Annalisa Bucchieri

Nel segno della continuità

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Mi accingo a scrivere un editoriale straordinario come straordinario è il frangente storico che lo ha prodotto: l’avvicendamento di due alti funzionari dello Stato nella delicata carica di capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza. Lo scorso 25 febbraio, infatti, il prefetto Franco Gabrielli è stato chiamato dal presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, a ricoprire l’incarico, tanto gravoso quanto prestigioso, di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti e alla sicurezza della Repubblica. Nel segno della continuità il Cdm del 4 marzo scorso ha designato, su proposta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, come suo successore il prefetto Lamberto Giannini, un poliziotto di calibro che con Gabrielli ha stabilito nel corso degli anni un profondo sodalizio professionale e umano. Lo ribadisce il discorso sentito e caloroso pronunciato dallo stesso sottosegretario il 10 marzo scorso, giorno dell’insediamento, nell’aula Parisi della Scuola superiore di polizia: «Un plauso compiaciuto al Consiglio dei ministri per la scelta ricaduta su Lamberto Giannini, scelta felice nel segno della continuità che non è dipendenza ma impegno di voler proseguire un percorso intrapreso che auspico porti l’Amministrazione ad ulteriori grandi traguardi. Sono convinto che farà bene perché è un grande poliziotto, molto competente nonché dotato di una profonda cifra di umanità. Consapevole del fatto che farà bene, ma anche che si troverà a decidere in solitudine come tutti quelli che hanno un ruolo di responsabilità, gli dedico queste splendide parole di Martin L.King: La vigliaccheria chiede “è sicuro?” L’opportunità chiede “è conveniente?” La vanagloria chiede “è popolare?” Mentre la coscienza chiede ”è giusto?”. Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è sicura né conveniente né popolare ma che bisogna prendere perché è giusta, Auguri Lamberto». 

Suggella la giornata dell’insediamento l’intervento del ministro Lamorgese: «Al nuovo capo della Polizia è affidata una missione straordinaria in questo frangente così critico per la pandemia che ancora morde il Paese. Sono consapevole che agirà ogni giorno con fermezza, determinazione e professionalità, affrontando le nuove sfide e alimentando il sentimento di fiducia che i cittadini nutrono per la Polizia di Stato e tutte le altre forze dell’ordine. Con questa fiducia gli rivolgo i più calorosi auguri di buon lavoro».

Giannini, romano, classe 1964, si laurea in giurisprudenza presso La Sapienza di Roma ed entra in polizia nel 1989, frequentando il 74° corso per vice commissari alla Scuola superiore di polizia. Dopo una prima esperienza in commissariato a Torino, rientra a Roma dove è assegnato all’antiterrorismo, attività che caratterizzerà poi l’intera carriera. Sono gli inizi degli Anni ’90 e dopo la sconfitta della prima leva del terrorismo brigatista tra il 1982 e il 1985, si sta riorganizzando una nuova lotta clandestina che presto provocherà altro spargimento di sangue. Ed è proprio durante quel decennio e quello successivo che Lamberto Giannini concluderà le operazioni più importanti della carriera, partecipando alle indagini per gli omicidi dei due giuslavoristi Massimo D’Antona (Roma, 1999) e Marco Biagi (Bologna, 2002) e, in seguito, all’arresto dei loro assassini appartenenti alle Nuove brigate rosse. In questo contesto diventa, nel 2004, dirigente della Digos romana mentre successivamente, coordina le operazioni che conducono allo smantellamento di una cellula neo-brigatista responsabile tra l’altro di un tentativo di attacco con esplosivo ad una caserma di paracadutisti. 

