Stefano Chirico* e Salvatore Buscarino**

L'odio contro le persone disabili

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1. INTRODUZIONE 

di Vittorio Rizzi*

“Vivo con le ruote per terra ma faccio salti altissimi” (Iacopo Melio)
Come presidente dell’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) mi viene chiesto spesso se si possa tracciare una classifica delle varie forme di discriminazione, se esista qualcuna più grave di qualcun’altra.

Ma chi potrebbe decidere se un’offesa antisemita sia più grave di un atto omofobo o un’azione razzista più abbietta di una violenza misogina?

Ogni discriminazione (etnica, sociale, di genere, religiosa, di orientamento sessuale) non può che essere ripudiata, così come ogni violenza fisica o psicologica nei confronti di chi viene considerato “diverso”.

Se, dunque, non può esistere una graduatoria, è vero, però, che gli atti discriminatori nei confronti delle persone disabili, costituiscano o meno un vero e proprio reato, sono così ignobili da non dover scomodare neanche il principio di uguaglianza, che prima che nelle Carte internazionali e nella Costituzione, dovrebbe ormai appartenere alla coscienza di tutti.

Le cronache quotidiane, il lavoro delle forze di polizia, l’impegno dei servizi sociali e delle tante Associazioni testimoniano, però, che la disabilità viene, ancora oggi troppo spesso, offesa, umiliata o semplicemente ignorata, considerata come un problema del singolo (sfortunato) e come una tragedia personale. 

Il ruolo delle forze di polizia in questo contesto non si può, allora, limitare alla repressione dei reati nei confronti dei disabili, anche grazie all’applicazione di quelle norme che la crescente sensibilità ha fatto inserire nel nostro ordinamento.

L’impegno deve essere rivolto, ancor prima, alla prevenzione e alla formazione, perché non basta conoscere la cornice normativa di riferimento ma serve possedere anche strumenti offerti dalla psicologia e dalla sociologia che consentano all’operatore di polizia di capire le diversità, di mettersi nella prospettiva della persona disabile e di intercettare subito i comportamenti che potrebbero essere discriminatori.

Quell’uniforme deve rappresentare, oggi più che mai, non solo un presidio di legalità ma anche un enzima di crescita culturale per combattere pregiudizi e stereotipi, contribuendo alla realizzazione di un ambiente sociale che consenta alle persone disabili di esprimere pienamente la loro personalità e il loro talento.

*vice direttore generale della ps,   presidente dell’Oscad


2. CHE COS’È LA DISABILITÀ?

“Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa” (Alex Zanardi)
La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità definisce disabili le persone che “hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che, in interazione con varie barriere, possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri”. Tale definizione accoglie il “modello sociale della disabilità” (social model of disability) che supera il cosiddetto “modello medico” che concentrava l’attenzione sulla menomazione o sull’handicap fisico o psichico del soggetto.

L’approccio accolto anche dalla Convenzione Onu, nato nel mondo anglosassone e poi diffusosi in tutto il mondo, prende, invece, in considerazione le relazioni tra lo stato del soggetto e l’ambiente circostante, distinguendo tra la “menomazione”, che è la condizione fisica dell’individuo, e la “disabilità”, causata dalla società, che ha un ruolo centrale nel promuovere tutti gli interventi necessari per migliorare le condizioni di chi vive un deficit.

3. OSCAD, CRIMINI D’ODIO E DISABILITÀ

“Abbiamo imparato a volare come uccelli, a nuotare come pesci, ma non abbiamo ancora imparato a vivere come fratelli” (Martin Luter King)
L’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) è un organismo interforze istituito, con decreto del capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, nel settembre del 2010 per rispondere operativamente alla domanda di sicurezza delle persone appartenenti a “categorie vulnerabili”, mettendo a sistema e dando ulteriore impulso alle attività svolte dalla Polizia di Stato e dall’Arma dei Carabinieri in materia di prevenzione e contrasto dei reati di matrice discriminatoria.

L’Oscad, incardinato nell’ambito del Dipartimento della ps – Direzione centrale della polizia criminale, è presieduto dal vice direttore generale della ps – direttore centrale della polizia criminale ed è composto da rappresentanti della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e delle articolazioni dipartimentali competenti per materia (https://www.interno.gov.it/it/ministero/osservatori/osservatorio-sicurezza-contro-atti-discriminatori-oscad).

