Cristiano Morabito e Valentina Pistillo

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Come ogni anno, la Direzione centrale per i servizi antidroga pubblica il resoconto delle attività e dei risultati ottenuti dal nostro Paese nella lotta al traffico illecito delle sostanze stupefacenti. Un bilancio interessante e dettagliato, con un occhio al periodo della pandemia

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Era la seconda metà degli Anni ’80, quando la Rai mise in onda una striscia quotidiana dedicata al mondo della tossicodipendenza. Durante quei minuti si accavallavano tra loro interventi di esperti del settore sia del recupero che della lotta all’abuso di stupefacenti, fino ad arrivare alle testimonianze shock di chi era entrato nel tunnel della droga. Il titolo era significativo, “Droga che fare?”. Emblematico di un periodo storico in cui la tossicodipendenza era realmente un’emergenza dilagante, il cui mondo era quasi sconosciuto ai più, nel quale si procedeva senza una vera e propria strategia comune, quasi per tentativi. Oggi, la situazione è sensibilmente diversa: non che il problema della droga sia stato debellato, ma sicuramente di quel mondo allora quasi oscuro ne sappiamo molto di più e, soprattutto, il contrasto fa quasi fronte comune su tutto il Globo. Una parte fondamentale la giocano organismi come la Direzione centrale per i servizi antidroga che come ogni anno, in questo periodo, ha pubblicato un Rapporto dettagliato sulla situazione della lotta al traffico degli stupefacenti in Italia. Ne abbiamo parlato con il direttore uscente, Giuseppe Cucchiara, che ha commentato in anteprima assoluta per Poliziamoderna i dati emersi dal Rapporto 2020 (scaricabile su  https://antidroga.interno.gov.it/temi/report/relazioni-annuali-dcsa/), con un occhio anche al periodo del lockdown. 

Sostanze, sequestri, consumi e traffici 

Il dato che salta subito agli occhi è quello dei sequestri, che registra una flessione del 57% rispetto all’annata precedente (123 tonnellate nel 2018 contro poco meno di 55 nel 2019), che riguarda quasi tutte le sostanze, eccezion fatta per cocaina e droghe sintetiche. «Spiccano, in particolare – spiega il direttore della Dcsa – gli scostamenti negativi riferibili ai derivati della cannabis, tanto per quanto riguarda l’hashish (-73,25%), che per la marijuana (-39,83%). Negli ultimi cinque anni, queste sostanze hanno rappresentato da sole oltre il 90% di tutta la droga intercettata dalle forze di polizia nel nostro Paese». Nonostante tre importanti sequestri (circa 13 tonnellate di cannabis nelle acque del Canale di Sicilia e al largo delle coste di Santa Maria di Leuca - LE), l’analisi evidenzia una sensibile flessione dei sequestri sia nell’area tirrenica che in quella adriatica: «L’hashish – afferma il direttore – proviene prevalentemente dal Marocco, attraverso il bacino del Mediterraneo o lungo direttrici terrestri che interessano la Penisola iberica, mentre la marijuana arriva in Italia attraverso il Mar Adriatico lungo le rotte che partono dall’Albania, uno dei maggiori produttori al mondo, e dalla Grecia. Il Mediterraneo si conferma purtroppo la via principale di accesso della droga: negli ultimi 8 anni sono state sequestrate circa 240 tonnellate di hashish, occultate a bordo di una ventina di imbarcazioni e motonavi. Il traffico è in mano alla criminalità marocchina, in collegamento con le organizzazioni di matrice camorristica e ’ndranghetista e, per quello che riguarda l’“erba”, a sodalizi albanesi e pugliesi».

Anche i sequestri di eroina, registrano un calo del 37%, rispetto al 2018. «In questo caso, però – commenta Cucchiara – la flessione appare meno significativa, tenuto conto che lo scorso anno è stata rinvenuta una partita di circa 270 kg nel porto di Genova». Un vistoso aumento si registra invece per la cocaina che, in termini assoluti, quasi triplica i volumi dei sequestri rispetto al 2018 (+127,2%), raggiungendo la quota record di 8,4 tonnellate: il quantitativo più alto dal 2010 a oggi. 

