Mauro Valeri

A scuola di OP

CONDIVIDI

L’ordine pubblico a 20 anni dal G8 di Genova. Ne parliamo con il direttore del Cftop di Nettuno, Gianpaolo Orditura

noslav 7-21

Sono già passati 20 anni dal G8 di Genova che tante ombre ha lasciato sulle divise. Venti anni che però non sono passati invano perché quel 2001 ha rappresentato l’”anno zero”, il punto esatto da cui ripartire per maturare una nuova consapevolezza e uscirne migliori. L’occasione non è stata sprecata perché fin dai primissimi giorni dopo i tragici eventi si è voluto intraprendere un nuovo cammino. «Anche se è vero che a fare ordine pubblico si impara in piazza, esistono procedure e strategie che vanno insegnate a scuola. È proprio dall’esperienza acquisita in anni di attività sul campo che sono stati raccolti casi di buone pratiche, ma anche di errori da mostrare ai frequentatori del Centro». La nascita del Centro di formazione per la tutela dell’ordine pubblico (Cftop), avvenuta nel 2008 proprio per volere dell’allora capo della Polizia Antonio Manganelli sta tutta in queste parole che racchiudono il concetto cardine al quale ci si è ispirati nella ventennale evoluzione: non bisogna negare e nascondere gli errori commessi ma, al contrario, utilizzarne la memoria per non ripeterli mai più. 

Di questo e molto altro abbiamo parlato con Gianpaolo Orditura, primo dirigente, direttore del Cftop di Nettuno (Rm).

Che tipo di corsi si tengono nel Centro? 
Il Centro in questi anni è stato impegnato per i corsi frequentati da operatori di polizia di ogni ordine e grado. Naturalmente i piani formativi sono modulati in base alla platea di riferimento. 

Per gli operatori dei Reparti mobili il programma, della durata di 2 settimane, si compone di una parte teorica e di una addestrativa. Nella prima le materie trattate riguardano in primis gli aspetti relativi al governo e alla gestione dell’op e poi le tematiche di ordine giuridico, organizzativo, psicologico ed etico che afferiscono ai servizi di op. Nella seconda si effettua l’addestramento alle tecniche operative tenendo conto della peculiarità dei Reparti mobili: chiamati a operare in unità organiche denominate “squadre” e dotati di uno specifico equipaggiamento e di mezzi speciali quali, ad esempio, gli “Idranti”. Per i restanti operatori di polizia, in particolare nei corsi definiti “di base”, cioè quelli di allievo agente, vice ispettore e commissario, è stato previsto un modulo di op della durata di una settimana. A coloro che invece vengono assegnati ai Reparti mobili è dedicato un corso ad hoc. Negli anni sono stati formati anche operatori dell’ex Corpo Forestale dello Stato, della Guardia di Finanza e della Polizia Penitenziaria. 

Si tengono conferenze sulle materie di competenza presso la Scuola addestramento di specializzazione della Guardia di Finanza di Orvieto, che, a sua volta, invia istruttori di tecniche operative presso questo Centro al fine di uniformare le tecniche operative specifiche.

Quale preparazione specifica si richiede all’operatore di polizia addetto all’ordine pubblico? È differente da quella posseduta dagli operatori addetti a compiti diversi?
Dal punto di vista tecnico gli operatori dei Reparti mobili sono dotati di specifico equipaggiamento ed effettuano un particolare addestramento, che li pone in una condizione di maggiore specializzazione all’impiego in servizi di ordine pubblico, rispetto ad altri operatori.

Tuttavia i percorsi formativi, pur differenziati, si muovono su linee direttrici comuni, che comprendono l’analisi ed il confronto su quattro diversi aspetti: il lato psicologico finalizzato alla gestione dello stress operativo; la pianificazione degli eventi finalizzata ad evitare, prevenendole, le criticità operative; l’addestramento tecnico-operativo che consenta all’operatore di accrescere il bagaglio professionale, al fine di affrontare al meglio ed in sicurezza gli scenari di op; il profilo etico che tenga conto dell’esigenza di improntare la propria azione ad un corretto livello di visibilità, di tolleranza e di proporzionato rigore.

Si impara più in piazza o a scuola a gestire l’ordine pubblico?
La vera innovazione portata con la nascita del Centro di formazione è che le esperienze di piazza, positive e negative, sono state analizzate e sono diventate patrimonio comune. I docenti infatti, vengono dalle diverse realtà operative per mettere a fattor comune le proprie esperienze, non come dogmi assoluti, ma come principi e suggerimenti operativi, atteso che la materia dell’ordine pubblico presenta molte variabili. Quindi è fondamentale l’esperienza, ma lo è altrettanto il metodo che deriva dallo studio e dall’approfondimento delle situazioni che si verificano in piazza.