I reati di matrice discriminatoria – definiti, a livello internazionale, come hate crimes (crimini d’odio) – si caratterizzano, sostanzialmente, per la motivazione di pregiudizio che l’autore nutre nei confronti di una o più “caratteristiche protette”, reali o presunte, della vittima: origine etnica o “razziale”, convinzioni religiose, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità e così via. I reati nei confronti delle persone disabili rappresentano, quindi, un ground tipico dei crimini d’odio; tuttavia, a differenza di quanto avviene rispetto ad altri ambiti, le relative norme incriminatrici non richiedono il movente discriminatorio da parte dell’autore del reato e, pertanto, non dovrà essere provata la motivazione di pregiudizio, di discriminazione o di odio per la loro applicazione.

 

4. LA NORMATIVA IN MATERIA 

4.1 La disabilità nelle Carte internazionali
Diverse Carte internazionali contemplano la disabilità tra le “caratteristiche” da proteggere rispetto al rischio di discriminazione. Nella “Dichiarazione universale dei diritti umani” e nella “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Cedu) l’elemento disabilità può essere rinvenuto, in via interpretativa, nell’ambito degli elenchi aperti (“ogni altra condizione”) di cui, rispettivamente, all’art. 2 della Dichiarazione ed all’art. 14 della Convenzione. Nell’art. 21 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Ue”, invece, la disability di cui alla versione inglese (nella traduzione ufficiale in italiano “handicap”) viene esplicitamente contemplata nell’ambito dei ground rispetto ai quali viene fatto divieto di discriminazione. Il miglioramento delle condizioni di vita e la piena partecipazione delle persone disabili alla vita sociale sono al centro della già citata “Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità” del 2006, il cui scopo, ai sensi dell’art. 1, comma 1, consiste nel “promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità”.

Per quanto attiene all’attività delle forze di polizia, rilevano, in particolare, l’art. 3, comma 1, lett. b, “principio di non discriminazione”, e, soprattutto, l’art. 14, comma 1, lett. a, che sancisce l’obbligo per gli Stati firmatari di garantire che le persone con disabilità, al pari degli altri, godano del diritto alla libertà e alla sicurezza personale.

4.2 La disabilità nel diritto nazionale
Sul piano nazionale, l’attenzione circa le condotte penalmente rilevanti nei confronti delle persone disabili trova fondamento, nella Carta Costituzionale, agli artt. 2 (diritti inviolabili) e 3 (pari dignità sociale ed eguaglianza davanti alla legge).

Nell’ambito dell’ordinamento penale italiano – oltre alla circostanza aggravante di cui all’art. 36 della L. 104/92, di cui si dirà in seguito – sono presenti numerose disposizioni che configurano come reati determinate condotte in danno delle persone disabili. In tali articoli – riportati nella tabella di cui al paragrafo 6 – la condizione di disabilità viene definita attraverso espressioni che si sono evolute nel tempo, in parallelo con la sempre maggiore sensibilità in materia: minorazione o deficienza fisica/psichica; inferiorità fisica/psichica; handicap; malattia di mente o di corpo; disabilità.

Per quanto, invece, concerne il diritto processuale penale, è opportuno evidenziare che il dlgs 15 dicembre 2015, n. 212, di attuazione della c.d. “Direttiva vittime” Ue, ha introdotto l’art. 90 quater cpp codificando, in modo strutturale, la condizione di “particolare vulnerabilità” di alcune vittime, tra cui appunto le persone disabili. 

Dal riconoscimento della condizione derivano una serie di importanti diritti per la vittima particolarmente vulnerabile (cui corrispondono specifici obblighi in capo all’autorità e alla polizia giudiziaria), che si aggiungono alla più generale tutela riconosciuta a tutte le vittime: essere informate; avere un ruolo attivo nel procedimento penale; veder riconosciuti rispetto, protezione, ascolto; aiuto nell’accesso alla giustizia; rimborsi economici e supporto psicologico. 

Con riferimento alle attività della polizia giudiziaria, dallo status di particolare vulnerabilità della vittima discende, nello specifico, una tutela rafforzata in tema di assunzione delle “sommarie informazioni”: ai sensi dell’art. 134, co 4 cpp è sempre consentita la riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della vittima, che deve essere ascoltata con l’ausilio dello psicologo/psichiatra, non deve avere contatti con l’indagato mentre viene sentita e non deve essere chiamata più volte a deporre, salva l’assoluta necessità (art. 351, co 1 ter cpp).