Mentre la coca si attesta come il principale business dei maggiori sodalizi criminali nazionali e internazionali, un discorso a parte richiedono le droghe sintetiche: «L’incremento registrato (+96% in dosi e +32,1% in peso) conferma la crescente diffusione di questo tipo di psicotropi soprattutto tra i più giovani. E il contrasto, da qualche tempo, sta facendo i conti con nuove modalità di offerta: gli ordini telematici, le transazioni via Web e le spedizioni postali, sempre più frequenti nell’era dell’e-commerce». 

 

L’eroina

Si fuma e si sniffa ed è prepotentemente tornata sul mercato: una costante emerge nel 2019 per quanto riguarda il consumo, ossia che la “roba” non ha mai abbandonato il campo. Lo ricorda drammaticamente anche il numero delle overdosi che negli ultimi anni ha ripreso a salire, con 373 morti (+11,01% rispetto al 2018, ossia 37 decessi in più) la cui causa è da attribuire proprio al consumo di oppiacei: 169 per eroina, 16 per metadone, 1 per Fentanyl e 1 per morfina. Dal 1973 sono ben 25.780 i morti causati dal consumo di stupefacenti, ma c’è una new entry nel mondo dello sballo soprattutto in alcuni Paesi del mondo: «Quello che riteniamo più pericoloso – afferma il capo della Dcsa – è probabilmente il Fentanyl, un “cugino dell’eroina” derivato dalla morfina che, anche in dosi minime può portare alla morte per overdose, diffuso soprattutto in Nord America, si sta affacciando anche sul mercato italiano». E proprio alle droghe sintetiche, alle Nps e al Fentanyl è stato dedicato un workshop lo scorso novembre sotto l’egida della Dcsa, in collaborazione con il Dpa, presso il Centro Congressi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. 

 

Le Nps

Accanto alle sostanze più note, si parla molto delle Nps, le Nuove sostanze psicoattive, dette anche “Legal highs”, ossia sostanze con effetti psicoattivi legali. Ma che cosa sono realmente? Esistono molecole per la maggior parte di origine sintetica, prodotte con l’obiettivo di immettere sul mercato clandestino sostanze borderline ai fini dei controlli, poiché non ricomprese tra quelle vietate nelle Tabelle internazionali. Il Sistema nazionale di allerta precoce del Dipartimento per le politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri con la Dcsa, ha potuto individuare 15 nuove molecole non “tabellate” (principalmente cannabinoidi, catinoni e oppioidi) già presenti in prodotti psicoattivi destinati al consumo. Benché non siano oggi ancora particolarmente diffuse nel nostro Paese, è necessario tenere alto il livello di attenzione. 

Un mercato illegale si sta diffondendo sul Web e, anche se non ci sono ancora specifiche conferme sul piano investigativo, è ipotizzabile che la criminalità organizzata, nel prossimo futuro, possa rivolgere a questo business la sua attenzione in relazione alle potenzialità di incremento dei profitti del mercato illecito delle droghe. «Il mercato delle droghe on line è in pericolosa espansione – sostiene il direttore della Dcsa – accessibile tramite darkweb o deepweb, dove si acquistano sostanze con livelli di rischio molto bassi, per l’assenza di contatti con i pusher e per la consegna direttamente a casa e in modalità anonima». Il procuratore nazionale antimafia, Cafiero De Raho, ha recentemente sottolineato che se le sostanze stupefacenti tradizionali, portano ai sodalizi criminali di “casa nostra” un guadagno annuo di 30 miliardi di euro, il mercato delle droghe on line ben presto rappresenterà un’ulteriore opportunità di arricchimento illecito.

 

La cocaina

È la ’Ndrangheta ad aver investito più di altre organizzazioni nel traffico internazionale di droga: «Unanimemente riconosciuta dai principali cartelli – sostiene Cucchiara – l’organizzazione calabrese è un’interlocutrice affidabile e “solvente”, come anche la Camorra napoletana, che si avvale di solidi contatti internazionali. Dopo un periodo di calma apparente anche Cosa Nostra mostra un rinnovato interesse verso il traffico di droga, sebbene in una posizione subalterna rispetto alle altre organizzazioni, mentre negli ultimi anni si è registrato anche un forte coinvolgimento delle organizzazioni criminali albanesi». 