Nel frattempo, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 porta il terrorismo internazionale prepotentemente al centro dell’attività di investigazione e repressione della Polizia di Stato. In questo quadro è sua la direzione dell’operazione che, nel 2005, conduce all’arresto a Roma di un terrorista che aveva cercato di farsi esplodere nella metropolitana di Londra. Nel 2013, promosso dirigente superiore viene chiamato a dirigere il Servizio centrale antiterrorismo. Attraverso tali esperienze professionali Lamberto Giannini sviluppa, come molti investigatori cresciuti nella lotta al terrorismo, oltre l’aspetto strettamente operativo anche quello di analisi e studio con una particolare attenzione alla storia e alla cultura dei fenomeni di devianza terroristica, che lo hanno portato a essere uno dei protagonisti dell’elaborazione della strategia di contrasto all’arruolamento dei foreign fighters europei tra le fila dell’Isis. 

Per questa esperienza pratico-teorica nel marzo 2017 viene promosso dirigente generale e nominato direttore della Direzione centrale della polizia di prevenzione e presidente del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa). In questi anni, proprio alla Prevenzione ha lavorato con il capo della Polizia uscente Franco Gabrielli, mantenendo poi un importante legame professionale e umano. Nel 2019 coordina le operazioni che portano all’arresto di Cesare Battisti. Nel marzo dello stesso anno è nominato prefetto e nel dicembre 2020 il Consiglio dei ministri lo nomina capo della segreteria del Dipartimento della pubblica sicurezza, su proposta del ministro Luciana Lamorgese. Sempre su proposta del vertice del Viminale, a breve distanza da quest’ultimo incarico, il 4 marzo 2021 viene nominato capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza.

Poliziamoderna e i suoi lettori si uniscono a tutti gli uomini e le donne in divisa per gli auguri di buon lavoro al prefetto Lamberto Giannini.

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IL DISCORSO DI INSEDIAMENTO DEL CAPO DELLA POLIZIA, LAMBERTO GIANNINI

Signor ministro, 
signori sottosegretari, 
autorità, 
colleghi e amici, 

grazie per essere qui a condividere con me questa cerimonia di insediamento.

