Annalisa Bucchieri, Antonella Fabiani, Anacleto Flori, Cristiano Morabito

Spirito di trincea

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Sette questure da Nord a Sud dell’Italia, sette storie da raccontare: dalle difficoltà iniziali per l’esplosione della pandemia alla vigilia della Fase 2

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Mentre tra mille precauzioni il Paese sta lentamente uscendo dal lockdown, abbiamo voluto raccontare il prezioso contributo che, in questi di mesi di vera e propria trincea, la Polizia di Stato ha saputo mettere in campo con coraggio e passione nella lotta al contagio. E lo abbiamo fatto dando voce alle questure, a chi, cioè, quello spirito di trincea lo ha vissuto in prima linea nelle piazze e lungo le strade deserte delle città e dei piccoli centri di provincia, al servizio delle comunità. Tra tutte ne abbiamo scelte 7, in un viaggio ideale da Nord a Sud lungo tutto lo Stivale, isole comprese; da quelle più martoriate a quelle fortunatamente meno colpite, per comprendere come ciascuna di esse, a seconda della gravità del contagio e delle specifiche situazioni, abbia saputo riorganizzarsi per tutelare la salute degli operatori e al contempo garantire la serrata attività di controllo mai disgiunta da quella di soccorso pubblico che da sempre ci caratterizza. 

BERGAMO
“Mola mia”

L’incubo Covid-19 a Bergamo inizia la mattina di domenica 23 febbraio quando, a sole 48 ore di distanza dal primo caso di contagio da coronavirus a Codogno, la città si sveglia con la notizia della positività di un paziente ricoverato presso l’Ospedale Papa Giovanni. L’epidemia sta per esplodere, ma la questura orobica è tra le prime istituzioni cittadine a correre ai ripari. Già allertato dalle circolari via via emanate dalla Direzione centrale di sanità, il questore Maurizio Auriemma adotta immediatamente le prime misure di distanziamento sociale, fondamentali per limitare il contagio. «In quei primi concitati momenti il nostro obiettivo prioritario – ricorda il questore – è stato quello di garantire la salute del personale in servizio presso la questura, il commissariato Treviglio e le sedi delle Specialità della provincia, ma anche quella dei cittadini che continuavano a recarsi presso i nostri uffici. Ci siamo così trovati di fronte alla necessità di procedere a una profonda riorganizzazione del lavoro». Giorno dopo giorno sono stati ridisegnati non solo l’attività, ma perfino gli spazi architettonici della questura: dallo scaglionamento degli ingressi alla riduzione degli appuntamenti giornalieri per il rilascio dei passaporti e dei permessi di soggiorno, dagli schermi in plexiglass, installati negli uffici aperti al pubblico, alla modifica dell’orario di lavoro su turni e giorni alternati e al ricorso allo smart working, fino all’accesso contingentato in sala mensa con i tavoli disposti a scacchiera. «Un cambiamento che ha investito anche gli operatori impegnati nel controllo del territorio – continua il questore – con equipaggi fissi per le Volanti e l’utilizzo di pattuglie in moto per evitare contatti tra il personale; controlli in cui siamo stati impegnati h24, assieme ai colleghi del Reparto mobile di Milano e del Reparto prevenzione crimine, ma anche a pattuglie dell’Esercito e agli Alpini, giunti appositamente da Bolzano. Sono stati, e in parte sono ancora, giorni e settimane durissimi affrontati con coraggio e spirito di abnegazione da tutto il personale: tutti hanno tenuto duro nonostante le difficoltà, nessuno si è tirato indietro basti pensare che in questo periodo abbiamo registrato quasi meno assenze per malattie rispetto allo scorso anno, non a caso il motto della città è proprio “mola mia”, cioè “non mollare”». Tra tanti momenti critici, i più difficili da superare sono stati sicuramente quelli a partire dal 6 marzo quando, con la città piombata in piena  Zona rossa, uno dopo l’altro sono risultati positivi al Covid-19 il questore, il vicario e il capo di gabinetto: una drammatica e sfortunata serie di eventi che ha rischiato di creare un pesante contraccolpo psicologico e un pericoloso sbandamento di tutta la catena di comando della questura. «Proprio in quei momenti terribili – ricorda Auriemma – si è venuto a creare non solo in questura, ma tra tutte le forze di polizia in campo, un vero e proprio “spirito di trincea”; un sentimento di vicinanza e di collaborazione che si è tradotto in una spontanea condivisione delle risorse a disposizione come mai si era visto prima». Frangenti in cui, ancora una volta, la Polizia di Stato ha fatto onore a quella mission di soccorso pubblico verso le popolazioni in difficoltà che da sempre la contraddistingue; ed ecco allora che giorno dopo giorno si sono succeduti gli interventi per prestare assistenza ad un’anziana invalida rimasta sola a casa o per assicurare, attraverso la procura minorile, l’affidamento di un bimbo rimasto solo poiché il nonno era in ospedale. Una vicinanza e un’empatia che anche i cittadini e alcune aziende della provincia hanno voluto dimostrare agli operatori di polizia attraverso donazioni di occhiali protettivi e altri dispositivi di sicurezza ma, soprattutto, rispettando gli appelli a restare a casa.

