Mauro Valeri

Condividere per prevenire

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Intervista a Claudio Galzerano, direttore del Centro antiterrorismo di Europol che riunisce le forze di polizia del nostro Continente

pp01 02-21

Dal 10 dicembre scorso c’è un poliziotto italiano alla guida del Centro europeo di contrasto al terrorismo di Europol. Un importante riconoscimento per Claudio Galzerano, dirigente superiore di 57 anni con tante esperienze maturate da direttore del Servizio per il contrasto all’estremismo e terrorismo esterno della Direzione centrale di polizia di prevenzione e nel Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa). Facciamo con lui il “punto della situazione” sullo stato del fenomeno in Europa. 

La Commissione europea ha proposto, lo scorso dicembre, un nuovo programma di lotta al terrorismo e uno specifico piano per rafforzare il mandato di Europol. Quali tra le iniziative presentate potrebbero portare ad un’azione di contrasto più incisiva?
L’iniziativa della Commissione si fonda sul riconoscimento della centralità di Europol nelle dinamiche di contrasto alle minacce terroristiche transnazionali. In questo senso, la proposta di snellire le procedure con cui Europol effettua lo scambio di dati con il settore privato, soprattutto con le società che gestiscono piattaforme di servizi on line, costituirebbe senza dubbio una misura in grado di supportare più efficacemente l’azione antiterrorismo degli Stati membri in un ambito, quello delle indagini digitali, diventato ormai di preponderante importanza. In questa stessa prospettiva, la proposta di accrescere il ruolo di Europol nel campo dell’innovazione investigativa e dell’integrazione dei sistemi informativi mette ancora più decisamente l’accento sull’importanza del lavoro che l’Agenzia, guidata dal suo direttore esecutivo Catherine De Bolle, sta facendo al servizio degli Stati membri per anticipare le minacce terroristiche.

Nizza e Vienna. L’Europa è stata di nuovo sotto l’attacco del terrorismo islamico ad ottobre e novembre dello scorso anno.Con quali modalità sono stati realizzati questi attacchi?
Si tratta di attacchi tra loro molto diversi sia per il tipo di armi utilizzate, sia per la pianificazione operativa che li ha preceduti sia infine per i precedenti specifici di chi li ha messi in atto. Se infatti a Nizza l’attentato nella cattedrale di Notre Dame è stato realizzato con un’arma bianca da un immigrato tunisino irregolare che non annoverava nessuna segnalazione da parte degli apparati di sicurezza, quello di Vienna ha avuto come protagonista un ultra-islamista militante già condannato per fatti specifici, addestrato all’uso delle armi automatiche ed esecutore di un piano preordinato, “stile Bataclan”. Il tratto distintivo e nuovo che accomuna gli ultimi casi di terrorismo islamico in Europa è rappresentato senz’altro dalla giovanissima età degli attentatori, tutti intorno ai 20 anni. Una circostanza questa che deve fare riflettere sui meccanismi sociali che producono derive di radicalizzazione violenta di questa portata.

Crede che nell’Unione europea ci siano Paesi più esposti al rischio di attentati terroristici?
In realtà il terrorismo di matrice religiosa ha dimostrato la sua devastante capacità di colpire in ambiti territoriali, politici e sociali tra loro completamente diversi, dalla penisola iberica a quella scandinava passando dal cuore dell’Europa. In un contesto di fortissima integrazione come quello esistente tra gli Stati membri dell’Unione europea, dal mio punto di vista non ha più molto senso ragionare in termini di singoli Paesi: la minaccia terroristica incombe su tutti e la risposta di prevenzione deve venire dall’Europa nel suo complesso.

I foreign fighters che sono rientrati dalle zone di conflitto rappresentano ancora oggi una minaccia concreta? Il loro flusso si è arrestato dopo le sconfitte “territoriali” di Daesh?
Sono convinto che i combattenti di ritorno costituiscano tuttora una consistente minaccia per i Paesi dell’Unione. Storicamente il fenomeno del reducismo dai fronti di jihad ha sempre indotto riflessi negativi sulla sicurezza: è stato così con i veterani dell’Afghanistan alla fine degli Anni ’80, per quelli della Bosnia dopo gli accordi di Dayton del 1995, per quelli che sono tornati dall’Iraq all’inizio di questo millennio. Più che di un vero e proprio flusso di reduci dai territori di Daesh, si deve parlare oggi di un rientro piuttosto sporadico che, nella stragrande maggioranza dei casi, avviene sotto lo stretto controllo delle forze di sicurezza alleate.