Signor ministro mi consenta, in primo luogo, di ringraziarLa e, per il Suo tramite, di ringraziare il signor presidente del Consiglio e tutta la compagine governativa per la fiducia che mi è stata accordata.
Non posso – e non voglio – celare l’emozione e al contempo l’apprensione nell’assumere un incarico che reca con sé funzioni e responsabilità da “far tremare le vene e i polsi”, come disse il Sommo Poeta. 
Emozione per aver raggiunto questo prestigioso traguardo e perché ricevo il testimone dal prefetto Gabrielli al quale mi lega un’antica amicizia, nata e vissuta sul campo, alla Digos di Roma, quando abbiamo affrontato un sanguinoso tentativo di far tornare nel nostro Paese lo spettro del terrorismo.
A lui va il mio profondo ringraziamento per l’autorevolezza e l’equilibrio con il quale ha diretto per quasi un lustro il Dipartimento della pubblica sicurezza.
Apprensione perché avverto la responsabilità di ricevere questo incarico in una stagione così complicata – come quella che stiamo attraversando – condizionata da una pandemia che non sembra allentare la sua morsa e che aggredisce le nostre comunità esposte a una criminalità, sempre pronta a approfittare delle fragilità sociali. 
Pur con questi affanni, so di poter contare su una grande squadra, donne e uomini che come me confidano consapevolmente nella solidità di quei principi che hanno sin qui guidato il mio agire e che continueranno a farlo: valori ispirati a quella carta costituzionale sulla quale ho giurato oltre 30 anni fa, all’atto del mio ingresso nella Polizia di Stato e che mi hanno sempre accompagnato.
Mi guida anche la serenità che deriva dall’avere chiara la consapevolezza di “chi siamo” e della missione che l’Amministrazione della pubblica sicurezza è chiamata a compiere. Per realizzare se stessi, diceva Aristotele nell’Etica, occorre conoscere la propria missione, il proprio dàimōn, ma prima ancora occorre sapere chi si è: “conosci te stesso” dicevano gli antichi greci.
E quello che siamo, la nostra essenza risiede nella legge 121 del 1981, con la quale è stata rifondata la Polizia di Stato e ridisegnata l’Amministrazione della pubblica sicurezza. 
Oggi siamo una Istituzione con l’entusiasmo della gioventù e la solidità di radici che affondano saldamente nel passato.
Una organizzazione complessa alla cui esistenza concorrono molteplici amministrazioni dello Stato. La complessità che ci caratterizza non è un vulnus, è la ricchezza, l’essenza del nostro essere al servizio del cittadino. 
Solo chi ha strutture composite, nelle quali il confronto, la comprensione delle ragioni dell’altro sono parte necessaria nel quotidiano processo decisionale, può comprendere e affrontare le dinamiche di un mondo sempre più complesso.
In questa sfida è determinante anche il confronto con le organizzazioni sindacali a cui formulo il sincero invito ad accompagnarmi in questa direzione, con il loro necessario pungolo critico, ma sempre finalizzato al benessere del personale che costituisce la nostra principale risorsa. 
A loro, alle donne e agli uomini della Polizia di Stato, garantisco il mio massimo impegno, in ogni sede, per elevare gli standard di sicurezza e per la promozione del benessere del personale. La serenità dei nostri operatori si riverbera sulla sicurezza delle nostre comunità.
E in questo gravoso compito che mi attende sento anche la vicinanza e il sostegno che deriva dalla compattezza del vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza che si è consolidato nel corso di anni di lavoro insieme.
Una “famiglia allargata” si direbbe oggi, perché grazie alla riforma definita il 6 febbraio dello scorso anno, il Dipartimento della pubblica sicurezza è sempre più “la casa delle forze di polizia”.
Sono sempre stato uno strenuo sostenitore della centralità del coordinamento nell’architettura del sistema sicurezza. Non un coordinamento di facciata, uno spot pubblicitario dietro al quale celare gelosie di giubba. 
Per me il coordinamento delle forze di polizia è un indispensabile valore. 
Io l’ho praticato e se oggi sono qui lo devo anche alla felice esperienza del Casa il Comitato di analisi strategica antiterrorismo in cui non solo il law enforcement ma anche l’intelligence ha saputo condividere il proprio patrimonio informativo, le proprie esperienze e sensibilità per il bene supremo, la sicurezza del Paese. 
In questa direzione ritengo essenziale investire sulle nostre articolazioni territoriali, vero cuore pulsante del nostro sistema. Essere dove le nostre comunità ci vogliono vedere, per le strade delle nostre città, in mezzo alla gente. Dove si estrinseca il nostro spirito di servizio per il quale tanti colleghi hanno sacrificato finanche la vita. 
Anche in questa stagione pandemica che ha mietuto tante vittime, le nostre donne, i nostri uomini non si sono risparmiati. Abbiamo continuato nel nostro incessante impegno per la sicurezza dei cittadini, pagando un pesante tributo in termini di vite umane.
A coloro che hanno sacrificato il bene più prezioso per l’affermazione della nostra sicurezza, precondizione di ogni diritto di libertà, va la mia più profonda gratitudine.
Consentitemi una breve digressione dalla liturgia del protocollo per ringraziare la mia famiglia, mia madre, mio padre che ho il rammarico di non avere al mio fianco, Laura, mia moglie, con la quale condivido non solo due splendidi figli ma anche la professione che per entrambi è “passione”. 
Mi accingo ad affrontare il mandato alla vigilia di un anniversario molto importante per la Polizia di Stato e per l’intera Amministrazione della pubblica sicurezza: i quarant’anni della legge 121, promulgata il 1° aprile del 1981.
Celebreremo quest’anniversario non solo con iniziative formali, ma – soprattutto – dando attuazione al processo riformatorio delle articolazioni centrali e territoriali del Dipartimento della pubblica sicurezza.
Una riorganizzazione che, pur conservando lo spirito di quella straordinaria legge, ne attualizza i contenuti. 
Per avere un Dipartimento della pubblica sicurezza e una Polizia di Stato al passo con i tempi, in grado di rispondere alle istanze di sicurezza delle nostre comunità.
Concludo ringraziando sin da ora per tutto il lavoro che faremo insieme.