Il “cameratismo” degli operatori del Reparto mobile è un ostacolo o un elemento favorevole?
Proprio per rafforzare l’affiatamento tra gli operatori, i corsi prevedono la presenza di una squadra per ognuno dei 15 Reparti mobili. Questi ragazzi sono infatti chiamati spesso ad operare insieme negli eventi “a rischio” e la condivisione dei momenti formativi presso la sede di Nettuno, contribuisce a rinsaldare il senso di appartenenza che deve unire gli operatori nell’espletamento dei servizi istituzionali. 

A tal fine durante i corsi, gli operatori delle singole squadre vengono mischiati e sottoposti a sessioni di duro addestramento fisico, connotato da simulazioni di scenari reali. Abbiamo così riscontrato lo svilupparsi di legami ed amicizie, ma soprattutto di un concetto di “gruppo” che, lontano dal farsi “branco”, si stringe attorno ai valori etici che devono permeare l’attività dell’operatore di ordine pubblico.

I corsi operano più sul piano tecnico o su quello psicologico?
Su entrambi. Dal punto di vista tecnico insegniamo quello che potremmo definire un approccio di “proporzionato rigore” nell’esecuzione della tecnica in op, perché se è vero che siamo detentori della forza pubblica è anche vero che questa va esercitata con un obiettivo, il ripristino della legalità. Non sono ammesse azioni di vendetta rispetto ad offese verbali o atti subiti ore prima. 

A tal fine addestriamo il personale alla gestione dell’affaticamento psico-fisico puntando molto sul circuito del “Red Man” (vedi box) che provoca gli operatori così da porli in condizioni di stress e metterli alla prova sia come individui che come squadra. Vengono commessi degli errori durante l’addestramento e noi filmiamo tutto così da rivedere i comportamenti col collega che li ha commessi. 

Si parte perciò dal riconoscimento dell’errore per spostare i limiti sempre più avanti. È una realtà difficile sulla quale bisogna lavorare con il dovuto addestramento. A questo si aggiunge il prezioso lavoro compiuto dagli psicologi specializzati nella gestione dello stress e delle dinamiche dei gruppi. Le variabili nei servizi di op sono infinite e il “rischio zero” non esiste. Ci si può avvicinare però a un “rischio calcolato”. 

C’è condivisione delle best practice tra le polizie europee? 
Sia dal punto di vista dell’analisi dei comportamenti delle masse, che dal punto di vista dell’approccio all’op da parte delle forze di polizia dei diversi Paesi, risulta imprescindibile uno scambio finalizzato a ottimizzare le modalità di gestione dell’op e le tecniche operative. Per questo gli scambi culturali sono piuttosto frequenti. Rappresentanti di vari Paesi europei ed extra europei hanno più volte visitato questo Centro ed i Reparti mobili di tutta Italia. 

Esistono anche alcune esperienze di esercitazioni congiunte, come quella effettuata in Francia alla fine del 2014 tra Reparti inquadrati italiani e transalpini, in vista dei campionati europei di calcio del 2016. Sono stati incontri particolarmente proficui e hanno fornito moltissimi spunti di riflessione sia per quanto riguarda l’approccio all’op, sia per quanto riguarda le dotazioni e i mezzi operativi.

Qual è il valore aggiunto delle forze dell’ordine italiane?
La forza dei nostri vertici e degli operatori è stata quella di ripartire dagli errori commessi e di individuare, insieme a coloro che la piazza la vivono quotidianamente, le buone prassi da trasferire ai colleghi impegnati nei servizi di op. 

Quella di mettersi in discussione per imparare anche dai propri sbagli è un’attitudine tipicamente italiana ed è il nostro punto di forza. 

Cosa l’ha colpita di più nei suoi 4 anni da direttore del Centro?
Durante le nostre lezioni, qualche volta, utilizziamo l’arma dell’ironia per creare empatia con i corsisti e per tenere alto il livello di attenzione. Con la stessa vena ironica, mi verrebbe da rispondere che un’esperienza che mi ha “colpito” molto è stata l’incontro, anzi lo scontro, con un formatore del Centro che chiamiamo “passerottino” (un simpatico collega alto più di 190 cm e dalla “stazza” veramente notevole ndr) durante una concitata fase del circuito “Redman”. Nell’occasione i miei occhiali sono volati via ed ancora oggi, prima di iniziare le esercitazioni, mi ripete sornione: «Comandante si tolga gli occhiali». 

