Tiziana Bolognani*
La Porta delle Dolomiti
Alla scoperta di Belluno e della sua provincia, sempre sotto l’attenzione costante e capillare degli operatori di polizia
Belluno possiede “una personalità speciale che gli dà un incanto straordinario ma di cui pochi per la verità si accorgono”, dove si fondono “il mondo di Venezia, con la sua serenità, la classica armonia delle linee, la raffinatezza antica, il marchio delle sue architetture inconfondibili e il mondo del Nord, con le montagne misteriose, i lunghi inverni, le favole, gli spiriti delle spelonche e delle selve, quel senso intraducibile di lontananza, solitudine e leggenda”. Così, il più celebre scrittore bellunese, Dino Buzzati, rendeva omaggio alla sua terra.
Belo-donum, nome di derivazione celtica, è la “città luminosa e splendente”, porta delle Dolomiti patrimonio dell’umanità.
La città, arroccata su uno sperone di roccia alla confluenza del torrente Ardo e del fiume Piave, si mostra improvvisa in tutta la sua bellezza a chi percorre la valle seguendo il corso della storia tracciato dal fiume sacro alla patria. Centro della vita cittadina, già in epoca medioevale è piazza Duomo, dove si affacciano Palazzo dei rettori, eredità della dominazione veneziana e oggi sede della prefettura, Palazzo Rosso, sede del Municipio, il Palazzo vescovile e la Cattedrale di San Martino, patrono della città e della diocesi di Belluno-Feltre.
Poco distante, piazza dei Martiri, con i suoi giardini e la struttura rinascimentale dei palazzi è oggi il salotto buono e il cuore commerciale della città.
In un luogo così ricco di storia, lo storico Palazzo Fulcis, di recente restaurato e divenuto prestigiosa sede museale all’interno della quale sono custodite le opere dello scultore barocco Andrea Brustolon e tre secoli di arte pittorica dal manierismo di Tintoretto, ai dipinti del decorativismo tardo seicentesco di Sebastiano Ricci, sino al vedutismo della prima metà dell’ottocento di Ippolito Caffi.
A pochi passi dal centro, all’angolo tra viale Fantuzzi e via Volontari della Libertà, si trova la questura di Belluno, da sempre un punto di riferimento dei cittadini, non soltanto per le attività di prevenzione e repressione dei reati, ma anche per il soccorso pubblico all’interno di un contesto geografico fragile, quale può essere un’area montana.
Da questo punto di vista, i bellunesi temprati da enormi tragedie come quella del Vajont e da ultimo la tempesta Vaia del 2018, con la distruzione di migliaia di ettari di foreste alpine e conifere per quasi due miliardi di euro di danni, hanno nei loro geni la conoscenza della generosità, dell’altruismo e della professionalità della Polizia di Stato, quale supporto attivo alla cittadinanza in contesti ambientali critici.
«Arrivato nei pressi di Faè trovavo la strada sbarrata da tronchi di alberi e altro materiale melmoso mentre una Fiat 500 e una camionetta sostavano senza conducente sulla strada, coi fari accesi, parabrezza rotti e sportelli aperti».
Sono le parole iniziali della relazione di servizio redatta il 9 ottobre del 1963 dell’agente di ps Gino Maresia, il primo ad arrivare a Longarone dopo che una massa d’acqua di 300 milioni di metri cubi aveva saltato il colmo della diga del Vajont a causa di una frana precipitata nell’invaso a monte.
L’agente, come molti altri si prodigò ne