Qual è il livello di cooperazione tra le forze di polizia europeee e come si potrebbe migliorare?
Lo stato della cooperazione tra strutture antiterrorismo dei Paesi dell’Unione è tradizionalmente ottimo. Ciò non di meno, come in tutti gli altri settori della sicurezza, miglioramenti e progressi sono sempre possibili. In questa prospettiva, l’European counter terrorism centre di Europol può costituire un fattore propulsivo decisamente importante in termini di contributi analitici, capacità di supportare le investigazioni degli Stati membri con strumenti tecnologici e forensi all’avanguardia nonché, grazie alla sua Iru (Internet referral unit), come piattaforma di raccordo con gli on line service providers per lo sviluppo di indagini digitali sempre più incisive. 

L’area del Sahel è stata martoriata, anche recentemente, da attacchi terroristici. Ritiene che si tratti semplicemente di “atti di forza” dei diversi gruppi per rivendicare la supremazia nell’area o sono frutto di dinamiche che possono avere degli sviluppi anche nel nostro Continente?
Tutti i conflitti regionali ispirati da motivazioni ideologico-religiose sono suscettibili di esportare tensioni e riverberi negativi al di fuori dell’ambito territoriale che ne costituisce il teatro. L’area del Sahel purtroppo non fa eccezione a questa regola. Rischi indiretti per l’Europa ce ne possono essere, in questo caso anche per l’impegno alla stabilizzazione profuso dagli Stati membri.

Diffusione di materiale inneggiante al terrorismo, indottrinamento e proselitismo via Web. Crede che nel contrasto a questi delitti si giochi una parte importante della partita?
Ne sono fermamente convinto. Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad una progressiva, ormai massiccia migrazione della diffusione delle tematiche radicali dall’ambito fisico dei luoghi di culto alle arene virtuali. Le indagini svolte negli ultimi anni in Europa hanno a più riprese messo in risalto la centralità del Web nella capillare opera di proselitismo e reclutamento effettuata dai media center estremisti, capaci “a distanza” di indottrinare e incitare alla violenza. Detto questo, ci sono anche delle buone notizie sul fronte del contrasto. È infatti ormai imminente l’approvazione del “Regolamento europeo sulla rimozione dal Web dei contenuti terroristici on line” in forza del quale, grazie anche al ruolo di raccordo svolto da Europol, si rafforzano efficacemente i meccanismi di interazione tra autorità competenti degli Stati membri e i giganti di Internet.

La pandemia da Covid-19 ha determinato una maggiore diffusione di questi fenomeni?
Le ripercussioni economico-sociali delle chiusure attuate un po’ ovunque per il contenimento della pandemia costituiscono senza dubbio un fattore che ha accelerato i processi di radicalizzazione e che può conseguentemente portare alla recrudescenza delle tensioni e della violenza politica. Allo stesso tempo, non va sottostimato come il lockdown abbia sicuramente stimolato l’acquisizione da parte degli ambienti estremisti di nuove opportunità sotto il profilo della comunicazione, con il chiaro tentativo di sfruttare la pandemia per diffondere disinformazione e accentuare la polarizzazione sociale.

Qual è l’esperienza più preziosa, maturata da poliziotto italiano, che porterà nel suo nuovo incarico?
Nel corso degli ultimi due decenni, gli uffici antiterrorismo di tutte le forze di polizia italiane si sono resi protagonisti di un lucido e pragmatico partenariato con il comparto intelligence che ha trovato la sua sintesi operativa nel Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa). Ho avuto la fortuna di aver lavorato sin dai suoi primordi con professionisti straordinari (dal capo della Polizia Franco Gabrielli ai prefetti De Stefano, Berrettoni, Papa e Giannini) e con loro di aver concorso alla compiuta realizzazione di questo processo di integrazione informativa, inconfutabilmente uno dei fattori chiave che ha contribuito a contenere significativamente la minaccia terroristica in Italia. Sperando di non alzare troppo l’asticella, la mia ambizione è ora quella di facilitare la diffusione in ambito europeo della cultura della condivisione informativa quale base indispensabile per orientare lo sviluppo delle strategie di prevenzione e contrasto del terrorismo.

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Centro europeo antiterrorismo

Creato nel 2016 all’interno di Europol, il Centro europeo antiterrorismo (European counter terrorism centre – Ectc) ha una dotazione organica di 81 persone e 14 esperti nazionali distaccati. Progettato come un hub centrale nell’Ue nella lotta al terrorismo, l’Ectc ha tra i suoi compiti più importanti quelli di:

- fornire supporto operativo su richiesta di uno Stato membro per le indagini;

- contrastare il fenomeno dei foreign fighters;

- condividere informazioni e competenze sul finanziamento del terrorismo (attraverso il programma di monitoraggio delle finanze dei terroristi e l’unità di informazione finanziaria);

- contrastare la propaganda terroristica, l’estremismo on line (tramite l’Unità dell’Ue per le segnalazioni su Internet) e il traffico illegale di armi;

- rafforzare la cooperazione internazionale tra le autorità antiterrorismo.

