a cura di Cristina Di Lucente

I miei primi 100 anni

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pdn 04-20

Gli occhi vivaci e lo sguardo ironico suscitano un sentimento di meraviglia in chi lo incontra per la prima volta: Giuseppe Vercelli porta con eleganza i suoi 100 anni, più di 40 dedicati alla Polizia di Stato come tecnico radiologo. Per festeggiare questo traguardo è stato ricevuto dal capo della Polizia; accompagnato dai due figli (nella foto accanto, con la figlia e il capo della Polizia e, in basso, con l’ultimo apparecchio di radiologia) e da alcuni nipoti, non nasconde l’emozione per essere stato accolto nell’ufficio di Franco Gabrielli che ha donato a Giuseppe una medaglia d’oro con il fregio dell’aquila realizzata in occasione dei 150 anni della fondazione del Corpo. Al termine della cerimonia ci siamo avvicinati al nostro venerando “collega” per farci raccontare come e quando abbia scelto di entrare a far parte del Servizio medico della polizia: «Fin da piccolo ho desiderato fare il poliziotto – racconta – ricordo che avevo una pistola giocattolo che mi portavo ovunque e mi faceva sentire “questurino”. Poi partii per la Guerra e fui fatto prigioniero in Africa dagli inglesi, che mi impiegarono per dare una mano in un ospedale militare dove imparai a utilizzare un apparecchio di radiologia di marca britannica. In seguito, quando la Guerra finì, entrai nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza. All’inizio mi mandarono in Toscana e successivamente alla caserma di Castro Pretorio, a Roma, per partecipare a un corso di sei mesi. Qui – prosegue – trovai il medesimo apparecchio di radiologia che avevo imparato a usare nella prigionia, una coincidenza che con il tempo mi permise di appassionarmi sempre di più al mio lavoro e di creare il settore di radiologia che allora ancora non esisteva». Giuseppe andrà in pensione nel 1982, tre anni prima dell’entrata delle donne nei ruoli della Polizia di Stato, «una grande risorsa perché sono brave» commenta entusiasta. Parlando poi dell’Istituzione prosegue «sono passati tanti anni da quando sono andato in pensione e credo che il ruolo della polizia nella società sia ancora fondamentale, perché la criminalità è sempre presente, e facendo un bilancio posso dire che, anche se tornassi indietro, rifarei le stesse scelte». Cento anni  sono tanti e incuriosisce sapere come Giuseppe trascorra le sue giornate: «leggo, guardo la tv e ripenso agli anni dell’adolescenza, quando sognavo di entrare in polizia» e mentre lo dice un lampo di gioia gli illumina il volto. Un volto che riflette la nostra storia e il nostro passato, ma anche il nostro futuro. 
Antonella Fabiani

L’onore della memoria
Vergiate (Va).  Correva il 1942, nel pieno del secondo conflitto mondiale, quando a dicembre di quell’anno il fante Alberto Falasca fu dichiarato disperso durante la battaglia sul fiume Don, dove avvenne la disfatta della divisione Cosseria. È passato molto tempo da quel tragico epilogo della spedizione in Russia, e forse la presenza di un’effige non è abbastanza per mantenere vive la memoria che ci lega ai nostri cari. È questo il motivo della cerimonia dello scorso 23 febbraio che si è svolta nel Villaggio del fanciullo, nel comune lombardo di Vergiate, in occasione del 23° anniversario della morte del suo fondatore, padre Oreste Cerri, tenente cappellano del Regio esercito all’epoca della spedizione. Al suo rientro, il sacerdote fondò il “Villaggio” con l’obiettivo di dare una casa agli orfani di caduti e dispersi durante la Guerra; in questo luogo di pace c’è anche un sacrario con una cripta che ospita la tomba di padre Oreste e le foto di tanti giovani soldati, ognuno con la propria storia e i propri sogni interrotti. I discendenti di questi uomini che hanno dato la vita per il Paese hanno voluto rendere loro omaggio con un incontro ufficiale: la commozione era palpabile, sottolineata dalle note scandite dalla fanfara dei bersaglieri. A ricordare con fierezza il loro prozio, anche due nostri colleghi, Alberto Falasca e Maurizio Ricchiuti, poliziotti del Compartimento polfer Lazio e del commissariato Borgo Po di Torino, che hanno voluto presenziare in uniforme alla manifestazione, in segno di rispetto e profonda vicinanza a quel sentimento di devozione verso il Paese che li accomuna al proprio familiare.

Placchiamo il virus! 
Roma. I campionati di rugby, come quelli di tutti gli altri sport, si sono fermati, ma l’attività delle Fiamme Oro Rugby non si ferma. In questi giorni difficili i giocatori in maglia cremisi sono impegnati non nei soliti allenamenti quotidiani, ma a fare squadra seguendo uno dei principi fondamentali del gioco del rugby: il sostegno. Infatti, stringendosi in mischia con l’Associazione Salvamamme, con la quale la società che fa capo al Gruppo sportivo della Polizia di Stato ormai collabora strettamente da qualche anno, le Fiamme sono scese in campo per dare un aiuto in più a chi, costretto a restare in casa e, purtroppo, anche in condizioni economiche difficili o con in famiglia persone gravemente malate, non può permettersi di fare anche semplicemente una spesa. Ed ecco che ogni mattina una macchina con i colori della polizia esce dalla caserma “Stefano Gelsomini” di Ponte Galeria e inizia a fare il giro degli indirizzi ai quali consegnare beni di prima necessità alle famiglie seguite dal progetto in collaborazione con Salvamamme. Alla preparazione dei pacchi, che contengono viveri ma anche giocattoli per i più piccoli, partecipano tutti i ragazzi della squadra che selezionano attentamente il contenuto e li consegnano a questi “fattorini” particolari in tuta cremisi.  
Cristiano Morabito

 

09/04/2020