Tutta la provincia si è comportata con grande senso di responsabilità, come sembrano suggerire i dati dei controlli effettuati finora, da cui emerge come soltanto il 3% della popolazione sia incorso in sanzioni. Uno “spirito di trincea” che sembrerebbe aver contagiato anche i delinquenti abituali dal momento che, secondo la banca dati interforze, i delitti commessi nella provincia di Bergamo sono passati dai 2.730 di gennaio ai 2.483 di febbraio per scendere ai 931 di marzo. Alla data del 13 aprile i reati commessi sono stati appena 188. In particolare, in quest’ultimo lasso di tempo, si sono quasi azzerati i furti (3), mentre la “desertificazione” della città ha letteralmente cancellato dalle piazze e dagli angoli delle strade la presenza dei pusher; leggermente in calo anche i casi di truffa (35), sebbene il dato positivamente più sorprendente e in controtendenza rispetto alle preoccupazioni nazionali, è il trend dei reati familiari (31) in netto calo rispetto allo stesso periodo del 2019 (79). Insomma la speranza non è solo quella di poter uscire al più presto dall’emergenza Covid-19, ma anche di uscirne come persone migliori. 

PADOVA
Rigore e comprensione

È il 21 febbraio e un paesino di poco più di 3mila abitanti in provincia di Padova diventa, suo malgrado, “famoso”: Adriano Trevisan, 77 anni, è la prima vittima italiana del Covid-19 a Vo’ Euganeo che, insieme alla lombarda Codogno, detiene il triste primato di essere stato la prima  Zona rossa in Italia. Un primato di cui la regione veneta avrebbe sicuramente fatto a meno: qui il coronavirus ha mietuto migliaia di vittime, finora, ma la situazione è stata quasi subito messa sotto controllo, grazie alle norme stringenti e alla collaborazione della popolazione. 

Un’emergenza che, chiaramente, ha visto e vede tutt’ora in prima linea la questura della città del Santo che, dall’8 di aprile, ha al comando una donna: Isabella Fusiello «L’insorgenza del virus ci ha costretti ad intervenire tempestivamente per riorganizzare l’attività della questura – commenta Isabella Fusiello – Per mettere in atto tutte le misure di contenimento dell’epidemia, sono state ridefinite le modalità lavorative della questura: per i settori operativi e burocratici-amministrativi è stato introdotto lo smart working, mentre tutti gli operatori in servizio negli uffici a contatto con il pubblico, seppur dotati di appositi divisori che impediscono il contatto diretto con l’utente, sono stati muniti di mascherine protettive e guanti monouso. Inoltre finché è stata in funzione l’attività degli sportelli degli Uffici immigrazione e passaporti, un agente ha regolato il flusso di entrata dei richiedenti per evitare pericolosi assembramenti; un’attività che, in seguito, abbiamo dovuto sospendere».  Un periodo che alle soglie della Fase 2 non è stato dei più semplici da fronteggiare e nel quale a tutti gli operatori è stato richiesto un mix tra rigore e comprensione: «La nostra presenza sul territorio – prosegue il questore – in questo periodo ha come obiettivo primario la salvaguardia della salute pubblica dei cittadini. Siamo rigorosi nei controlli, ma allo stesso tempo la nostra azione è connotata da particolare umanità e sensibilità, consapevoli dell’enorme disagio patito dalla popolazione, con una specifica attenzione alle fasce più deboli». 

