Armando Albano

L'uso legittimo delle armi

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Struttura della fattispecie

ins 11-20

1. I soggetti beneficiari della causa di giustificazione 

Coloro che beneficiano della causa di giustificazione prevista dall’art. 53 cp sono indicati nelle figure dei pubblici ufficiali e delle persone che, legalmente richieste da questi ultimi, prestino loro assistenza. In tal senso di parla, come già in precedenza ricordato, di scriminante propria.

In merito all’individuazione della categoria dei pubblici ufficiali, utile appare il riferimento all’art. 357 cp, che detta la “Nozione di pubblico ufficiale”, anche se, ai fini della nostra analisi, risulta necessario restringere ulteriormente il campo a coloro che possono assumere la veste di pubblici ufficiali ai sensi dell’art. 53 cp, a cui cioè poter applicare la causa di giustificazione in esame.

In ossequio alla premessa secondo cui l’uso legittimo delle armi o di altri mezzi di coazione fisica viene visto quale espressione di un potere coattivo della pubblica amministrazione, attribuito all’art. 53 cp il ruolo di “norma primaria” di un pubblico potere, costituendo fonte e contenuto dello stesso, si può concludere che pubblici ufficiali sono coloro per i quali l’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica è espressione dell’elemento funzionale della propria attività. Si osserva correttamente, inoltre, che l’espressione “pubblici ufficiali”, a prima vista dal contenuto generico e indistinto, potenzialmente comprensiva di qualsiasi specie di pubblico ufficiale, finisce in realtà per fare preciso riferimento unicamente a coloro tra questi che hanno la facoltà di usare le armi per l’adempimento del proprio ufficio, cioè, più propriamente, quelli che rappresentano ed esercitano la forza esecutiva, quindi gli agenti della cosiddetta forza pubblica. L’indispensabile relazione che lega il soggetto agente e lo strumento utilizzato, nello specifico le armi e gli altri strumenti di coazione fisica, introduce quindi il confronto con il concetto di arma, che richiama immediatamente quello della citata forza pubblica, la quale impiega esclusivamente le armi di ordinanza, che solo essa ha in dotazione, divenendo così possibile individuare i soggetti legittimati all’uso delle armi. 

In tal senso, l’indicazione normativa della riferibilità della scriminante al solo pubblico ufficiale è stata interpretata dalla dottrina come escludente qualsiasi applicabilità della disposizione in esame anche agli incaricati di pubblico servizio, ai pubblici impiegati o agli esercenti un servizio di pubblica necessità. Un’altra utile chiave di lettura ci viene offerta dall’ormai abrogato art. 27 della legge 22 maggio 1975 n. 152, recante disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, in cui si prevede che il procuratore della Repubblica, avuta notizia di reati commessi da “ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o da militari in servizio di pubblica sicurezza” per fatti compiuti in servizio e relativi all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, deve informare il procuratore generale presso la Corte d’Appello e compiere – medio tempore – esclusivamente atti urgenti, relativi alla prova del reato. L’analisi di questa norma porta a confermare ed esplicitare l’ambito di applicazione soggettivo appena esposto, facendo convergerne la sua vigenza su una ristretta cerchia di pubblici ufficiali, quelli appena citati, ai quali sarebbe applicabile la causa di giustificazione di cui all’art. 53 cp, che coinciderebbe con gli appartenenti alla suesposta forza pubblica, escludendo valenza scriminante, ad esempio, per le guardie giurate alle quali, salvo l’ipotesi in cui prestassero obbligatoria assistenza al pubblico ufficiale, non è riconosciuto il potere coattivo di cui sono muniti quest’ultimi. Queste conclusioni sono confermate dalla recente innovazione normativa che ha rivisto la qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 357 cp, specificando la nozione di pubblica funzione. 

Il 2° comma di tale disposizione precisa che “è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”. L’uso di poteri autoritativi si salda quindi al concetto di pubblica mansione amministrativa, sicché pubblico ufficiale è anche colui che esercita esclusivamente poteri autoritativi, il cui prototipo è dato da mansioni amministrative quali quelle di polizia o militari. La forma più significativa di potere autoritativo è quella del potere coattivo, che collima con la prospettiva dell’art. 53 cp in merito all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica. Lo status di pubblico ufficiale, tradizionalmente legato al ruolo formale rivestito da un soggetto all’interno dell’amministrazione pubblica, subisce una prima modifica con la legge n. 86/1990, in cui tale qualifica si attribuisce sulla base della funzione ricoperta, affermandosi l’irrilevanza della qualifica formale della persona all’interno dell’amministrazione, per poi ampliare, con la legge n. 181/1992, il concetto di funzione pubblica, definendo pubblico ufficiale anche chi concorre in modo sussidiario o accessorio all’attuazione dei fini della pubblica amministrazione, con azioni che non possono essere isolate dal contesto delle funzioni pubbliche. Dalla lettura del combinato disposto degli artt. 53 e 357 cp, la nozione a cui fare riferimento non può essere quella generica di pubblico ufficiale, bensì quella tecnica-specifica corrispondente alla forza pubblica, quale espressione di un potere autoritativo.  

Un secondo ordine di soggetti che possono beneficiare della scriminante prevista dall’art. 53 cp è quello delle persone che, legalmente richieste dal pubblico ufficiale, gli abbiano prestato assistenza, come espressamente disposto dal secondo comma dell’articolo in esame. In questo caso l’azione del privato è manifestazione di collaborazione civica occasionale, ma non un obbligo penalmente sanzionato. Al riguardo si può discorrere di doveri di collaborazione previsti da specifiche disposizioni normative, che presentano contenuti precisamente determinati, e doveri invece che, pur rivolti ad integrare l’attività della pubblica amministrazione, non sono riconducibili a una espressa previsione normativa, non presentando così un contenuto precettivo preordinato. In tale ultima evenienza, che coincide con quella in osservazione, si discorre di doveri civici o solidaristici che gravano sul singolo uti civis in base ai principi generali dell’ordinamento. L’indagine di questi doveri civici porta poi ad elaborare un’ulteriore differenziazione, per quanto attiene al momento della loro operatività, che può essere segnato dal sorgere di un bisogno individuato dall’autorità o, in altri casi, rimesso alla diretta valutazione e iniziativa del privato. La figura dei soggetti legalmente richiesti, ai sensi del secondo comma dell’art. 53 cp, sembra doversi ricondurre alla prima delle due ipotesi, stante la necessità di un atto del pubblico ufficiale, la richiesta, che dia attualità al dovere civico, poi caratterizzato dalla libera prestazione personale del privato. Tale previsione normativa costituisce senz’altro un’eccezione espressa al principio generale previsto nel 2° comma dell’art. 119 cp in materia di comunicabilità delle circostanze “oggettive” di esclusione della pena di cui all’art. 70 cp, non spiegando la norma effetto, in questo caso, sull’inquadramento della causa di giustificazione, che si dovrebbe invece fondare sul bilanciamento degli interessi in conflitto. Mentre il disposto del 2° comma dell’art. 119 cp esplicherebbe, infatti, i suoi naturali effetti nei confronti di tutte le persone concorse a determinare la fattispecie di reato, n

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10/11/2020