5. SUGGERIMENTI OPERATIVI

L’esperienza maturata nelle attività di monitoraggio e analisi dei reati contro i disabili da parte dell’Oscad è stata qui sintetizzata (insieme alla tabella riepilogativa delle principali fattispecie nelle quali rileva la condizione di disabilità della vittima) per tracciare alcuni suggerimenti operativi che possano orientare la polizia giudiziaria nell’esatta qualificazione giuridica delle condotte penalmente rilevanti commesse nei confronti di persone disabili.

5.1 L’ART. 36 DELLA L. 104/1992

Come anticipato, l’art. 36 della L. 104/1992 prevede un’aggravante speciale, ad effetto speciale, che comporta l’aumento – da un terzo alla metà – delle sanzioni penali per i seguenti reati:

art. 527 cp (atti osceni);

reati non colposi elencati nel libro secondo, titolo XII (dei delitti contro la persona) e titolo XIII (dei delitti contro il patrimonio) del codice penale;

reati di cui alla L. 75/1958 (c.d. “legge Merlin”): reclutamento, induzione, favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione, qualora commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale come definite dall’art. 3 della medesima legge.

L’aggravante in parola, ovviamente, non si applica quando la condizione di disabilità della vittima integri un elemento costitutivo o una circostanza aggravante speciale del reato; in caso contrario, come chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza n.19172/2015, “si finirebbe per considerare lo stato di minorazione fisica o psichica contemporaneamente come elemento costitutivo del reato e come circostanza aggravante (ad effetto speciale) dello stesso, in palese violazione del principio generale dettato dall’art. 61, comma 1 cp in tema di aggravanti comuni (ma estensibile anche alle aggravanti speciali)”.

Non applicabilità dell’art. 36 quando la disabilità è elemento costitutivo del reato
Al termine dell’iter processuale di merito, un uomo era stato condannato ai sensi dell’art. 609 bis cp (violenza sessuale), aggravato dall’art. 36 L. 104/1992, per avere abusato sessualmente di una ragazza con disabilità mentale. Lo stesso, realizzando un’opera di persuasione sottile e subdola nei confronti della vittima, che si trovava in stato di inferiorità psichica, l’aveva convinta a compiere atti sessuali ai quali, diversamente, non avrebbe aderito. In particolare, la Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza 19172/2015, ha annullato la decisione della Corte di merito, limitatamente alla quantificazione della pena, non dovendosi applicare al caso di specie l’aggravante in parola, poiché: “nel delitto di cui all’art. 609 bis comma 1 c.p., lo stato di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, determinato da malattia, integra un elemento costitutivo del reato e pertanto in tal caso non è configurabile l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 36 comma 1 della L. 104/1992 (…)

Talvolta sono state riscontrate incertezze circa la possibile applicabilità della norma in argomento in concorso con la circostanza aggravante comune della c.d. “minorata difesa” (art. 6, comma 1, n.5 cp). Ci si trova, nello specifico, in casi di c.d. “concorso apparente di norme”, ossia ipotesi in cui più norme sembrano disciplinare un medesimo fatto. In tali evenienze, dovrà trovare applicazione il c.d. “principio di specialità, di cui all’art. 15 cp, in virtù del quale “la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”.

Applicazione dell’art. 36 ad un caso di omicidio ed assorbimento della circostanza aggravante comune della c.d. minorata difesa (art. 61, co 1 n.5 cp)
Una donna, resasi responsabile di omicidio nei confronti di un uomo disabile affetto da distrofia muscolare, è stata condannata per il reato previsto dall’art. 575 cp, aggravato dall’art. 36 L. 104/1992. Nella circostanza, la donna, pienamente consapevole dello stato di disabilità della vittima, avrebbe causato la morte dell’uomo (costretto su una sedia a rotelle a causa della sua malattia debilitante) in conseguenza del suo rifiuto a sposarla. Con riferimento al caso in parola, l’A.G. requirente aveva, tra l’altro, contestato sia la circostanza aggravante generica prevista dall’art. 61 n. 5 cp (la c.d. minorata difesa), che la circostanza aggravante speciale di cui al citato art. 36. La Corte di Cassazione, confermando la decisione assunta dai giudici di merito, ha statuito la legittimità della condanna, anche in ordine all’assorbimento della circostanza aggravante generica nella circostanza aggravante speciale, in applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. (Cass. Pen. n. 4060/2019).

