Cristiano Morabito e Chiara Distratis
Tokyo: secondo tempo
Al via le Paralimpiadi 2020, con una nutrita spedizione di atleti cremisi. Ne abbiamo parlato con Luca Pancalli, presidente del Cip
Dal 23 di agosto fate caso ai principali monumenti del Pianeta e se li vedete parzialmente illuminati di viola, sappiate che non è un errore e che non c’è nessun guasto ai riflettori della Tour Eiffel, dell’Empire state building o della Grande moschea della Mecca (campagna We are the 15 percent). Quel viola equivale a una percentuale esatta: il 15%, ossia la porzione di popolazione mondiale che soffre di una disabilità. E questa luce ce lo ricorderà per tutto il periodo dei Giochi paralimpici di Tokyo 2020. Alla manifestazione sarà presente anche la Nazionale italiana con ben 17 atleti (su 113 totali) dei Gruppi sportivi Fiamme oro e con l’alfiere Bebe Vio che sfilerà tricolore alla mano nella cerimonia di apertura. Dopo la sbornia di medaglie delle Olimpiadi, che hanno visto gli atleti cremisi contribuire alla metà dei podi azzurri (vedi pag. 19), adesso è la volta delle Paralimpiadi. Abbiamo parlato della spedizione azzurra a Tokyo 2020 con Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico.
L’attesa è finita ed è durata un anno in più…
Le difficoltà maggiori le hanno avute gli atleti; dal punto di vista organizzativo il Comitato ha solamente dovuto rinviare quelle che sono procedure ormai standardizzate, mentre per chi deve gareggiare è stato un anno abbastanza difficile. Nei nostri atleti abbiamo comunque registrato una grande capacità di tenuta e di voglia di continuare a lavorare in vista dell’obiettivo con umiltà e facendo molti sacrifici in più. Anche noi paralimpici, così come gli atleti delle Olimpiadi, vediamo questi Giochi come una vera e propria “luce in fondo al tunnel”, anche se le difficoltà legate al Covid e tutte le pratiche da svolgere stanno rendendo la spedizione molto faticosa e complessa.
Quali sono le sensazioni prima dell’inizio di una manifestazione così importante?
Ho sempre vissuto le mie Paralimpiadi, da atleta prima e poi da dirigente, con la stessa carica e voglia ma questa volta l’emozione è un po’ sopita dalle preoccupazioni legate alla situazione. Una leggera apprensione è innegabile che ci sia: non vorrei che i miei atleti, alcuni dei quali non vaccinati perché affetti da particolari patologie o con disabilità gravi, vivessero quello che dovrebbe essere il momento più importante della loro vita sportiva come qualcosa da dimenticare.
Tokyo 2020: una “sfida nella sfida”…
È così, e sono certo che prima o poi, usciremo da questa situazione. Il Comitato organizzatore giapponese, insieme al Cio e all’Ipc (International paralympic committee), ha fatto un lavoro straordinario per far sì che questi Giochi avessero luogo. Sono convinto che Olimpiadi e Paralimpiadi, in una situazione del genere, si sarebbero potute svolgere solo in un Paese come il Giappone.
Roma ’60 è stata la prima Paralimpiade in assoluto. Se dovesse tracciare il percorso fatto fino a oggi, come lo definirebbe?
È stato un percorso di vera e propria costruzione, nonostante le difficoltà che, fino a non moltissimi anni fa, erano legate a un Paese che non guardava alla disabilità nei giusti termini culturali; basti pensare che le prime leggi per le persone disabili in Italia risalgono agli Anni ’70. Mi piace dividere questo viaggio sportivo paralimpico in due tranche, con “un prima e un dopo”. Il “prima” è fino a Seoul ’88, perché fino ad allora quello paralimpico era un “mondo a parte”: la sede non era la stessa delle Olimpiadi e il Comitato organizzatore era differente. Da Seoul è iniziata l’era delle “Paralimpiadi moderne” e da allora si sono tenute negli stessi luoghi e negli stessi impianti delle Olimpiadi. Il “prima” è segnato anche da un’importante opera di “semina” non solo sportiva, ma soprattutto culturale, e il “dopo” in cui si è iniziato a costruire, fino ad arrivare agli ultimi vent’anni in cui il paralimpismo è letteralmente esploso. Che i tempi siano cambiati si vede anche dai rapporti che abbiamo oggi con la Rai che manda in onda tanti spot annunciando la copertura tv delle Paralimpiadi. Questo è successo grazie al grande lavoro fatto dal mondo sportivo, non solo in Italia ma in tutto il mondo. La mission del paralimpismo non è quella di organizzare i Giochi, ma di cambiare la società e la cultura attraverso lo sport.
Cosa si aspetta da Tokyo 2020?
La “famiglia paralimpica” è consapevole che questi non saranno Giochi come quelli passati, però sa bene che è a Tokyo per quella che è la gara della vita. In epoca “pre-Covid” mi sarei aspettato grandi risultati, anche se da buon scaramantico non ho mai fatto previsioni; oggi, alla luce di quel che è successo, mi sento di essere molto più prudente, perché i risultati possono essere condizionati da una miriade di variabili, non bisogna dimenticare che parliamo di soggetti disabili con le loro problematiche. Mi aspetto che queste Paralimpiadi da un lato possano essere, grazie anche alla narrazione che ne faranno i media, un motivo di spunto e ispirazione per molti ragazzi che non hanno intercettato ancora lo sport nel loro percorso: portarli fuori da casa e fargli scoprire lo sport, per me sarebbe la medaglia più bella. Dall’altro lato mi auguro che l’attenzione sia alta, perché questi atleti la meritano tutta, così come le loro società sportive e i tecnici.
Giochi olimpici e paralimpici potranno un giorno svolgersi in contemporanea?
Olimpiadi e Paralimpiadi vanno ormai di pari passo, ma i numeri sarebbero talmente grandi dal renderlo quasi impossibile. L’importante è che ci sia questo legame stretto tra le due manifestazioni, quasi come se fosse un film in cui il primo tempo è caratterizzato dalle Olimpiadi, mentre nel secondo protagonista è la Paralimpiade. Questo è il messaggio che sta passando, con la gente comune che, durante il periodo dei Giochi olimpici, incontrandomi mi ha detto: «Tra poco tocca a voi!».
Le Fiamme oro saranno presenti con un nutrito schieramento ed è notizia di questi giorni che, dal 2022, gli atleti disabili potranno entrare a far parte dei Gruppi sportivi della Polizia di Stato.
È un obiettivo sul quale ci siamo impegnati per molti anni e che abbiamo raggiunto ed è un risultato che ritengo davvero straordinario perché tanti atleti che vivono con grande difficoltà il loro impegno sportivo, che a certi livelli è una vera e propria professione, ora potranno avere anche un sostegno economico. Ma questa è anche una vera e propria rivoluzione epocale per il nostro Paese: siamo riusciti a far sì che gli atleti paralimpici possano essere assunti in un Gruppo sportivo dello Stato in misura del 5% degli atleti . È un qualcosa di cui voi come Polizia di Stato dovete essere orgogliosi, così come anche gli altri gruppi sportivi militari e tutti coloro che hanno partecipato a creare questo percorso.
A Tokyo mancherà solo un atleta-simbolo
Sì, mancherà Alex. E ci mancherà davvero tanto, perché lui e la sua voglia incarnano in pieno lo spirito del movimento paralimpico. Ma, anche se non sarà presente fisicamente in Giappone, lui sarà sicuramente nei cuori di tutti noi.