Grazia Miccoli* e Giulia Fabri**
Falsità personali e tutela dell’ordine pubblico
1. Introduzione
Le falsità personali costituiscono un’autonoma categoria di reati, collocata dal legislatore del 1930 tra i delitti contro la pubblica fede; si tratta di fattispecie disciplinate nel Capo IV del Titolo VII del codice penale ed accomunate dal fatto di sostanziarsi in un “inganno per l’Autorità o per un numero indeterminato di persone”.
La lesione della fede pubblica si realizza, in tali ipotesi, attraverso l’alterazione di contrassegni personali, definibili come “i simboli inerenti all’identificazione di un soggetto e alla determinazione delle qualità che ne condizionano la posizione nella società civile”.
È possibile distinguere due specie di contrassegni personali: il contrassegno di identità, costituito dagli elementi in base ai quali il soggetto viene individuato rispetto agli altri (nome, cognome, luogo e data di nascita, paternità e maternità) e il contrassegno di qualità, che può assumere forma verbale (ad esempio, un titolo professionale) o simbolica (decorazioni, divise, distintivi).
La particolarità di questo gruppo di reati risiede nella circostanza che mentre le altre fattispecie contenute nel Titolo VII sono raggruppate secondo l’oggetto materiale mediante il quale la falsificazione viene realizzata, le falsità personali appaiono contraddistinte da una varietà di possibili forme di manifestazione: si passa dalle mere dichiarazioni (artt. 495 – 496 cp), al possesso di documenti di identificazione falsi (art. 497 bis cp), al possesso, porto e fabbricazione di divise, segni distintivi, abiti ecclesiastici (artt. 497 ter e 498 comma 1 cp). Ad ipotesi di vera e propria falsità in contrassegni personali sono state inoltre affiancate, per affinità di struttura e di effetti pratici, figure del tutto eterogenee (il reato di sostituzione di persona – art. 494 cp – e il reato di frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale e uso indebito di tali certificati – art. 497 cp). È inoltre controversa la natura del bene giuridico tutelato da queste disposizioni: vi è infatti chi ha sostenuto che il riferimento alla fede pubblica non esprimerebbe scelte di incriminazione differenziate in ragione di un diverso grado di aggressione ad un unico bene, assurgendo piuttosto a criterio classificatorio di ipotesi delittuose accomunate dall’identità del mezzo di aggressione. Altra parte della dottrina ha invece riconosciuto alla fede pubblica una precisa oggettività giuridica, consistente nella fiducia che la collettività ripone nella genuinità o autenticità di determinati oggetti o simboli, al fine di garantire certezza e rapidità nello svolgimento del traffico economico e giuridico. Nonostante ciò, si è osservato che taluni dei reati individuati nel Capo IV sembrerebbero posti a tutela di interessi diversi: si pensi alla fattispecie della frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale (art. 497 cp), che pare strutturata quale reato contro la pubblica Amministrazione, o al delitto di sostituzione di persona (art. 494 cp), rispetto al quale il riferimento all’offesa, che emerge dall’indicazione del dolo specifico (“al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno”), consente di accostare tale fattispecie allo schema proprio della truffa.
La scelta del legislatore trova a ben vedere fondamento nella prevalenza attribuita alla tutela della fede pubblica rispetto ad altri interessi, ai quali certamente le singole norme incriminatrici non risultano estranee. In effetti, come sostenuto da alcuni autorevoli autori, all’origine dell’inesauribile disputa dottrinale, che caratterizza l’oggetto giuridico di tutti i reati contro la fede pubblica, v’è il disancoramento della rilevanza penale del falso dall’offesa ulteriore di cui esso può farsi strumento; e la mancata tipicizzazione dell’interesse sostanziale offeso con lo strumento del falso non è da ritenersi casuale, né frutto di una disfunzione normativa, bensì di quel processo storico che, con la separazione del falso dalla frode, ha portato all’autonomia dei reati contro la fede pubblica.
Alla luce di tali considerazioni generali sui reati di falso, si spiega anche il ruolo che nella prassi ha rivestito la categoria delle falsità personali con riferimento alla tutela dell’ordine pubblico: in particolare, molti dei delitti individuati nel Capo IV hanno trovato applicazione nella repressione dell’immigrazione clandestina e del terrorismo internazionale. Inoltre, significativa è la rinnovata centralità di alcune di queste fattispecie con riferimento a condotte illecite poste in essere mediante l’uso di Internet. Come si dirà meglio più avanti, gli interpreti si sono trovati a farsi carico dell’esigenza di una esegesi attualizzata di una serie di norme concepite da un legislatore “ignaro” di fenomeni e dinamiche relazionali, amplificati dalla velocità sia delle comunicazioni digitali sia dei flussi migratori sul territorio nazionale ed internazionale. È evidente, allora, come l’interpretazione giurisprudenziale delle suddette norme abbia assunto un ruolo centrale nella risposta all’esigenza di soddisfare la “percezione di sicurezza” della collettività, in una strategia complessiva di tutela dell’ordine pubblico.