L’Oscad, in ragione del proprio mandato, pone una grande attenzione al monitoraggio dei reati commessi nei confronti delle persone disabili. A partire dal 2017, quando sono stati resi possibili l’inserimento e la ricerca dell’art. 36 nel data base nazionale in uso alle forze di polizia italiane (Sdi - Sistema di indagine), si è registrato un significativo incremento dei reati con vittime disabili comunicati all’Osce, nell’ambito del complessivo contributo del dipartimento della ps elaborato dall’Oscad.

Come costantemente evidenziato in tutti i report sulle attività di monitoraggio effettuate dall’Oscad, il sensibile incremento dei casi complessivamente segnalati all’organizzazione internazionale non è correlabile statisticamente ad un proporzionale aumento dei crimini d’odio nel nostro Paese, ma, piuttosto attribuibile a un significativo miglioramento del sistema di monitoraggio.

5.2 VIOLENZA SESSUALE NEI CONFRONTI DI PERSONA DISABILE

La violenza sessuale – reato già di per sé oggetto di una fortissima riprovazione sociale – diventa un comportamento ancor più deprecabile quando viene commessa nei confronti di persone disabili, in ragione della condizione di oggettivo svantaggio in cui versano le vittime. L’art. 609 bis cp (Violenza sessuale), al comma 2, n.1 criminalizza la condotta di chi “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”.

In proposito, è appena il caso di evidenziare che l’abuso della condizione di disabilità – da accertare caso per caso – è un elemento imprescindibile della condotta affinché la stessa assuma rilevanza penale. In caso contrario, il rapporto sessuale risulterebbe pienamente legittimo, a differenza di quanto prevedeva l’art. 519 cp (sulla violenza carnale), abrogato con L. 66/1996, che al comma 2, n.3, stabiliva una presunzione di abuso rispetto al rapporto sessuale con una persona che, nel momento, si trovasse in una delle condizioni descritte nella fattispecie.

Violenza sessuale nei confronti di persona disabile: l’accertamento, caso per caso, dell’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa
A seguito della sottoposizione a misura cautelare di un uomo indiziato di avere indotto una diciassettenne ad un rapporto sessuale, abusando della sua condizione di inferiorità psichica (essendo affetta da disturbo della sfera emozionale e ritardo mentale lieve), la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale adducendo che “in tema di atti sessuali commessi con persona in stato di inferiorità fisica o psichica, perché sussista il reato di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1 c.p., è necessario che: (…) 2) il consenso all’atto sia viziato dalla condizione di inferiorità; 3) il vizio sia accertato caso per caso e non può essere presunto, né desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona quando non sia di per sé tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi; (…)”(Cass. Pen. n. 18513/2015).

5.3 MALTRATTAMENTI E VIOLENZE PRESSO CASE DI RIPOSO/CURA

Frequentemente, l’Oscad registra gravi episodi di maltrattamenti e violenze commessi nei confronti di persone ricoverate presso case di riposo o di cura. In tali casi, può, talvolta, risultare complesso determinare quali reati – ed eventualmente quali circostanze aggravanti – possano essere riscontrati nelle relative condotte illecite. Quanto ai reati, è, in primo luogo, opportuno evidenziare che la fattispecie di cui all’art. 572 cp (Maltrattamenti contro familiari e conviventi), come recentemente novellata, prevede un’ipotesi aggravata, se il fatto è commesso in presenza o in danno di (…) persona con disabilità. Nel caso in esame, essendo la condizione di disabilità della vittima circostanza aggravante speciale dell’ art. 572 cp, come già chiarito non potrà trovare applicazione l’aggravante di cui al più volte citato art. 36 della legge 104/1992.

Rispetto al reato in parola, è utile rammentare che la giurisprudenza di Cassazione ha chiarito che esso assorbe i delitti di percosse, minacce anche gravi, ingiuria (ora depenalizzata) e violenza privata, ma non quelli di lesioni, danneggiamento ed estorsione, attesa la diversa obiettività giuridica. Inoltre, con specifico riferimento ad una vicenda relativa a reiterate condotte di maltrattamenti fisici e frasi ingiuriose da parte di operatrici di un istituto pubblico di assistenza nei confronti di persone anziane ivi ricoverate nel reparto di lunga degenza, la Suprema Corte ha puntualizzato che: “ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 cp, lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi” . Quanto alle aggravanti, la polizia giudiziaria procedente potrà proporre la contestazione della circostanza di cui all’art. 61, co 1, n. 11 sexies cp, in quanto il fatto è stato commesso presso una casa di riposo o di cura, nonché la circostanza di cui all’art. 61, co 1, n. 5 cp in caso di vittime in condizioni di minorata difesa per età avanzata e/o la circostanza di cui al richiamato art. 36 L. 104/1992 (laddove applicabile, secondo le indicazioni fornite nel relativo paragrafo) in caso di vittime disabili.