Tra i diversi compiti, quello più importante è fornire supporto operativo agli Stati membri nelle indagini a seguito di attacchi terroristici. Per farlo effettua un controllo incrociato dei dati operativi, in tempo reale, con quelli già in possesso di Europol, portando rapidamente alla luce eventuali contatti finanziari e analizzando tutti i dettagli investigativi disponibili per aiutare a compilare un quadro strutturato della rete terroristica. In caso di un grave evento terroristico, l’Ectc può infatti contribuire a una risposta coordinata. A tal fine sono disponibili diverse squadre, spesso combinate con esperti di antiterrorismo temporaneamente distaccati dagli Stati membri, a seconda della natura dell’evento.

I team specializzati di analisti ed esperti dell’Ectc raccolgono informazioni operative provenienti dalle forze dell’ordine di tutti gli Stati membri e da terze parti per avere una più ampia prospettiva europea nella lotta al terrorismo.

L’Ectc lavora a stretto contatto con altri centri operativi presso Europol, come il Centro europeo per la criminalità informatica (Ec3) e il Centro europeo contro il traffico di migranti (Emsc).

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Un riferimento sicuro

L’unità di riferimento su Internet dell’Unione (Internet referral unit – Iru) è parte del Centro europeo antiterrorismo e ha iniziato le sue operazioni in seguito alla serie di attacchi terroristici che hanno sconvolto l’Europa nel 2015. Il suo mandato include la segnalazione di contenuti terroristici ed estremisti ai fornitori di servizi on line e fornisce sostegno agli Stati membri, e a quelli terzi, nelle indagini su Internet. L’obiettivo principale è quello di ridurre l’accessibilità dei contenuti terroristici on line, identificando e perseguendone gli autori. 

L’Iru provvede a:

- supportare le operazioni e le indagini su Internet;

- analizzare i contenuti propagandistici on line;

- fungere da hub per la condivisione delle conoscenze sull’argomento;

- fornire, a mezzo del team Sirius, prodotti e servizi alle forze dell’ordine e a magistrati dell’Ue per aiutarli a far fronte alla complessità dell’accesso alle prove elettroniche dagli Internet service provider al di fuori dell’Unione ai fini delle indagini penali;

- rendere disponibile un team di esperti e sviluppatori informatici che effettuano ricerche su tecnologie innovative e tecniche avanzate per le forze di polizia e che svolgono ricerche di mercato su prodotti utilizzabili in futuro in tale ambito;

- realizzare strumenti per contrassegnare e raccogliere contenuti terroristici in linea accessibili durante l’implementazione di applicazioni tecnologiche.

L’Iru gestisce inoltre il portale Check the Web. Accessibile solo alle forze dell’ordine, è una libreria elettronica di riferimento della propaganda jihadista on line e contiene informazioni basate su dichiarazioni originali, pubblicazioni, video e audio prodotti da gruppi terroristici jihadisti e dai loro sostenitori. Rappresenta un prezioso strumento per supportare gli Stati membri non solo nell’identificazione dei nuovi contenuti, gruppi o mezzi di comunicazione, ma anche per cogliere le nuove tendenze e modelli della propaganda terroristica e ricavare degli elementi “operativi” che portino alla cattura dei responsabili.

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Agenda antiterrorismo
Presentata dalla Commissione europea la nuova Agenda antiterrorismo basata su 4 concetti chiave: anticipare, prevenire, proteggere e rispondere.
Bisogna essere in grado di anticipare meglio le minacce esistenti ed emergenti in Europa. Condivisione delle informazioni e cultura della cooperazione rimangono fondamentali per una attendibile valutazione delle minacce che può costituire la base dell’attività di contrasto al terrorismo. In secondo luogo, bisogna prevenire il verificarsi di attacchi, rendendo più efficace la lotta alla radicalizzazione e alle ideologie estremiste già prima che si radichino nei soggetti, rendendo chiaro che il rispetto per lo stile di vita europeo e i suoi valori democratici non è un opzionale per coloro che vivono all’interno dell’Unione. Per proteggere efficacemente gli europei vanno ridotte le vulnerabilità, sia negli spazi pubblici che nelle infrastrutture critiche indispensabili per il funzionamento della nostra società ed economia. È essenziale modernizzare la gestione delle frontiere esterne dell’Unione attraverso sistemi di informazione nuovi e aggiornati e garantire controlli sistematici alle frontiere esterne dell’Ue. Ciò è necessario in particolar modo per colmare quella che altrimenti costituirebbe una lacuna di sicurezza nel fronteggiare il ritorno di combattenti terroristi stranieri. Per rispondere agli attacchi quando si verificano si deve sfruttare al massimo il supporto operativo che le agenzie dell’Ue, come Europol ed Eurojust, possono fornire, nonché verificare di disporre del quadro giuridico idoneo ad assicurare gli autori alla giustizia e a garantire che le vittime ricevano tutto il sostegno e la protezione di cui necessitano. 

 

 

 

01/02/2021