Ferme tutte le principali attività, tutti chiusi in casa per quasi due mesi e anche la criminalità sembra essersi presa un periodo di “riflessione”, ma non in tutti gli ambiti: «Da quando è iniziata l’emergenza Covid-19 – prosegue Isabella Fusiello – si è registrata una considerevole diminuzione dei furti in appartamento e delle rapine. Di contro, è invece aumentato il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti: la risposta è stata un potenziamento delle pattuglie sul territorio per essere presenti in maniera capillare». 

Un’emergenza che sta mettendo a dura prova l’Italia non solo per il dover forzatamente restare in casa, ma anche per chi, titolare di attività commerciali, sta vedendo sfumare in pochi mesi i sacrifici di tutta la vita e per chi ha perso il posto perché l’azienda ha chiuso. Questa sarà sicuramente una delle priorità da affrontare in futuro, affinché non si verifichino episodi come quello che ci racconta il questore: «Nei giorni scorsi una pattuglia ha notato un uomo a bordo di un’utilitaria parcheggiata in zona industriale: era un padovano di 55 anni che, rimasto senza lavoro, si era ridotto a vivere in auto. Gli agenti si sono immediatamente attivati per cercargli una sistemazione dignitosa, grazie anche all’aiuto di una parrocchia cittadina. L’uomo, visibilmente sollevato e commosso, ha ringraziato tutti coloro che l’hanno aiutato».

PIACENZA
Guardando al futuro

Quando il 21 febbraio a Codogno sono scoppiati i primi casi di Covid-19, tutti i piacentini hanno capito che si trattava ormai solo di una questione di ore e che il contagio era ormai alle porte, visto che la cittadina lodigiana dista solo 18 km da Piacenza. Alla notizia della positività di Mattia, il 38enne codognese diventato famoso come il “paziente 1” in Italia, il questore di Piacenza Pietro Ostuni si è subito attivato dotando il personale di dispositivi di protezione individuale, spostando in locali dotati di vetri divisori sia l’Ufficio denunce sia la postazione della Scientifica per la rilevazione delle impronte dei cittadini stranieri e riducendo progressivamente il numero degli utenti, soprattutto dell’Ufficio immigrazione e dell’Ufficio passaporti. «Con l’aggravarsi della situazione abbiamo deciso di chiudere l’Ufficio relazioni con il pubblico – spiega il questore – mettendo a disposizione dei cittadini una casella di posta elettronica e un numero di telefono per avere informazioni su documenti o licenze ancora in trattazione. Tra le misure adottate per tutelare la salute degli operatori è opportuno evidenziare l’istituzione, presso la Scuola allievi agenti, di un apposito Centro operativo sanitario, fortemente voluto  dal capo della Polizia e dalla Direzione centrale di sanità, per coordinare l’attività di diversi Uffici sanitari provinciali, ma in particolare come prezioso punto di riferimento e di assistenza medica per i colleghi dei reparti impegnati nei servizi di controllo all’interno della Zona rossa. Inoltre, grazie alla collaborazione con la Ausl di Piacenza, i colleghi hanno potuto effettuare i tamponi di controllo direttamente presso la Scuola dove, dall’inizio della crisi sanitaria, sono ospitati tra l’altro 12 tra medici e infermieri che lavorano presso l’ospedale di Piacenza: una sistemazione logistica ideale visto che la Scuola dista appena 150 metri dal nosocomio cittadino». Nonostante l’infuriare del contagio, l’attività di controllo del territorio non ha però conosciuto battute d’arresto: in una città quasi deserta gli equipaggi delle Volanti hanno continuato a pattugliare piazze e strade vigilando sul rispetto del divieto di uscire da casa, ma anche mettendosi a disposizione della popolazione e creando una vera e propria rete di sostegno per i cittadini in difficoltà. Gli episodi di reciproca solidarietà non sono mancati, come la consegna di uova di Pasqua ai piccoli ricoverati del reparto di pediatria, la visita del questore all’ospedale di Piacenza nel giorno della Festa della polizia e l’omaggio di tutte le forze dell’ordine ai medici e agli infermieri dei pronto soccorso e dei reparti di rianimazione, oppure il dono e la commovente lettera inviati al questore da un signore invalido per ringraziare tutti i poliziotti e le poliziotte per l’impegno, l’umanità e lo spirito di sacrificio mostrati in un periodo così difficile. «Di momenti brutti ne abbiamo vissuti tanti – racconta il questore con la voce incrinata dall’emozione – come la morte di un poliziotto in pensione, papà di un nostro collega, o il ricovero di un nostro operatore, fortunatamente tornato a casa alla vigilia di Pasqua. Però bisogna guardare avanti e farci trovare pronti, anche perché, sebbene nelle scorse settimane abbiamo assistito a un vero e proprio crollo di quasi tutti i reati ad eccezione delle truffe e delle violenze familiari, con la fine dell’emergenza ci potrebbe essere un rimbalzo dei reati: la criminalità, comune e organizzata, è sempre pronta a sfruttare i momenti di crisi economica per arruolare manovalanza a basso costo. Al momento non ci sono segnali precisi e anche per quanto riguarda il rischio usura non ci è arrivata alcuna denuncia, però abbiamo allertato tutti colleghi della Squadra mobile, della Digos, dell’Anticrimine e dell’Ufficio prevenzione generale, affinché svolgano quel preziosissimo lavoro di sentinelle sul territorio, sempre più fondamentale per la sicurezza di tutti. Infine, proprio per prevenire queste situazioni stiamo tenendo contatti pregnanti con le varie associazioni imprenditoriali e di categoria. Contiamo molto su sulla loro preziosa collaborazione».

