Cristiano Morabito

Uno Scudo per prevenire

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Un concreto aiuto per contrastare la violenza di genere, ma anche per supportare al meglio chi opera sul territorio

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“Buonasera, dovrei sporgere una denuncia… ho smarrito la carta di credito”. Il poliziotto in servizio quella sera all’ufficio denunce del commissariato aprì la porta e fece accomodare la signora; lei si guardava intorno, quasi a voler ispezionare ogni angolo della stanza, quasi per voler capire se quel luogo celasse chissà quale minaccia. Lui, il poliziotto dall’altro lato della scrivania, notò subito che sul viso di Martina c’erano dei segni, malcelati da un filo di trucco messo lì in fretta e furia poco prima di uscire di casa. “Vuole un bicchiere d’acqua, signora?” le chiese lui, cercando di trovare quel contatto che avrebbe potuto farla sentire a suo agio e lei accettò. Quel gesto di umana cortesia fu il “momento chiave” e tra i due si instaurò, dopo qualche minuto, un rapporto di fiducia: lei aveva capito che da quell’uomo in divisa che aveva davanti, non aveva nulla da temere e che, anzi, poteva essere la persona che l’avrebbe potuta aiutare ad uscire da un incubo durato tanto, troppo tempo. Lui aveva intuito davanti a quale si trovasse ma, invece di chiedere cosa fossero quei segni, aspettò che lei glielo raccontasse. E così fu.

Quella di Martina (il nome è chiaramente di fantasia) è una delle tante storie di donne vittime di violenza domestica, ma una delle poche che la vittima stessa ha potuto raccontare; spesso, e la cronaca di tutti i giorni purtroppo non smette di raccontarcelo, sono storie che restano chiuse tra le mura di case che si trasformano in prigione e, a volte, sempre troppe, in ultime dimore. Martina ha avuto il coraggio di uscire dalla sua prigione e di andare in un commissariato a cercare un rimedio, un aiuto, una soluzione per porre fine ad una situazione invivibile, raccontando la sua sofferenza, ma quante donne hanno avuto il coraggio di farlo, vincendo quella vergogna che fa parte del cosiddetto “ciclo della violenza” e che, troppo spesso, fa pensare “mah, forse è colpa mia”?

Nella violenza di genere c’è un “sommerso” impressionante che è difficile da far venire alla luce e da “scovare”. Spesso dietro le cosiddette “liti familiari” si nascondono violenze da film dell’orrore. Un “sommerso” che, ogni tanto, riesce ad emergere e che il più delle volte viene appunto “scovato” dall’intuizione del poliziotto di turno che, intervenendo magari in piena notte per una lite familiare segnalata al 113 dai vicini di casa, entrando nell’appartamento riesce a cogliere quei segni inequivocabili di un qualcosa che è accaduto da poco.

La domanda però sorge spontanea: dopo un intervento del genere, nel caso in cui non venisse sporta alcuna denuncia, se a quello stesso indirizzo fosse necessario, tempo dopo, fare un altro intervento o se si dovesse verificare un altro episodio del genere con gli stessi protagonisti ma in un’altra parte del Paese, i due eventi risulterebbero in relazione tra di loro? Ossia, il poliziotto o il carabiniere di turno, avrebbe gli strumenti per capire che i due fatti non sono isolati, bensì appartenenti alla stessa “catena”?

Negli ultimi anni, nel campo della lotta quotidiana contro la violenza di genere e, soprattutto, in quella per cercare di arginare l’odioso fenomeno del femminicidio, le forze dell’ordine hanno cercato di dotarsi di strumenti sempre più efficaci: si iniziò con le “processing cards”, poi fu la volta del protocollo “Eva”, si ebbe poi l’intuizione di agire sugli uomini maltrattanti con il primo protocollo “Zeus”, nel periodo del lockdown l’app YouPol (nata per la segnalazione anonima di atti di bullismo e di spaccio di stupefacenti) aprì una finestra anche per denunciare episodi di violenza domestica e, ora, l’ultima arma a disposizione si chiama “Scudo”, presentato l’8 marzo scorso (vedi QR in basso).

Ma, prima di dire cosa sia Scudo e come funzioni, è necessario fare un passo indietro e spiegare cosa ci sia dietro questa novità che rivoluziona radicalmente la lotta alla violenza di genere e quale sia la filosofia che lo animi.

«La partita si gioca sul piano della prevenzione – dice il prefetto Francesco Messina, anni di esperienza  nella polizia giudiziaria e ora a capo della Direzione centrale anticrimine – Il femminicidio si può combattere  in maniera efficace solo se si punta sulla prevenzione, perché purtroppo si tratta di delitti annunciati e, soprattutto, chi lo commette il più delle volte ha già manifestato, in passato, atteggiamenti violenti. Solo riuscendo a cogliere tempestivamente comportamenti spia di una tale minaccia è possibile immaginare di poter arginare un fenomeno odioso che, purtroppo, non accenna a diminuire». 

