Giulia Fabri

La diffamazione nell’era digitale (pt.1)

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1. Premessa 

La diffamazione è un delitto contro l’onore consistente nell’offesa all’altrui reputazione, realizzata in assenza del soggetto passivo e comunicando con più persone. La tutela penale dell’onore viene direttamente ricondotta alle scelte valoriali espresse nella Costituzione e al riferimento, in essa contenuto, ai “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.), nonché alla “pari dignità sociale” degli individui (art. 3 Cost.), che impedisce al singolo di “elevarsi a giudice delle altrui indegnità ed esprimere con atti o parole valutazioni negative sulle persone” . Con ciò, si pone evidentemente un limite all’esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero, anch’esso costituzionalmente garantito; la costante tensione tra valori fondamentali della società democratica – il rispetto della sfera individuale da un lato, la libertà di espressione e la tutela della funzione sociale dell’informazione dall’altro – ha impegnato la giurisprudenza dal secondo dopoguerra ad oggi, nel tentativo di individuare un giusto contemperamento tra gli interessi in gioco.

Ulteriori sfide provengono peraltro dal progresso tecnologico: il legislatore italiano ha infatti scelto di non individuare tassativamente i mezzi attraverso cui il messaggio diffamatorio può essere veicolato, con la conseguenza che la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione ha moltiplicato le occasioni di consumazione del reato. Si è infatti osservato che le odierne tecnologie consentono a qualsiasi persona di raccogliere informazioni, nonché di esprimere la propria opinione in merito alle tematiche più diverse; ciò ha determinato, in quella che è stata efficacemente definita come una “escalation comunicativa”, un significativo incremento della possibilità di diffusione di contenuti diffamatori, anche in ragione dell’enorme bacino di utenza che caratterizza il Web e, più in particolare, le piattaforme di rete sociale. 

2. Il reato di diffamazione

Al fine di inquadrare le criticità derivanti dall’uso dei moderni mezzi di comunicazione, appare opportuno analizzare brevemente la fattispecie di diffamazione.

2.1. Elementi costitutivi del reato

Come anticipato, l’art. 595, comma 1, cp, incrimina la condotta di chi offenda l’altrui reputazione comunicando con più persone: occorre dunque che l’espressione lesiva venga a conoscenza di altri e si ritiene sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, che l’affermazione denigratoria sia percepita da almeno due persone. La giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di precisare, a questo proposito, che non è necessario che la propalazione delle frasi offensive venga posta in essere simultaneamente, potendo aver luogo anche in momenti diversi, purché risulti comunque rivolta a più soggetti; si è inoltre chiarito che il reato può dirsi integrato anche laddove l’autore della frase lesiva dell’altrui reputazione comunichi con una sola persona, quando le modalità siano tali da far sì che la notizia venga sicuramente a conoscenza di altri e l’autore agisca rappresentandosi e volendo tale evento. 

L’inciso posto in apertura dell’art. 595 cp — “fuori dei casi indicati nell’articolo precedente” —permette inoltre di individuare un ulteriore requisito della fattispecie, rappresentato dalla necessaria assenza della persona offesa: tale elemento, che permetteva di distinguere il delitto di diffamazione dalla fattispecie contigua di ingiuria – oggi depenalizzata – non deve essere inteso in senso strettamente fisico-spaziale, bensì come impossibilità di percezione fisica dell’offesa da parte del soggetto passivo; si ritiene, infatti, che la diffamazione si configuri anche quando il soggetto passivo, pur presente, non sia in grado di percepire l’offesa. Deve essere in effetti rilevato che mentre nell’ingiuria le espressioni offensive sono dirette all’offeso, nella diffamazione quest’ultimo resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è, pertanto, posto in condizione di interloquire con l’offensore; ed è proprio nell’impossibilità per il soggetto passivo di replicare immediatamente all’offesa che si ravvisa la ratio della maggiore gravità della diffamazione rispetto all’ingiuria.

Chiarito il perimetro applicativo della fattispecie con riferimento ai destinatari della comunicazione, è necessario apprezzare il tenore offensivo delle espressioni utilizzate; a tal fine, la giurisprudenza fa ricorso ad un concetto oggettivo di reputazione, intesa come “considerazione in cui l’individuo è tenuto dalla comunità in cui opera ed è conosciuto” : in altri termini, è necessario considerare il patrimonio di stima e di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera. Per stabilire se vi sia stata una lesione di tale bene giuridico si rende peraltro necessario valutare il significato complessivo delle parole adoperate. Non deve infatti essere assunto a riferimento soltanto il significato proprio dei vocaboli, ma anche l’uso che se ne fa ed il contesto comunicativo in cui le espressioni si inseriscono: si è infatti precisato che il carattere diffamatorio di un’affermazione può discendere, oltre che dal contenuto oggettivamente offensivo della frase autonomamente considerata, anche dal contesto in cui la stessa è pronunciata, in quanto esso può determinare un mutamento del significato dell’espressione altrimenti non diffamatoria, conferendole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio . Si è del resto da tempo precisato che anche le espressioni dubitative, come quelle insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, se non corrispondenti al vero, possono ledere l’altrui reputazione quando risultino idonee ad ingener

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07/07/2020