PESARO URBINO
Sensibilità e professionalità

«Adesso va un po’ meglio, ma i primi 15 giorni di marzo sono stati veramente duri. Un vero e proprio incubo». Sono le parole di Michele Todisco, questore di Pesaro-Urbino che, insediatosi poco meno di due settimane prima del lockdown del 9 marzo, si è trovato a dover affrontare l’emergenza Covid-19 in una delle province che all’inizio della pandemia era ai primi posti nella penosa classifica dei contagi e dei morti nel nostro Paese.

Una situazione che ha colpito lui in prima persona, senza impedirgli di perdere il contatto con i suoi uomini: «Il contagio si è diffuso rapidamente anche tra di noi – ricorda il questore – I primi giorni non è stato facile anche coprire i turni di servizio perché i colleghi si ammalavano uno dopo l’altro. Ci siamo trovati a dover fronteggiare da un lato la salvaguardia del personale e dall’altro il dover garantire comunque il servizio. Anche io ho avuto problemi di salute e ho dovuto gestire la questura praticamente solo con il telefono e chiuso in una stanza in quarantena».

Una situazione in continua evoluzione che ha richiesto misure drastiche anche nella riorganizzazione degli uffici e dei servizi sul territorio: «Abbiamo messo al centro l’integrità del personale – prosegue Todisco – chiudendo alcuni uffici (passaporti e immigrazione) riuscendo anche a concordare, insieme alle organizzazioni sindacali, le alternanze in ufficio, attraverso la rimodulazione degli orari di servizio e lo smart working, in modo tale che ci fossero meno persone negli uffici e, nel contempo, abbiamo aumentato il personale presente sul territorio impegnato nei controlli anti Covid, chiaramente insieme all’Arma dei Carabinieri».

Un periodo particolare quello attraversato e che ancora dovranno affrontare i poliziotti della  provincia marchigiana, sulla cui sensibilità e professionalità Michele Todisco  non ha dubbi: «Ho avvertito e apprezzato la grande professionalità e maturità di coloro che dirigo. Hanno dimostrato sensibilità, elasticità, disponibilità fuori dal comune e tolleranza, verificando caso per caso le singole violazioni, perché ogni persona aveva le sue esigenze e le proprie giustificazioni. E di questo abbiamo avuto un riscontro anche da gran parte della popolazione: pochissimi i casi in cui ci sia stato del risentimento per i nostri controlli». 

Un periodo particolare, in cui anche la criminalità pare aver subito un lockdown: «C’è stata una forte riduzione delle denunce che varia tra il 70 e il 75%, così come i furti in appartamento e le truffe che registrano un meno 70-80% – afferma il questore – Lo spaccio di droga è stato quasi azzerato dalla chiusura delle principali piazze, tra le quali la più importante era quella del parco cittadino di Pesaro». 