 

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IL SALUTO DI GABRIELLI ALLA SUA GENTE

Nelle ore precedenti il giuramento per il nuovo incarico, il 1° marzo, il prefetto Franco Gabrielli ha salutato dalla Scuola superiore di polizia in collegamento con le questure  e le direzioni centrali, tutti coloro che hanno operato al suo fianco. È stata l'ennesima occasione per lui, poliziotto tra i poliziotti, di essere vicino alla "sua gente", come tante volte ha fatto durante il suo mandato al vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza.

Per prima cosa ha voluto spiegare la caratura di questa scelta che lo porta per sempre fuori dalla sua amata Amministrazione: «È stato un obiettivo inaspettato e in un certo senso non voluto. Quando il presidente del Consiglio mi ha chiamato per chiedermi di assumere la responsabilità di autorità delegata ai servizi segreti e per la sicurezza della Repubblica, ho risposto che in 35 anni di lavoro mi sono sempre attenuto a due principi: non chiedere mai niente, non dire mai di no. Per cui senza bisogno di tempo per riflettere ho accettato. È stata una scelta di grande importanza per la mia vita. Già avevo lasciato l'Amministrazione nel 2006  per un incarico prestigioso e gratificante, ma che per me, che volevo fare il poliziotto sin dall'età di dodici anni, comportò il gesto doloroso di riconsegnare le manette, la pistola e il tesserino. Ho avuto il privilegio di fare il prefetto in sede due volte, a L'Aquila e a Roma, il capo dipartimento della Protezione civile, e poi è arrivato il 29 aprile del 2016, quando il Consiglio dei ministri mi ha riportato a casa. Oggi lascio definitivamente questa Amministrazione, senza nessuna possibilità di recuperare in qualsiasi modo un’appartenenza che io ho sentito e ugualmente continuerò ancora a sentire mia». Un attimo la voce s’incrina dalla commozione, poi prosegue: «In tutti gli incarichi che ho assunto mi sono concentrato con tutto me stesso nel compito chiamato ad assolvere e lo farò anche adesso. Vorrei fosse questo il mio lascito: l’importanza di interpretare al meglio la funzione assegnataci. E farlo con passione e impegno. Sopra ogni cosa deve presiedere l’etica, che è la precondizione dell’agire di un funzionario di Stato, sempre al servizio di un bene collettivo non solo nell’arco temporale in cui ne può trarre beneficio egli stesso». Gabrielli è poi ritornato sull’importanza, per un’Amministrazione complessa e ricchissima come quella della Polizia di Stato, di continuare sulla strada intrapresa di una rinnovata cultura dell’organizzazione: «Troppo spesso abbiamo pensato che il risultato fosse il parametro della nostra azione.  Bisogna avere una visione strabica: con un occhio che guarda vicino e che deve vedere e affrontare i nodi del presente  e un occhio che invece sa guardare al futuro, perché l’urgenza della risoluzione quotidiana dei problemi non deve far perdere di vista l’orizzonte più ampio. Tanto più l’Amministrazione sarà organizzata tanto più arriveranno i risultati. A maggior ragione per un’Amministrazione complessa come la nostra, una fuoriserie la definirei. La grandezza della nostra Amministrazione sta nel suo pluralismo di competenze che implica però la necessità di un grande sforzo di organizzazione e di sistematicità.