 

La “manovalanza” dello spaccio

Per il secondo anno consecutivo si registra un aumento del numero di minorenni, italiani e stranieri, almeno per quanto riguarda le operazioni di spaccio di hashish e marijuana. Secondo il Rapporto stilato dalla Dcsa, lo scorso anno per spaccio di cannabinoidi gli arresti sono stati 958 (808 italiani e 150 stranieri), un numero curiosamente di gran lunga superiore a quello dei pusher arrestati per lo spaccio di altre sostanze (224 per la cocaina e 27 per l’eroina). Numeri sicuramente da monitorare con attenzione anche in futuro, tenuto conto non solo dell’età dei denunciati ma anche della diffusione di tali sostanze. «Proprio per la preoccupazione che questo fenomeno provoca, la Dcsa – commenta Cucchiara – si è fatta promotrice di diverse iniziative che non mirano solamente alla repressione dello spaccio, ma anche e soprattutto alla prevenzione, attraverso iniziative, campagne di informazione e formazione, promosse nelle scuole». La manovalanza dello spaccio nelle piazze italiane è costituita da un eterogeneo gruppo di soggetti ai quali già da tempo si sono aggiunti individui di etnia marocchina, albanese, nigeriana, gambiana, tunisina e senegalese. Il numero degli stranieri coinvolti nel traffico e nello spaccio è in linea con il 2018: 13.775, di cui oltre 9.650 arrestati, pari a poco più di un terzo (39,45%) di tutti i denunciati, dato tra i più alti mai registrati negli ultimi 10 anni.

 

Sostanza che vai, rotta che trovi

Le rotte sono sempre le stesse così come anche le sostanze stupefacenti “sempreverdi”, ma quelle che cambiano sono le strategie delle organizzazioni criminali e la velocità con cui queste si adeguano alle strategie di contrasto delle forze dell’ordine: un’eterna rincorsa, come quella che da sempre viene rappresentata il quel “guardie e ladri” che vede a volte prevalere una parte, a volte l’altra. Cocaina, eroina e oppiacei, hashish e marijuana occupano da sempre le prime posizioni di un’ideale classifica del consumo di droga nel nostro Paese e poi ci sono, ciclicamente, quelle che potrebbero essere definite come “new entry” in questo mondo particolare, spesso rappresentate dalle “sintetiche”, in base alle varie nuove molecole che vengono scoperte e messe insieme dagli “scienziati” dei narcos. Così come la classifica del consumo, anche le rotte utilizzate per arrivare da noi sono sostanzialmente sempre le stesse: «Il 90% della produzione di cocaina è appannaggio del Sud America (70% in Colombia, il restante 20% diviso tra Perù e Bolivia) e, di conseguenza, in Europa non può che arrivare via mare in porti quali Gioia Tauro (RC), Rotterdam, Anversa e Barcellona. Ad oggi è stata aperta una nuova rotta attraverso l’Africa Sud occidentale (Senegal e Ghana, dove sono avvenuti grandi sequestri di coca sudamericana), una sorta di “pit stop” tecnico di stoccaggio, per arrivare via terra in Nord Africa». In Costa d’Avorio, ad esempio, il business è in mano ad una comunità calabrese, il che sottolinea la forte “specializzazione” della ’Ndrangheta nel ramo-coca. Per quanto riguarda l’eroina e gli oppiacei, il cui traffico in Europa è in mano principalmente a clan nigeriani e albanesi – sul territorio nazionale è appannaggio soprattutto dei clan camorristici, generalmente in contatto con organizzazioni albanesi e consorterie criminali nigeriane – la produzione avviene principalmente in Afghanistan: «L’eroina arriva in parte via terra con i camion attraverso la “rotta balcanica”, ma anche per mare dal golfo di Hormuz – prosegue Giuseppe Cucchiara nell’analisi del Rapporto – Qui entra in gioco anche un altro Paese, l’Iran, geograficamente vicino e che ha messo in campo una strategia molto pesante nella lotta al traffico di droga per controllare il vastissimo confine con l’Afghanistan; ma molta merce riesce a passare comunque».

Per l’hashish il punto di partenza è sempre il Marocco, con rotte verso l’Europa prevalentemente via mare, attraverso il bacino del Mediterraneo, mentre per la marijuana si registrano sequestri anche al largo dell’Adriatico, con provenienza i porti della vicina Albania.  