Scherzi a parte, ciò che davvero mi ha colpito è la carica umana dei colleghi con i quali ho vissuto questa entusiasmante esperienza. Negli anni di formazione, rivolta a più di 20mila operatori, alla straordinaria capacità professionale si è unito lo spirito di empatia che ci ha legato profondamente e da anni rappresenta la cifra distintiva del Centro. 

_______________________________________________________________

Il coordinamento strategico-politico dell’op
La responsabilità dell’alta direzione e del coordinamento delle forze di polizia spetta al ministro dell’Interno, in qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza. Da lui dipendono funzionalmente tutte le forze di polizia: non solo la Polizia di Stato (che dal ministro dell’Interno dipende anche sul piano organizzativo), ma anche l’Arma dei Carabinieri (eccetto che nell’esercizio dei compiti militari) ed occasionalmente le altre forze di polizia (allorché concorrano allo svolgimento delle funzioni di ordine e pubblica sicurezza). A stabilirlo è l’articolo 1 della legge 121/81 che così recita “Il ministro dell’Interno è responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica ed è autorità nazionale di pubblica sicurezza. Ha l’alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività delle forze di polizia. Il ministro dell’Interno adotta i provvedimenti per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”. A livello provinciale, la struttura istituzionale ha un’articolazione simmetrica a quello centrale. La responsabilità di garantire l’attuazione delle direttive ministeriali – e, dunque, l’unità di indirizzo e coordinamento – è posta a carico del prefetto, autorità provinciale di pubblica sicurezza. Così come a livello centrale il ministro si avvale del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal ministro dell’Interno e composto da un sottosegretario di Stato per l’interno, designato dal ministro, con funzioni di vice presidente, dal capo della Polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, dal comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e dal comandante generale del Corpo della Guardia di Finanza, a livello provinciale l’organo di riferimento è il Comitato provinciale dell’ordine e della sicurezza pubblica, composto dai vertici provinciali delle forze di polizia.

Domenico Cerbone

_______________________________________________________________

Uomini in rosso
Nell’ambito delle attività formative riservate al personale frequentatore dei corsi presso il Centro (Reparti mobili, istruttori di tecniche operative, allievi agenti) è stata prevista una serie di esercitazioni chiamate “Circuito Redman”.

L’utilizzo della protezione totale Redman, introdotta alla fine degli anni novanta per l’addestramento presso il Reparto mobile di Roma, ha evidenziato nel corso di questi anni efficacia e potenzialità indiscutibili, sia sotto il profilo formativo sia per quanto riguarda la possibilità di creare scenari che consentono un adeguato approccio a contesti a volte estremi quali sono quelli di ordine pubblico. Infatti, dai riscontri avuti grazie al passaggio presso il Centro di migliaia di operatori dell’ordine pubblico, sono risultati indubbi una serie di benefici che hanno consigliato l’adozione di tale strumento anche a livello periferico da parte di tutti i Reparti Mobili della Polizia di Stato. L’esercitazione consiste nel dotare uno (o più) operatori di tutte le protezioni necessarie (di colore rosso) e di fargli svolgere la parte dei contestatori- provocatori sia in maniera verbale che fisica. L’esercitazione ha permesso di raggiungere i seguenti risultati:

Precisione nell’utilizzo dello sfollagente nel colpire i punti non vitali e contestuale automatismo nei movimenti.

Implementazione della coordinazione nei movimenti di squadra con conseguente riduzione degli episodi di iniziative personali e isolate.

Incremento della forza dell’unità operativa (squadra) con contestuale raggiungimento dell’equilibrio psicofisico fondamentale in situazioni di stress estremo.

Sviluppo della “mentalità di squadra” intesa come unità operativa dinamica e forte, pronta a fronteggiare al meglio situazioni impreviste.

Maggiore variabilità ed interesse degli operatori verso le attività addestrative.

Creazione nel personale di una cultura dell’efficienza fisica come strumento che consente di dominare e superare le situazioni di stress operativo in modo da fornire prestazioni di elevati standard professionale.

Possibilità di utilizzare gruppi di istruttori anche nella simulazione di scenari operativi di ordine pubblico con conseguente maggior realismo degli stessi.

Attualmente, l’utilizzo della combinazione Redman e lo svolgimento di circuiti addestrativi sono patrimonio, oltre che del Centro, anche di tutti i Reparti mobili della Polizia di Stato, i cui istruttori e formatori hanno partecipato, fin dalla nascita del Centro, alle attività formative in modo da creare omogeneità nei principi operativi da adottare.

08/07/2021