Antonella Fabiani

Il volto ritrovato

CONDIVIDI

Sofisticate tecnologie e competenze sono le armi professionali dell’attività della Sezione indagini elettroniche della polizia scientifica

noslav 02-20

“Metterci la faccia” o “perdere la faccia”: quante volte è capitato di sentire queste frasi? Modi di dire che rivelano quanto il nostro viso rappresenti profondamente la nostra identità.  Unico e irripetibile, ogni volto è fatto da un insieme di elementi e caratteristiche in una sintesi di proporzioni difficile da ricreare quanto da riconoscere. Ma c’è chi per mestiere va proprio a ricostruire e a mettere insieme questi elementi per arrivare a conoscere la fisionomia di un uomo vissuto alcuni secoli fa, o per capire se la foto catturata dagli investigatori è proprio quella di un famoso latitante ricercato da tutte le polizie del mondo o di una persona scomparsa da tanti anni. A raccontare come si svolge questa attività, la squadra della Sezione indagini elettroniche della polizia scientifica di Roma. «Fondamentalmente il nostro lavoro riguarda tre tipi di attività – spiega Lorenzo Rinaldi, direttore della IV Divisione del Servizio polizia scientifica – la prima è la ricostruzione del volto, che in genere parte dal ritrovamento di un cadavere sconosciuto o da una richiesta di tipo storico-culturale da parte di università o enti di ricerca. C’è poi il lavoro dell’age progression e regression che trova una applicazione naturale nella ricerca dei latitanti spariti da molto tempo o delle persone scomparse. La terza attività è quella del confronto fisionomico, che consiste nell’andare a confrontare le caratteristiche oggettive di un viso con un altro per capire se si tratti della medesima persona». 

La mummia Meryt 
Una delle attività di questa Sezione è anche quella di rispondere alle esigenze di istituzioni come i musei che chiedono di ricostruire il volto di una mummia o di confrontare la similarità di volti ritratti in alcuni dipinti. Uno di questi lavori è stato quello di ricreare il volto di una delle due mummie, precisamente quella adulta chiamata Meryt, conservate all’Accademia dei Concordi di Rovigo, che fanno parte di una delle più grandi collezioni egizie del Veneto. Il mistero che la circondava ha portato gli studiosi a fare delle indagini per capire oltre all’età anche quale fosse il suo viso. A ricostruirlo ci ha pensato la polizia scientifica attraverso un lungo lavoro che ha richiesto l’utilizzo di sofisticate tecnologie e un’elevata esperienza professionale: «Per arrivare a ricreare il volto della mummia siamo ricorsi a un modello bidimensionale partito fondamentalmente dall’esame della Tac e a cui l’operatore ha aggiunto gli elementi fisionomici secondo quanto indicato dalla letteratura scientifica. Ovviamente, per un lavoro di questo genere non si parte da zero ma ci vengono date delle informazioni – spiega il commissario capo tecnico Giacomo Rogliero – l’Università di Padova aveva fatto precedentemente un’analisi con il carbonio 14 sui tessuti estratti dalla mummia che avevano indicato una età compresa tra i 18 e i 25

...


Consultazione dell'intero articolo riservata agli abbonati

07/02/2020