi tornare a casa con qualcosa da raccontare: “Io c’ero”. “Essere tristi a Rimini – dice lo scrittore Marco Missiroli - è come essere brutti a Parigi”. La malinconia è bandita: anche in epoca di distanziamento sociale qui, più che altrove, esiste la possibilità di immaginare un ritorno al futuro.

“Nulla si sa, tutto s‘immagina” è proprio lo slogan, attribuito a Federico Fellini (1920-1993) - anche se la frase è di Pessoa - che per più di un anno ha accompagnato le celebrazioni del centenario della nascita del Maestro, il figlio più celebre di Rimini. 

Sul complesso rapporto del regista con la città di origine, fatto di incomprensioni, si sono scritti fiumi di par

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11/10/2021