A fronte degli arresti giurisprudenziali, complessi e innovativi nell’interpretazione delle norme, il legislatore “moderno” è stato più lento, giacché i delitti contro la fede pubblica sono rimasti per lungo tempo estranei a prospettive di riforma, sino a quando non v’è stata necessità di intervenire in via di urgenza per rispondere a fenomeni particolarmente gravi e insidiosi in materia di ordine pubblico. In tale contesto va peraltro detto che le norme del codice Rocco, con la loro snella struttura letterale, hanno retto in maniera evidente all’evoluzione delle esigenze di tutela conseguenti alle innovazioni e ai cambiamenti che caratterizzano l’era moderna; tutto ciò è certamente avvenuto – come si dirà più avanti – nell’applicazione della norma di cui all’art. 494 cp, a fronte del passaggio dall’era analogica a quella digitale, dimostrando agli operatori del diritto che “è la chiarezza del pensiero a reggere nel tempo, a creare regole condivise applicabili, specialmente in un settore in cui oggi più che mai è urgente avere un piano di azione comune, che sia prima di tutto un impegno culturale”. Va invece sottolineato come gli interventi di riforma, non accompagnati da una visione organica del sistema, hanno creato problemi interpretativi ancora non risolti e che hanno dato vita a un vivace dibattito in dottrina, la quale non ha esitato a parlare di “sciatteria legislativa” e a stigmatizzare lo stravolgimento del canone della sanzione penale come extrema ratio. Si è quindi affermato che “la scelta di rispondere ad una tale domanda di sicurezza (determinata da una non ben individuabile molteplicità di fattori) essenzialmente con il diritto penale finisce infatti con l’imporre il progressivo abbandono delle categorie liberali del diritto penale del fatto, incardinate sul principio di offensività, e di sostituirvi queste categorie, di contro improntate al diverso paradigma della pericolosità; o in modo ancora più subdolo e inquietante, impone di manipolare, di forzare le stesse categorie classiche del diritto penale piegandole ai fini di un intervento penale non più incentrato sul fatto lesivo e quindi sul presupposto dell’esistenza (e più precisamente la pre-esistenza) di ben consolidati e generalmente riconosciuti interessi meritevoli di tutela (i beni giuridici) ma rispondente ad una logica di penalizzazione sproporzionatamente spostata sulla dimensione di pericolosità soggettiva (peraltro presunta) dell’autore, con riguardo alla quale può risultare giustificata anche una risposta sanzionatoria del tutto sproporzionata al disvalore oggettivo del fatto, concepita in relazione a condotte di mera inosservanza, di mera disobbedienza, e in quanto tali per lo più carenti di apprezzabile autonoma idoneità lesiva”.
2. Il reato di sostituzione di persona
Il reato di sostituzione di persona, collocato in apertura del Capo dedicato alle falsità personali, punisce il fatto di colui che “al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
2.1 Struttura e profili problematici
La collocazione sistematica di questa fattispecie tra i delitti contro la fede pubblica ha suscitato numerose critiche, in quanto la descrizione del fatto tipico richiama alla mente lo schema proprio della truffa; l’evento del reato è infatti rappresentato dall’induzione in errore – che costituisce evento intermedio del delitto di cui all’art. 640 cp – mentre il vantaggio ed il danno integrano in questa ipotesi l’oggetto del dolo specifico. Si è inoltre posta in dubbio la ravvisabilità stessa di una lesione al bene giuridico della fede pubblica, sul rilievo che, nella maggior parte dei casi, la sostituzione di persona comporta una lesione della fede privata, da intendersi come fiducia accordata dal singolo ad un altro soggetto. Nella Relazione del Guardasigilli si rilevava tuttavia che l’induzione in errore, quale effetto di tali condotte, può incidere su un numero indeterminato di persone. In effetti, la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato e sulla scia dei principi da tempo affermati dalle Sezioni Unite sui reati contro la pubblica fede, ha affermato che anche il delitto di cui all’art. 494 cp ha natura plurioffensiva, in quanto preordinato non solo alla tutela di interessi pubblici, ma anche di quelli del soggetto privato nella cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente. Si è puntualizzato, infatti, che oggetto della tutela penale è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali; siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome. Inoltre, risulta spesso problematico individuare il contrassegno personale oggetto di falsificazione; il delitto di cui all’art. 494 cp può infatti essere commesso, oltre che attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, anche “sostituendo la propria all’altrui persona”: rileva, quindi, qualsiasi comportamento che, pur senza falsare alcun contrassegno personale, induca altri in errore sulla propria identità, ad esempio sfruttando una somiglianza fisica. Il nome falso non