Armando Albano
L’uso legittimo delle armi
Aspetti di legittimità/1
1. La figura dell’eccesso colposo
La responsabilità colposa di chi agisce nell’adempimento del dovere facendo uso delle armi viene disciplinata nel nostro ordinamento da due distinte disposizioni, contemplate negli artt. 55 e 59 cp.
L’art. 55 cp prevede l’ipotesi dell’eccesso colposo in cui, nonostante un’iniziale configurazione di tutti i requisiti atti all’applicazione della scriminante, “si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità”, applicandosi in questa evenienza “le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
L’art. 59, comma 4° cp disciplina invece l’ipotesi della c.d. scriminante putativa o errore colposo, che si verifica quando il soggetto agente, a causa di un “errore determinato da colpa”, agisce nella convinzione dell’esistenza di una causa di giustificazione a suo favore, evenienza che determina, come già per l’art. 55 cp, una responsabilità a titolo di colpa qualora il “fatto” concretizzatosi configuri una fattispecie di reato “preveduto dalla legge come delitto colposo”.
In riferimento alla modalità di configurazione della fattispecie colposa evidenziatasi, è possibile quindi distinguere a seconda che il fatto sia avvenuto in presenza di condizioni che consentono la qualificazione in senso reale della scriminante, ai sensi dell’art. 55 cp, ovvero putativa, ai sensi dell’art. 59, comma 4° cp.
La figura di scriminante in senso reale vede, almeno nella sua situazione iniziale, la presenza di condizioni che possono far ritenere oggettivamente legittimo l’uso delle armi, con la condotta del soggetto agente che, fino ad un certo punto del suo svolgimento, è sorretta da una causa di giustificazione realmente esistente, mentre, in un momento successivo, ne oltrepassa i previsti limiti, dando vita a una figura di eccesso definita dalla Cassazione anche come “eccesso modale”, poiché riguardante una particolare modalità della condotta tenuta, caratterizzata da errore sulle scriminanti.
La ratio della norma è da ravvisarsi nel fatto che l’ordinamento giuridico non mostrerebbe interesse a punire a titolo di dolo l’agente che inizia la sua condotta in presenza di una causa di giustificazione, per poi successivamente, in ragione di diversi motivi, travalicare i limiti imposti dalla legge.
Se infatti la volontà del pubblico ufficiale è comunque tesa a realizzare quel fine che, nella concreta situazione, rende giustificata sua la condotta, a causa tuttavia di un errore sulla necessità dell’uso dei mezzi coattivi o sull’estensione dei limiti concreti che la situazione fattuale impone, si realizza un evento sproporzionato rispetto a quello che sarebbe invece stato sufficiente produrre.
1.1 L’errore motivo
La giurisprudenza della Corte Suprema ha delineato al riguardo due diverse modalità di eccesso colposo, ex art. 55 cp, determinato da un errore riconducibile al soggetto agente.
Una prima ipotesi viene direttamente connessa all’erroneità della rappresentazione della fattispecie, definibile come “errore motivo”, dovuto ad un difetto di proporzione nell’analisi di bilanciamento degli interessi in conflitto, quando il pubblico ufficiale ritiene di agire nei limiti del lecito a causa di un’errata valutazione complessiva del fatto concreto.
“L’art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all’art. 52 cp, che richiede, a tal fine, la sussistenza, nella fattispecie, della necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta – sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa -. Parimenti, perché sia ravvisabile lo stato di necessità, previsto dall’art. 2045 c.c., è richiesta la sussistenza della necessità di salvare sé od altri da pericolo attuale di un danno grave alla persona.
Nessuna di tali situazioni è ravvisabile nel fatto – fattispecie concreta - dell’agente di polizia che, sopraggiunto immediatamente dopo la commissione di una rapina in una farmacia, mentre il rapinatore si stava allontanando per sottrarsi alla cattura impugnando una pistola a scopo difensivo, abbia esploso all’indirizzo dello stesso, che si proteggeva con il corpo del farmacista, un colpo di arma da fuoco il quale abbia attinto anche un cliente. Tale ipotesi rientra piuttosto nella previsione di eccesso colposo nell’uso legittimo di armi, per avere l’agente superato per errore i limiti imposti dall’art. 53 cp, che legittima tale uso solo nel caso in cui l’agente vi sia costretto dalla necessità di vincere una resistenza all’autorità. Infatti, i requisiti della costrizione e della necessità presuppongono la proporzione tra l’interesse che l’adempimento del dovere di ufficio tende a soddisfare e l’interesse che viene offeso per rendere possibile tale adempimento. Detta proporzione va esclusa nella specie, in presenza di una situazione in cui la tutela dell’incolumità fisica della vita delle persone presenti nella farmacia – beni di cui, secondo la valutazione del giudice del merito, era prevedibile la lesione in caso di uso dell’arma – avrebbe dovuto prevalere sull’interesse alla cattura del rapinatore ed al recupero della refurtiva” (Cassazione civile, Sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2091, ministero dell’Interno contro Bosotti e altro).
La fattispecie concreta, nel caso di specie, imponeva per il pubblico ufficiale un corretto giudizio di proporzionalità tra i beni in conflitto della incolumità fisica e della vita di persona terza da una parte, e della cattura del rapinatore dall’altra, che doveva senz’altro, a parere della Suprema Corte, vedere la prevalenza dei primi; si riteneva, pertanto, sussistente il superamento colposo dei limiti previsti dall’art. 53 cp in materia di uso legittimo delle armi, poiché il pubblico ufficiale, in modo inescusabile, aveva mancato di ravvisare tale necessaria prevalenza, rispetto all’interesse in sé considerato della cattura del malvivente e del recupero della refurtiva, in pregiudizio dei beni della incolumità fisica e della vita delle persone presenti, nonostante fosse ben prevedibile la loro lesione in caso di uso dell’arma da fuoco.
L’apprezzamento dell’osservanza del presupposto della proporzione, da intendersi come “proporzione” anche nella scelta dei mezzi coercitivi – arma o altri mezzi di coazione fisica –, come “adeguatezza” nell’uso dei mezzi prescelti e come “inevitabilità” – extrema ratio – dell’uso dell’arma per attingere il soggetto, va effettuato ex ante, riportandosi ovviamente al momento dell’attività.
“La Corte d’Appello ha chiarito che la morte di Federico Aldrovandi - verificatasi all’alba del 25 settembre 2005, in via dell’Ippodromo, a Ferrara – era materialmente riferibile alla condotta posta in essere dagli agenti di polizia, i quali avevano ingaggiato con il ragazzo una violenta colluttazione, conclusasi con la fisica sopraffazione del giovane schiacciato a terra, in posizione prona, con le manette strette ai polsi di