Maltrattamenti presso case di riposo/cura nei confronti di persone disabili
A seguito di una querela presentata dal genitore di un uomo affetto da autismo, l’Arma dei Carabinieri ha avviato un’indagine riguardante presunti maltrattamenti presso una comunità terapeutica. All’esito dell’attività investigativa, sono state emesse misure cautelari per 13 operatori socio sanitari, nonché denunciate altre 12 persone. Tutti i soggetti coinvolti sono stati ritenuti responsabili, in concorso, del reato di “maltrattamenti contro familiari e conviventi” aggravato dall’aver commesso il fatto in danno di persone con disabilità ricoverate presso la struttura (art. 572, comma 2 cp).

Maltrattamenti presso case di riposo/cura nei confronti di persone in età avanzata
La Polizia di Stato ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura cautelare del divieto temporaneo di svolgere attività professionale di operatore socio sanitario e del divieto di svolgere l’attività professionale all’interno di strutture sanitarie, socio sanitarie e socio assistenziali, nei confronti di 9 operatori socio sanitari ritenuti responsabili di maltrattamenti, con l’aggravante della minorata difesa (art. 61, co 1, n. 5 cp), nei confronti degli ospiti di una casa di cura.

5.4 BULLISMO E CYBERBULLISMO

Nel nostro Paese non esiste una definizione ufficiale di bullismo, mentre la legge n. 71/2017 ha definito il cyberbullismo. Al riguardo, può essere utile il riferimento alla Direttiva del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) n. 16 del 5 febbraio 2007 “Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo”, che contestualizza e definisce i concetti di bullismo e cyberbullismo: «Il problema del bullismo si configura come un fenomeno estremamente complesso, non riducibile alla sola condotta di singoli (bambini, ragazzi preadolescenti e adolescenti; maschi e femmine) ma riguardante il gruppo dei pari nel suo insieme. Tra i coetanei, infatti, il fenomeno spesso si diffonde grazie a dinamiche di gruppo, soprattutto in presenza di atteggiamenti di tacita accettazione delle prepotenze o di rinuncia a contrastare attivamente le sopraffazioni ai danni dei più deboli. È importante definire il bullismo poiché troppo spesso viene confuso o omologato ad altre tipologie di comportamenti, dai quali va distinto, e che configurano dei veri e propri reati (ad esempio discriminazione, microcriminalità, vandalismo, furti, etc..). Il termine italiano “bullismo” è la traduzione letterale di “bullying”, parola inglese comunemente usata nella letteratura internazionale per caratterizzare il fenomeno delle prepotenze tra pari in contesto di gruppo. Il bullismo si configura come un fenomeno dinamico, multidimensionale e relazionale che riguarda non solo l’interazione del prevaricatore con la vittima, che assume atteggiamenti di rassegnazione, ma tutti gli appartenenti allo stesso gruppo con ruoli diversi.

Il comportamento del bullo è un tipo di azione continuativa e persistente che mira deliberatamente a far del male o danneggiare qualcuno. La modalità diretta si manifesta in prepotenze fisiche e/o verbali. La forma indiretta di prevaricazione riguarda una serie di dicerie sul conto della vittima, l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di calunnie e di pettegolezzi e altre modalità definite di “cyberbullying” inteso quest’ultimo come particolare tipo di aggressività intenzionale agita attraverso forme elettroniche». 

Proprio in ragione della natura prevaricatoria dei fenomeni in argomento, bambini/ragazzi affetti da una qualche forma di disabilità possono divenire vittime ideali in quanto bersagli facili per il bullo. Tenuto conto del fatto che i responsabili sono, spesso, anch’essi minorenni, è opportuno ricordare che per la legge italiana: “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora 18, se aveva la capacità d’intendere e di volere” (art. 98 cp).