Con il coronavirus dovremo convivere tutti per molto tempo, almeno finché non verrà trovato un vaccino. Ed è proprio per questo motivo che nel futuro prossimo, quando le attività riapriranno, bisognerà farsi trovare pronti: «Quello dell’usura sarà probabilmente un problema con il quale dovremo scontrarci – prosegue Todisco – perché in molti si troveranno in gravi difficoltà. Lì inizierà anche per noi, come forze dell’ordine, una Fase 2. Probabilmente ci dovremo confrontare con tutte le implicazioni create da una crisi occupazionale senza precedenti, così come con il ritorno dei reati predatori, del riciclaggio e con nuove forme di criminalità nate a margine di questa emergenza». 

Ma in fondo al tunnel un po’ di luce si inizia a vedere: dopo un periodo di boom, i contagi iniziano a calare e le persone guarite sono sempre di più, grazie soprattutto al grande senso di responsabilità della popolazione e soprattutto di una fascia quasi insospettabile: «Qualche giorno fa – racconta il questore – una nostra pattuglia ha fermato un ragazzo in motorino che, dalla campagna, si stava spostando verso il centro di Urbino. Alla richiesta di giustificazioni, lui ha risposto che, poiché in campagna non c’era segnale Internet, per seguire le lezioni di scuola on line si doveva spostare verso il centro. Giustificazioni prontamente verificate come veritiere da parte dei colleghi. In questo periodo ho potuto notare, con non poca sorpresa, un grande senso di responsabilità da parte degli adolescenti che hanno rispettato con inaspettata diligenza tutte le disposizioni. E questo mi fa ben sperare per il futuro».

SASSARI 
Umanità e impegno

Pur non essendo tra le regioni più colpite, anche la Sardegna ha avuto le sue vittime a causa del Covid-19. In particolare Sassari e la sua provincia sono state le zone che hanno visto il maggior numero di contagiati (circa due terzi del dato complessivo regionale) concentrati nel territorio del comune di Sassari e in massima parte fra ospedali e residenze per anziani. Diego Buso, questore della provincia di Sassari dall’aprile 2018, raggiunto al telefono ha spiegato in quale modo ha riorganizzato il lavoro degli operatori su un territorio variegato che comprende 5 commissariati, 3 posti fissi, gli uffici di Specialità, 2 aeroporti, due uffici Polmare a partire dal Dpcm del 9 marzo che dettava le misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale. Al principio eravamo tutti disorientati dal repentino cambiamento a cominciare da me che dovevo essere il più lucido di tutti – racconta il questore – comunque fin dall’inizio ho cercato di trasmettere a tutti gli operatori l’importanza di un approccio colloquiale con i cittadini e non repressivo, e questo è stato compreso subito. Anche la cittadinanza, dopo lo sbandamento dei primi dieci giorni in cui non era chiaro se era permesso andare a correre e molti andavano verso le spiagge per fare attività fisica, ha dimostrato il pieno rispetto della raccomandazione a rimanere a casa». 

«L’attività quotidiana degli operatori è stata rivista – prosegue – a partire dagli ambienti di lavoro, dove è stato ricercato il distanziamento tra le persone, facendo in modo che il personale impegnato sui vari quadranti non si incrociasse mai. Sono stati raccomandati anche alcuni accorgimenti individuali, come lavarsi le mani e indossare mascherina e guanti, dotazioni che nella prima fase abbiamo dovuto razionalizzare e gestire con oculatezza. Misure declinate d’intesa con il medico della questura in sintonia con le indicazioni della Direzione centrale di sanità che si sono dimostrate efficaci, poiché ad oggi nell’intera provincia non abbiamo avuto nessun operatore positivo al Covid-19».

Sul fronte della criminalità i numeri dei reati commessi nella provincia di Sassari nel mese di marzo messi a confronto con quelli dello scorso anno mostrano quanto questa emergenza sanitaria ne abbia influenzato l’andamento: delitti (-43%), reati predatori e dei furti (-50%), reati legati agli stupefacenti (-42%) e lesioni (-73%). 

«La presenza sulle strade e i controlli sistematici tra comune e comune sui movimenti delle persone ha prodotto questo notevole risultato – osserva il questore – nel mese di marzo abbiamo anche predisposto dei servizi mirati a proteggere gli anziani all’uscita degli uffici postali in concomitanza con il pagamento delle pensioni. 