Sono il primo capo figlio della 121, entrato in polizia dopo la Riforma, e visto che ricorrono i 40 anni della legge mi sembra importante ricordare che proprio quella Riforma ha riaffermato il ministro dell’Interno quale unica Autorità di pubblica sicurezza che si avvale, a livello centrale del dipartimento alla cui guida c’è il capo della Polizia che non è solo il vertice della Polizia di Stato, ma anche direttore generale della pubblica sicurezza. Così come il questore non è solo il vertice della Polizia di Stato nel territorio ma è la proiezione periferica dell’Autorità centrale della pubblica sicurezza. Ricordiamoci di non svilire questi ruoli, così come non dimentichiamoci mai del territorio. Il territorio è la nostra ragione di esistere, esprime la nostra capacità, è quello che la gente percepisce di noi. Lo dobbiamo ai colleghi e alle colleghe che tutti i giorni tirano la carretta sul territorio, perché sono loro la nostra faccia, il nostro essere al servizio dei cittadini. Un lavoro a volte oscuro, a volte non compreso, un lavoro fatto di mille difficoltà, per cercare la possibilità di esprimersi al meglio non sempre nelle condizioni migliori. 

Ringrazio tutti quelli che hanno fatto parte di questo importante, esaltante, periodo professionale, penso a tutte le cose che in questi anni mi hanno fatto sentire profondamente orgoglioso di essere al vertice di questa Amministrazione, e tramite i questori e i colleghi delle specialità, indirizzo un abbraccio sentito, commosso e appassionato, a tutte le donne e a tutti gli uomini che vestono la nostra divisa, che devono essere il nostro grande orgoglio, e sono il capitale umano verso il quale la dirigenza deve esprimere vicinanza, ascolto e attenzione. 

Sappiate che avrete in me sempre un appassionato convinto amante di questa Amministrazione a cui io debbo tutto». E in un fuori onda Gabrielli aggiunge un ringraziamento sentito alle colleghe e ai colleghi dell’Ufficio relazioni esterne e cerimoniale «che mi sono stati a fianco per quasi cinque anni in più di 400 visite sul territorio e hanno fatto con me cose bellissime soprattutto per rafforzare il nostro sistema identitario. L’ultimo pensiero va ai nostri caduti, che dovranno sempre essere il faro delle nostre azioni». Gabrielli, prima di uscire dalla Scuola superiore, lo ribadisce con la visita al Sacrario dove scrive un messaggio che rimarrà inciso nei cuori di tutti noi che lo abbiamo seguito lealmente nella sua direzione illuminata: “Oggi lascio la Polizia di Stato. Voi siete stati la principale guida del mio agire. Grazie”.  

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Dal maggio 2016 al marzo 2021
Poliziotto e uomo di Stato, durante la sua carriera ha avuto sempre una particolare attenzione per le esigenze dei cittadini e per il bene comune. Nel corso del suo mandato ha attuato una profonda opera di riorganizzazione (riordino delle carriere, nuovi distintivi di qualifica, ristrutturazione del Dipartimento) nonché di ricostruzione di una comune identità all’interno della Polizia di Stato, incentrata sul profondo valore della memoria. Nei quasi 5 anni trascorsi al Viminale ha più volte manifestato la sua vicinanza alle donne e agli uomini impegnati in prima linea al servizio dei cittadini e a tutela della sicurezza delle comunità, delle quali, come spesso ha ripetuto, sono loro stessi parte integrante. Rigore e umanità, sono stati le consegne più importanti che ha trasmesso ai colleghi di giubba, soprattutto in questo terribile periodo di pandemia. Sono stati molteplici i momenti in cui Gabrielli ha incontrato “la sua gente”, visitando le questure e i reparti di tutta Italia. Nel corso dei tanti eventi pubblici, il prefetto ha più volte sottolineato l’importanza che hanno le intitolazioni di piazze o la scopertura di targhe in ricordo di poliziotti caduti nell’adempimento del dovere. Da un lato, infatti, si rafforza il legame con le comunità, che vedono la Polizia di Stato vicina, dall’altro si rende onore a chi «prima di noi e meglio di noi ci ha indicato la strada da percorrere e come percorrerla». A lui, poliziotto tra i poliziotti, vanno gli auguri di buon lavoro della Polizia di Stato.

12/03/2021