Raffaele Camposano*

Un eroe normale

CONDIVIDI

Un Paese che non ha più memoria né consapevolezza del proprio passato, non ha futuro. Un invito e un monito che vale anche per un’Istituzione, come la Polizia di Stato la cui storia è intrisa di abnegazione al dovere, di tenacia investigativa, ma anche di coraggio e sacrificio. Per riscoprirne il ricordo e la memoria, Poliziamoderna lancia da questo mese, in collaborazione con l’Ufficio storico della Polizia di Stato, una nuova rubrica dedicata agli uomini e alle donne in divisa che, a costo della propria vita, hanno scritto alcune delle pagine più importanti di quella storia. Ad aprire questa galleria di “eroi normali” è Giorgio Boris Giuliano, capo della Squadra mobile di Palermo, ucciso a 49 anni da un killer di Cosa Nostra.

memo 7-15

Sette colpi di Beretta semiautomatica calibro 7,65, esplosi da una distanza non superiore a trenta centimetri, il 21 luglio del 1979 alle 10.00, uccidevano nel bar Lux di via De Blasi, a Palermo, Giorgio Boris Giuliano, 49 anni, vicequestore aggiunto, capo della Squadra mobile.

Quella mattina Giuliano, uscendo, si era intrattenuto con il portiere del suo stabile al quale aveva lasciato una busta con i soldi per la casa, un appartamento preso in affitto in via Alfieri a Palermo nel 1963. Aveva percorso i duecento metri che, più o meno lo separavano da via Blasi, con l’idea di andare a prendere un caffè al bar Lux, nell’attesa che giungesse la Giulietta che lo avrebbe portato in questura. Appena nel bar, immediatamente dietro di lui, entrò un uomo sui 35 anni, alto circa un metro e settanta, con capelli castano scuri senza né barba né baffi. Un killer a viso scoperto che freddò Giuliano da distanza ravvicinata alle spalle. Nonostante fosse un abile tiratore, Giuliano non ebbe il tempo di reagire. L’identikit elaborato nelle febbrili ore successive al delitto avrebbe portato ad identificare l’assassino: si trattava di Giacomo Bentivenga, alias Leoluca Bagarella. Dunque la mafia aveva scomodato uno dei suoi killer più feroci per eliminare il capo della Mobile di Palermo. Per eliminare “lo sceriffo”, come veniva chiamato dai suoi collaboratori.

Scompariva così, in

...


Consultazione dell'intero articolo riservata agli abbonati

04/05/2020