Un episodio che mi è rimasto impresso è successo il giorno di Pasqua: nella sala operativa dove ero andato per vedere come procedeva l’attività stavano gestendo, proprio in quel momento, una situazione delicata in cui un uomo era scappato da un centro per anziani di Sassari, tra i più colpiti dal contagio. Le pattuglie lo hanno raggiunto quando aveva già percorso a piedi quasi 4 chilometri e lo hanno convinto, facendolo ragionare, a salire su una ambulanza e tornare indietro. Un intervento gestito al meglio da parte degli operatori. Ma al di là dell’episodio – conclude – il particolare che mi ha fatto sorridere è quando ho saputo che questo signore era più giovane di me di 4 anni e che, quindi, non era poi così anziano». 

NAPOLI 
Vigili sui pericoli criminali

Una provincia chiassosa, popolosa, dove non esiste privacy perché si vive affacciati sulla strada, in continua condivisione amicale e familiare, come ha detto lo scrittore partenopeo Maurizio De Giovanni. E poi il silenzio irreale del lockdown. Napoli e il Napoletano proprio per la commistione sociale e la densità abitativa potevano essere una bomba pronta a esplodere. Ne parliamo con il questore Alessandro Giuliano, per capire come ha rimodulato il lavoro della questura a causa dell’emergenza coronavirus e, di conseguenza, come è cambiato il quotidiano degli operatori, soprattutto per quelli più a contatto con la popolazione. «Abbiamo dovuto abituarci a far rispettare regole che, solo pochi mesi fa, avremmo creduto impensabili: imporre ai cittadini di rimanere in casa, chiedere loro le ragioni per cui si trovavano fuori; regole che nella vita privata noi stessi poliziotti abbiamo dovuto rispettare. Ma nella vita lavorativa la nostra mission istituzionale ci ha chiamati fuori casa, per cui si è imposto subito come obiettivo prioritario adottare misure per riuscire a salvaguardare la sicurezza del personale e garantire al contempo il necessario svolgimento delle attività di controllo. Anche noi, come tutti, in base alle indicazioni pervenute dal Dipartimento della pubblica sicurezza, abbiamo adottato delle soluzioni organizzative – come il lavoro agile o il ricorso al congedo straordinario – per impedire la compresenza di troppi operatori in ufficio e soprattutto per coloro che svolgono il loro lavoro per strada abbiamo posto più volte l’accento sulle linee-guida della Direzione centrale di sanità in merito al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale».

Il contatto filtrato con la popolazione non è stato circoscritto ai controlli. «In questi giorni – continua il questore – siamo stati costretti molte volte ad applicare le sanzioni previste dalle norme, ma molte più sono state le occasioni in cui abbiamo dato consigli ai cittadini o abbiamo spiegato loro l’importanza del rispetto delle regole; ancora, abbiamo messo a disposizione i nostri mezzi per contribuire alla sanificazione delle strade o per trasportare beni di prima necessità a chi ne aveva bisogno; ma soprattutto, da questore sono immensamente orgoglioso dei tanti gesti di solidarietà spontanea posti in essere dalle donne e dagli uomini della Polizia di Stato a Napoli verso le persone bisognose, che secondo me danno il senso della vera cifra della nostra istituzione: essere tra la gente. E poi mi piace ricordare le tante telefonate che giungono al 113 solo per ringraziarci e sostenerci, gli applausi dai balconi ai nostri ragazzi impegnati nei controlli, e uno striscione con un arcobaleno, un cuore e la parola “grazie” che ho ricevuto dai ragazzi di una scuola del quartiere Ponticelli. Mi permetta poi di ricordare come il consueto impegno della Polizia di Stato nella prevenzione e nella repressione dei reati non sia mai venuto meno, come dimostra la tragica scomparsa del nostro collega Pasquale Apicella, rimasto ucciso mentre, con altri colleghi, inseguiva un gruppo di criminali».

Sembra che i partenopei abbiano risposto nel complesso bene alle restrizioni di movimento. Anche grazie a questo si registra una discesa della curva dei contagi. Però ora che si affaccia la Fase2 la questura deve fare i conti con le insidie criminali e illegali che potrebbero “azzoppare”  la ripartenza.  «Finora abbiamo osservato una forte riduzione dei reati “di strada” – spiega Giuliano – dovuta certamente alla chiusura degli esercizi, all’interruzione del flusso dei turisti e al fatto che si sta in casa; alcuni criminali stanno approfittando dell’attuale situazione per commettere furti e truffe ad anziani in casa o reati telematici; una particolare preoccupazione destano, in questo frangente, i reati di genere in ambito intrafamiliare. Invece nel medio e nel lungo termine è prevedibile che le difficoltà finanziarie conseguenti all’interruzione di molte attività economiche costituiscano terreno fertile per l’usura o per il reimpiego di capitali illeciti da parte delle organizzazioni criminali camorristiche; su questo dovremo essere particolarmente vigili».