 

Il traffico ai tempi del Covid

La pandemia è intervenuta a gamba tesa su tutti i mercati, compresi quelli illegali. Il mondo si è fermato per mesi e con lui anche il commercio di droghe ha subito una contrazione inevitabile, cercando di riadattarsi a una nuova condizione di vita. Così, come si è letto sui giornali nel periodo del lockdown, lo spaccio ha dovuto adeguarsi alle circostanze, cercando nuove vie e nuovi metodi, a volte anche ingegnosi, per non far mancare ai propri clienti il costante approvvigionamento di “merce” e, dunque, utilizzando consegne porta a porta e con corrieri diversi dal solito: una limitata forma di spaccio che ha favorito figure come professionisti o imprenditori che hanno potuto mantenere un rapporto diretto con il proprio pusher di fiducia. «Questo lockdown – continua il direttore della Dcsa – ha portato comunque una contrazione evidente del mercato della droga, infatti, confrontando il periodo dal 1 marzo al 10 aprile del 2019 con quello di quest’anno, i reati specifici hanno subito un decremento pari al 38%».

Ma la contrazione non è avvenuta solo al livello più basso, bensì anche per il “grande commercio” del narcotraffico internazionale. Per oltre due mesi, il traffico delle principali sostanze, con le frontiere chiuse, e molto più controllo nei porti e nelle città, ha subito una forte flessione: «I container di frutta verso l’Europa sono diminuiti sensibilmente – prosegue Cucchiara – a causa della pandemia. I produttori avevano urgenza di inviare la merce dal Sud America ma non sapevano dove mandarla per il lockdown, poiché nei porti di Genova, di Gioia Tauro (RC) e di Livorno, i controlli erano molto più assidui». Si dice che il traffico di droghe sia un mercato come gli altri, cioè segue le regole del commercio, ma non è esattamente così: facendo un paragone con un altro settore merceologico, come quello dell’abbigliamento o dell’alimentare, i magazzini colmi di droga che, a causa della pandemia, non è stata cosumata, non subiscono il problema del deperimento o del passare di moda. Prima o poi, quella merce che non scade mai, troverà di nuovo i suoi affezionati clienti. Quindi le organizzazioni criminali di casa nostra hanno avuto modo di capitalizzare al meglio questo momento. «Se si ferma l’economia si ferma anche il traffico – sostiene il capo dell’Antidroga – Ogni volta che si verifica un’interruzione nella catena di trasporto e commercializzazione del mercato mondiale, come nel periodo del Covid, le organizzazioni del narcotraffico sono colpite, ovviamente, così come i processi di produzione dei laboratori clandestini che richiedono l’acquisizione permanente di precursori che già in condizioni normali sono difficili da procurare. Se non arrivano perché non viaggiano si crea il problema». E la stessa cosa succede per il trasporto, così come accaduto per i Narcos sudamericani che hanno avuto difficoltà a usare i sommergibili, i semisommergibili, i parassiti (imbarcazioni senza equipaggio che si agganciano ad altre imbarcazioni sott’acqua) e droni subacquei.

 

Questione di qualità

Una volta, nel periodo degli Anni ’80-’90, la “bamba” era la droga dei ricchi, ma oggi le cose sono radicalmente cambiate perché ormai alla portata di tutte le tasche: «Una diminuzione del prezzo dovuta a una produzione sempre più alta, e non di certo a un abbassamento della qualità della sostanza, come potrebbero pensare in molti, ma ad un vero e proprio “surplus” nella produzione, che di conseguenza ne ha aumentato di molto la domanda. Ma anche l’eroina ultimamente risulta essere di ottima qualità. In sostanza, i prezzi si sono stabilizzati così da poter allargare la platea di consumatori». Discorso diverso, invece, va fatto per quanto riguarda la marijuana, per cui dimenticatevi lo spinello rilassante alla Bob Marley, perché la “maria” di oggi è un’altra cosa: molto più potente (e di conseguenza più pericolosa) e per questo sempre più apprezzata per lo “sballo”.