Ed è proprio partendo dal concetto di prevenzione che nasce l’idea di Scudo. No, stavolta il nome non cela uno dei tanti acronimi, ma il termine vuol rendere davvero l’idea di cosa si possa trattare: una difesa, uno scudo appunto che riesca a mettere al riparo da future violenze la donna e che, allo stesso tempo, aiuti chi interviene sul posto a capire da subito quale sia la situazione che si troverà davanti e, soprattutto, sapere se c’è un pregresso.

A tutti gli effetti, Scudo è uno strumento informatico, disponibile a breve anche sui palmari degli equipaggi delle volanti, nel quale si possono inserire i dati relativi ad un determinato intervento (anagrafica, indirizzi, numeri di telefono, targhe auto, etc…) che abbia come motivazione anche il più piccolo sospetto di una lite o possibile violenza.

Si potrebbe pensare a una novità di poco conto, ma così non è, poiché per la prima volta tutti i dati inseriti dagli operatori, andranno a confluire nel sistema centrale dello SDI, tanto da essere disponibili in tempo reale anche per tutte le altre forze di polizia e su tutto il territorio nazionale.

Uno strumento fondamentale, che nasce dall’embrione di esperienze precedenti come quella di Eva, e che va a segnare un punto importante nella partita quotidiana che le forze dell’ordine combattono sul campo della prevenzione; uno strumento in ausilio di chi opera sul territorio giorno e, soprattutto, notte, ossia quando nella maggior parte dei casi si verificano questo tipo di episodi, momento in cui è più difficile per l’operatore su strada avere a disposizione l’aiuto degli uffici delle varie questure. Scudo nasce anche e soprattutto per questo: il sapere, anche solo che un dato numero civico o un cellulare sia già stato usato in precedenza per chiedere aiuto, risulta fondamentale, soprattutto per evitare la reiterazione di comportamenti che troppe volte hanno portato alla morte della vittima.

Nella violenza di genere ci sono meccanismi che hanno nell’escalation la caratteristica principale: sono storie che, nella maggior parte dei casi, tendono ad esacerbarsi e quindi, individuare questo andamento attraverso la registrazione con un “sismografo” di tutte le scosse, permette di agire in un certo modo.

Scudo è stato avviato in sperimentazione dall’agosto scorso in alcune province campione (Milano, Venezia, Modena, Perugia, Caserta, Palermo e Vibo Valentia) per le quali, insieme all’Arma dei Carabinieri, con la quale è nata l’idea ed è stato sviluppato Scudo, si è iniziato a riempire il “serbatoio” del database con il pregresso degli interventi effettuati negli ultimi anni (circa 20.000). Durante la fase di sperimentazione ci sono stati anche alcuni piccoli fallimenti (il sistema è stato aggiornato ed una delle sue caratteristiche, come tutte le app, è quella di poter essere costantemente migliorato), ma alcune scelte nascono anche sulla scorta di esperienze negative, anzi è anche grazie a queste che si capisce cosa correggere, in modo tale da rendere questo nuovo strumento ancora più efficace.

Altro campo fondamentale per la riuscita di progetti come Scudo è quello della formazione del personale che, quotidianamente, si trova ad operare su strada. Non c’è un corso di formazione o aggiornamento dedicato agli operatori di polizia in cui non si parli del tema della violenza di genere: il personale viene aggiornato costantemente sull’argomento con il perfezionamento di linee guida, stringenti e semplici. Avere una procedura precisa da seguire serve ad abbattere, per quanto possibile, l’errore umano ed evitare che un momento di distrazione dell’operatore o una qualche vicenda esterna possa impedire di leggere la situazione in modo corretto. Anche nella gestione di una telefonata con una persona agitata, l’operatore deve essere conscio e seguire un canovaccio di domande predeterminate in modo che possa evitare di omettere dei passaggi che invece possono essere molto importanti per chi deve fare l’intervento. La finalità non è quella di “spersonalizzare” l’operatore di polizia, ma di riuscire a ridurre al lumicino il margine di errore, permettendo così al poliziotto che ad esempio entra in un appartamento dove si è consumata una presunta violenza, di guardarsi intorno alla ricerca anche del minimo indizio che possa essere d’aiuto all’indagine. Proprio per questo sono state emesse specifiche istruzioni operative per la gestione del primo intervento.

Uno strumento, dunque, fondamentale Scudo, che va ad aggiungersi a quelli già in possesso delle forze dell’ordine, in modo tale da arginare questa vera e propria “pestilenza” del femminicidio, ma anche, in onore al suo nome, una difesa per chi opera sul territorio, in modo tale da avvicinare allo zero il margine di errore. 

«Quella contro il femminicidio per noi è una vera e propria lotta senza esclusione di colpi – conclude il prefetto Francesco Messina – e in questa lotta si inserisce anche la nostra capacità, come forze di polizia, di percepire ed elaborare strumenti di prevenzione sempre più adeguati a contrastare le minacce; la capacità di fare tesoro  delle concrete situazioni operative in cui quotidianamente ci troviamo a operare può costituire un serbatoio di conoscenza utile a perfezionare quegli strumenti».

12/03/2021