CATANIA 
Legalità e solidarietà

Sebbene la Sicilia sia tra le regioni in coda nella drammatica classifica dei contagi, la provincia di Catania è quella più colpita dalla pandemia e quella che ha pagato il tributo più alto di vite in tutta l’isola. Di fronte a questa emergenza straordinaria abbiamo chiesto a Mario della Cioppa, al vertice della questura di piazza S. Nicolella da poco meno di un anno, come ha dovuto riorganizzare l’attività dei suoi uomini e delle sue donne per far rispettare le regole in una città dove la percezione della legalità è sempre stata problematica (20 persone su 100 indossavano il casco): «Sotto il profilo operativo siamo stati avvantaggiati dal fatto che già a luglio 2019, a seguito del mio arrivo, abbiamo introdotto sull’area metropolitana di Catania un piano straordinario di controllo del territorio con dispositivi presidiali interforze in diverse “aree sensibili”. Avevamo anche individuato delle zone di interesse operativo e mappato luoghi strategici, peraltro validati da istruttori di tecniche operative, dove poter effettuare posti di controllo nell’ambito di giornate dedicate ad operazioni ad ampio raggio. Tutto questo imponente lavoro di organizzazione operativa pre Covid-19 ci è stato utile quando abbiamo dovuto adottare modelli funzionali al controllo della mobilità delle persone e della chiusura degli esercizi. Sul fronte interno, invece, abbiamo adottato schemi di lavoro caratterizzati da una tempestiva veicolazione delle informazioni fra i dirigenti e lo staff sanitario e di questi con il personale, dalla riduzione delle presenze all’interno degli uffici, utilizzando, specie per il personale dell’amministrazione civile, lavoro agile, turnazioni, congedi oltre ad una campagna informativa medico sanitaria importante con cui sono stati introdotti, da parte di tutti, comportamenti virtuosi sull’uso dei dispositivi di protezione, sull’igiene personale, sulla sanificazione e sul distanziamento. Pur rimanendo tuttora una situazione complessa, anche grazie agli interventi di sanificazione e ad un puntuale impulso fornito dai dirigenti della questura, siamo riusciti, per quanto possibile, a mettere in condizione tutti gli operatori di lavorare protetti. La riprova è che abbiamo avuto soltanto due casi di positività su quasi 1.800 operatori, peraltro in via di guarigione completa». 

«Lo spirito di squadra che si è creato con tutto il personale mi ha commosso – continua il questore – un episodio in particolare mi ha riempito di orgoglio per essere il punto di riferimento dei miei ragazzi: in uno dei primissimi giorni di chiusura totale, vedere la compattezza della Squadra volante all’atto di uscire dalla caserma, di notte, con i lampeggianti accessi ed in fila, disciplinata e ordinata, consapevoli dell’importanza della loro mission. Quelle stesse Volanti hanno, quella sera, realizzato di loro iniziativa un video che esprime amore per il proprio servizio. Ho voluto trasmettere quel video al capo della Polizia, dal quale ho ricevuto immediata risposta genuina e gratificante, che ho rappresentato agli stessi operatori per fare comprendere loro il grado di attenzione su ogni aspetto della nostra attività, anche apparentemente di poco conto». 

Anche a Catania, come dappertutto, c’è stato un drastico calo dei reati, quasi meno 80% complessivo, con una dolente recrudescenza, però, della violenza di genere. Oggi l’attenzione massima è rivolta all’opportunismo dei clan mafiosi nella Fase2. «Le attività di intelligence, sia della Squadra mobile che della Digos, sono concentrate sulla criminalità organizzata. Ora, più che mai, abbiamo alzato le antenne, perché il post-crisi potrebbe indurre i gruppi mafiosi di livello presenti in questo territorio ad approfittare dell’inevitabile situazione di crisi di aziende ed imprese, per incunearvisi e per rilevarle oppure assorbirle. Ciò determinerebbe forme nuove di riciclaggio di denaro ovvero di reimpiego di capitali illecitamente acquisiti ma anche la tradizionale usura, anticamera di forme criminali mafiose». ϖ

30/04/2020