Le strategie di contrasto

Il contrasto al narcotraffico è da sempre una lotta senza quartiere caratterizzata da un lato da un’incessante attività del crimine organizzato che produce e traffica, ricorrendo a sofisticati metodi di occultamento, e dall’altro dalla serrata attività delle forze di polizia che si adoperano impiegando anche tecnologie particolarmente all’avanguardia: «Ad esempio – interviene Cucchiara – si stanno compiendo sforzi, anche con iniziative sul piano internazionale, per fronteggiare la commercializzazione delle sostanze stupefacenti attraverso il cosiddetto “Rip-off” (ossia, l’impiego di funzionari portuali corrotti che nascondono la droga nei container già controllati, rompendo il sigillo di sicurezza e sostituendolo con un altro, identico a quello originale, ndr) la tecnica di “contaminazione” dei container largamente utilizzata dalle organizzazioni criminali; oppure a iniziative sperimentali, come il monitoraggio e il controllo delle spedizioni postali gestite da corrieri pubblici e privati. Inoltre, è in via di sviluppo una nuova expertise per l’addestramento di aliquote di operatori di polizia addetti a controlli specifici, nonché all’impiego di tecnologie avanzate e di software per l’analisi del rischio».

Importante è anche il monitoraggio delle rotte dei precursori, ossia le sostanze chimiche normalmente utilizzate nei processi industriali e farmaceutici e commercializzate in modo del tutto lecito, ma che hanno una funzione decisiva nella produzione delle droghe, per verificarne l’impiego e a impedirne la deviazione: «Questa – spiega il direttore – si è dimostrata una strategia vincente e che sempre più Paesi perseguono con task force dedicate».

Altro metodo per il contrasto al narcotraffico è quello che aveva ipotizzato e messo in atto con successo nella lotta alla mafia il giudice Giovanni Falcone, che con il suo follow the money aveva iniziato a seguire i flussi di denaro a monte e a valle delle spedizioni di stupefacenti per impedire il riciclaggio e il reinvestimento nell’economia legale dei proventi della vendita di droga.

Però, l’arma principale nella lotta al narcotraffico non ha munizioni, non spara, ma è costituita dai rapporti che si stringono e, soprattutto, dal dialogo: «Parlare costantemente tra i protagonisti del contrasto, questo è il “segreto” principale – spiega il direttore della Dcsa – Abbiamo intensificato la stipula di memorandum operativi, cercando di farlo in maniera strategica e seguendo un percorso logico. Esiste una rotta balcanica? Allora è necessario comunicare il più possibile con le polizie di quei Paesi, con protocolli operativi che si inseriscono nell’ambito di accordi di collaborazione che già esistono tra i ministeri. E bisogna farlo il più velocemente possibile, perché i trafficanti non perdono tempo a riorganizzarsi e noi non possiamo rimanere indietro». Esiste anche una vera e propria rete d’intelligence che ruota intorno al contrasto del narcotraffico, un lavoro continuo di relazioni, spesso anche basata sui rapporti interpersonali, con il fine di instaurare un clima di fiducia reciproca, grazie anche a uffici come il Maocn (Maritime analysis and operations centre narcotic), nel quale l’Italia ricopre un ruolo chiave, che dalla sua sede di Lisbona attraverso l’osservazione marittima, è in grado di analizzare il traffico delle merci in ingresso nel Mediterraneo utilizzando algoritmi complessi, per individuare i carichi in arrivo più significativi.

 

Di chi fidarsi?

«Gli accordi multilaterali sono importanti ma trovare una condivisione totale d’intenti e strategie è un’operazione complessa – illustra Giuseppe Cucchiara – Un incontro vis à vis o una stretta di mano a volte possono essere più importanti di un accordo firmato, perché la fiducia, in questo mestiere, si conquista guardandosi in faccia». 

Non è un mistero che, così come spesso si è visto in fiction dedicate al mondo dei narcos, spesso le difficoltà maggiori si incontrino proprio con interlocutori che, sebbene facciano parte delle istituzioni, siano purtroppo al soldo delle multinazionali del traffico di droga: «Questo è un problema che, purtroppo, a volte abbiamo riscontrato con alcuni Paesi del Sudamerica e, chiaramente, quando viene meno la fiducia interrompiamo il rapporto – conclude il direttore dell’Antidroga – L’orientamento è quello di entrare in contatto con l’organismo di polizia che offre maggiore affidabilità, basata sulle informazioni degli esperti che sono sul campo. A volte è inutile mantenere un ufficio in posti dove il contrasto al narcotraffico non è una priorità assoluta, mentre ci sono Paesi in cui la corruzione è talmente dilagante e con i quali bisogna stare sempre con gli occhi ben aperti. Anche il mondo balcanico è complesso: bisogna stare attenti e tenere sempre presente con chi si sta parlando: sono diverse anime in un’area del mondo in continuo assestamento». ϖ

07/07/2020