Il cyberbullismo è la manifestazione in rete del bullismo, realizzata mediante strumenti telematici (sms, mms, foto, video, email, chat rooms, istant messaging, siti web, telefonate). La prevenzione e il contrasto di tale fenomeno costituiscono lo specifico obiettivo della già menzionata legge n. 71/2017, secondo la quale, “per cyberbullismo si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo” (art. 1, comma 2). La norma prevede, tra l’altro, l’applicabilità della misura di prevenzione dell’ammonimento del questore fino a quando non venga proposta querela o presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 594 (ingiuria, ora abrogato), 595 (diffamazione) e 612 (minaccia) del codice penale e all’articolo 167 (trattamento illecito di dati) del dlgs n. 196/2003 (Codice per la protezione dei dati personali), quando essi vengono commessi, mediante la rete internet, da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di un altro minorenne (art. 7).

I comportamenti penalmente rilevanti di cui si rendono responsabili gli autori di atti di bullismo e cyberbullismo sono riconducibili, prevalentemente, ai reati di percosse (art. 581 cp), lesione personale (art. 582 cp), diffamazione (art. 595 cp), violenza privata (art. 610 cp), minaccia (art. 612 cp), atti persecutori (art. 612 bis cp); danneggiamento (art. 635 cp); trattamento illecito di dati (art. 167 dlgs n. 196/2003). Ovviamente, qualora la vittima di bullismo o cyberbullismo sia disabile, le fattispecie di reato contestate potranno essere, tra l’altro, integrate dalle aggravanti di cui all’art. 36 o l’art. 61, comma 1, n.5, secondo i principi precedentemente evidenziati.

Il bullismo non è uno scherzo: le forme gravi di bullismo possono avere le caratteristiche dei crimini d’odio
In una scuola superiore, due ragazze e un ragazzo sedicenni hanno preso a calci e pugni e ricoperto di sputi una loro compagna di classe disabile, mentre un’altra ragazza riprendeva l’episodio con il proprio telefonino, postando successivamente il video su Whatsapp e su Facebook. Nella ripresa video, della durata di circa 15 secondi, si nota la giovane vittima che viene colpita, a turno, dai compagni, dai quali tenta di ripararsi con le braccia e con l’aiuto di una borsa.

Il caso trattato presenta alcuni elementi caratteristici dei crimini d’odio, quali lo svilimento e la degradazione della vittima (nel caso di specie fatta oggetto di sputi e di una violenta aggressione fisica). Inoltre, l’aver filmato e messo in rete l’episodio è perfettamente coerente con l’intenzione degli autori dell’aggressione di inviare un chiaro messaggio di non accettazione della vittima, in quanto espressione di una specifica caratteristica protetta, incuranti del rischio di poter essere più agevolmente identificati. Non a caso, i crimini d’odio vengono anche definiti message crimes, ossia reati che inviano un messaggio.

Cyberbullismo: 4 minori ammoniti dal questore
Quattro quindicenni che frequentavano il secondo anno di una scuola superiore hanno creato un gruppo Whatsapp denominato “oddio un daun”, con il chiaro intento di denigrare ed offendere un loro compagno di scuola, con problemi di disabilità.

I commenti offensivi e di scherno pubblicati nella chat, al cui interno era stato inserito il ragazzo, ha determinato in quest’ultimo una situazione di profondo disagio e malessere psicofisico che lo ha indotto ad abbandonare il gruppo e a raccontare a casa e a scuola quanto accadutogli.

Il padre della giovane vittima si è rivolto alla Polizia di Stato, fornendo agli investigatori elementi tali da far scattare la misura di prevenzione dell’ammonimento del questore per cyberbullismo nei confronti dei quattro bulli.

Divieto di sosta dei veicoli negli spazi riservati alle persone disabili
Un comportamento stradale evidente espressione di scarsissimo senso civico – ma che, purtroppo, si riscontra con una certa frequenza – è l’impropria occupazione degli spazi riservati ai veicoli per disabili. Le conseguenze possono essere serie!

Un automobilista è stato denunciato e condannato per “violenza privata” per avere parcheggiato la propria autovettura all’interno di uno stallo attribuito esclusivamente al parcheggio dell’autovettura appartenente a un disabile. La Corte di Cassazione ha precisato che: “se lo spazio fosse stato genericamente dedicato al posteggio dei disabili la condotta del ricorrente avrebbe integrato la sola violazione dell’articolo 158, comma 2, lett. g del codice della strada (…). Ma in questo caso, quando lo spazio è espressamente riservato ad una determinata persona, per ragioni attinenti al suo stato di salute (…), alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiunge l’impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo” (Cass. Pen. n. 17794/2017).

*direttore della Segreteria dell’Oscad **Segreteria dell’ Oscad

09/10/2020