Alessandra Lanzetti*
Cambiare si può
L’esperienza del Tribunale per i minorenni di Trieste: un caso pilota in materia di deradicalizzazione
Il caso
A giugno 2020 si è chiuso con sentenza di non luogo a procedere, per estinzione del reato all’esito della messa alla prova, il procedimento penale instaurato presso il Tribunale per i minorenni di Trieste nei confronti di B.A., accusato del reato di “istigazione a commettere reati di natura terroristica, aggravata dall’uso del mezzo telematico”, di cui all’art. 414, ultimo comma, cp. All’imputato, all’epoca dei fatti quattordicenne, è stato contestato di essere l’amministratore/gestore di gruppi sviluppati su Telegram, attraverso i quali pubblicava messaggi di propaganda provenienti dai canali mediatici dell’Isis tradotti in lingua italiana e istigava gli utenti a commettere delitti di terrorismo e contro l’umanità, offrendosi anche per fornire aiuti concreti a chi fosse intenzionato ad unirsi alla causa jihadista. L’indagine ha preso le mosse da notizie del Comparto intelligence, condivise in sede di Comitato di analisi strategica antiterrorismo, in base alle quali un giovane italiano di origine araba avrebbe avuto in animo di compiere un non meglio specificato attentato ai danni del plesso scolastico “Deganutti” di Udine. L’informazione è stata poi approfondita dalle Digos di Trieste e di Udine, coordinate dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione, in sinergia con la polizia postale, attraverso indagini che hanno permesso di individuare in Rete un canale Telegram in cui venivano pubblicati, solo dall’amministratore, messaggi testuali, immagini, video e audio di propaganda per lo Stato Islamico, originariamente prodotti in lingua araba, tradotti in italiano.
Gli accertamenti successivi hanno fatto convergere l’attenzione investigativa su un nickname il cui utente è stato localizzato in Italia, a Udine, e identificato nel minore che poi ha costituito il fulcro di attenzione dell’indagine. L’utente, infatti, è stato monitorato, inizialmente per via telematica, attraverso un’attività sotto copertura che ha permesso agli ufficiali di polizia giudiziaria di interagire con lui e di avere diretta cognizione delle conversazioni che avevano luogo nel canale telematico da lui utilizzato. Il minore gradualmente ha sondato la disponibilità dell’operatore sotto copertura ad agire per la causa jihadista: inizialmente lo ha introdotto in gruppi social utilizzati per la propaganda, i cui titoli rinviavano al sostegno allo Stato islamico e su cui il ragazzo svolgeva un ruolo attivo.
In particolare, in uno di questi, dalla denominazione simbolica “I sostenitori del Governatorato di Roma”, l’indagato pubblicizzava agli utenti un nuovo canale che aveva creato, “Stato Islamico frontiera d’Europa”, al cui interno diffondeva numerosi contenuti provenienti dai media ufficiali del Califfato tradotti in italiano e assegnava ad altri componenti compiti di traduzione in altre lingue europee al fine di alimentarne capillarmente la divulgazione.
Con il tempo, le conversazioni con l’ufficiale undercover si sono intensificate al punto che B.A. si è sbilanciato, ponendosi come vero e proprio facilitatore e chiedendo in modo diretto ed esplicito la disponibilità a fare hijra (viaggio per lasciare i Paesi occidentali definiti “territori della miscredenza” per raggiungere i territori del Califfato o altri Paesi islamici e sostenere la causa jihadista, addestrandosi o arruolandosi) e rendendosi disponibile a fornire aiuto per tale finalità. Successivamente è passato a chattare con l’utente sotto copertura attraverso chat “segrete” (che utilizzano una cifratura end-to-end per codificare sin dall’origine i contenuti della conversazione in modo tale che non appaiano in chiaro sui server delle società che gestiscono il servizio) in cui inviava un video che spiegava com